Le opere realizzate da un condomino su parti comuni poste all'ultimo piano di un edificio comportano l'applicazione della disciplina di cui all'art. 1120 c.c., in caso di conforme delibera assembleare di approvazione, ovvero, dell'art. 1102 c.c., ove tali modifiche dei beni comuni siano state eseguite di iniziativa dei singoli condomini.
Costituisce, viceversa, sopraelevazione, disciplinata dall'art. 1127 c.c., la realizzazione di nuove opere, consistenti in nuovi piani o nuove fabbriche, nonché la trasformazione di locali preesistenti mediante l'incremento di volumi e superfici nell'area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell'ultimo piano.
Infatti, come è stato chiarito l'art. 1127 c.c. trova applicazione in ogni ipotesi di incremento delle superficie e volumetria degli spazi interessati all'intervento di trasformazione del sottotetto, indipendentemente dal fatto che tale incremento dipenda o meno dall'innalzamento dell'altezza del fabbricato, giacché ciò che rileva ai fini dell'applicazione della norma in un senso (diritto a sopraelevare) e nell'altro (obbligo di corresponsione dell'indennità) è la maggior utilizzazione dell'area sulla quale sorge l'edificio.
La sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c. è preclusa non solo se le condizioni statiche non la permettano, ma anche se risulti lesiva dell'aspetto architettonico dell'edificio, dovendosi tenere conto, ai fini della valutazione di compatibilità con le caratteristiche stilistiche dell'immobile, pure delle previsioni del regolamento condominiale di natura contrattuale, eventualmente più restrittive.
In altre parole l'intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, così da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee espresse dal progettista, venendo ad incidere sull'aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. e sul decoro architettonico di cui all'art. 1120 c.c.
In ogni caso, al fine di valutare il pregiudizio all'aspetto architettonico, non ha rilevanza la distinzione fra la facciata principale e le altre facciate dell'edificio, in quanto, nell'ambito del condominio edilizio, le facciate stanno ad indicare l'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che connotano il fabbricato, imprimendogli una fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico; la facciata rappresenta, quindi, l'immagine stessa dell'edificio, la sua sagoma esterna e visibile, nella quale rientrano, senza differenza, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile.
Entro quanto deve essere esercitata l'azione diretta ad ottenere la restitutio in integrum di fronte all'alterazione dell'aspetto architettonico causata dalla sopraelevazione?
Nel caso di soprelevazione lesiva dell'aspetto architettonico (contrariamente a quanto avviene per l'ipotesi in cui le condizioni statiche dell'edificio non consentono la soprelevazione perché in tal caso manca il presupposto della sua stessa esistenza dell'azione di accertamento negativo in quanto tendente a far valere l'inesistenza del diritto è imprescrittibile) i condomini ove intendano limitare il diritto di sopraelevare del proprietario dell'ultimo piano dell'edificio o del lastrico entro i confini del decoro o aspetto architettonico dell'intero immobile, possono opporsi, perché a loro volta titolari del diritto, spettante a ciascuno di loro quali comproprietari, a non vedere pregiudicata la caratteristica architettonica dell'immobile comune.
Del resto è da rilevare che, stante il carattere dispositivo della norma e la posizione di diritto soggettivo del condomino a far valere l'illegittimità della soprelevazione, l'azione intesa ad opporvisi non può non estinguersi per prescrizione se nessuno dei titolari l'abbia esercitata per il tempo determinato dalla legge.
A tale proposito si ricorda che, in caso di sopraelevazione effettuata dal proprietario dell'ultimo piano, l'azione diretta ad ottenere la restitutio in integrum è soggetta alla prescrizione ventennale, a differenza di quella diretta contro una sopraelevazione non consentita dalle condizioni statiche dell'edificio, che risulta imprescrittibile; in ogni caso il dies a quo della prescrizione decorre pur sempre dal momento in cui il titolare del diritto abbia la conoscenza del pregiudizio subito e non già dalla realizzazione dei singoli atti concretanti l'illecita condotta altrui (Cass. civ., sez. I, 13/3/2023, n. 7262).
Una delibera assembleare può costituire valido atto interruttivo del termine utile per usucapire il diritto a mantenere la sopraelevazione abusiva?
La risposta è affermativa. Tale conclusione è evidente se l'assemblea, alla presenza del condomino che ha realizzato la sopraelevazione illecita, con chiara delibera ha espresso l'intenzione di procedere per il soddisfacimento del proprio diritto, dando incarico ad un legale di procedere con le opportune iniziative giudiziali.
L'atto di interruzione della prescrizione ex art. 2943, quarto comma, c.c. e 1219 c.c. non deve necessariamente consistere in una specifica richiesta o in un'intimazione, essendo sufficiente una dichiarazione che, esplicitamente, ma anche per implicito, manifesti l'intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante (Cass. civ., sez. II, 18 agosto 2022, n. 24913).