In tema di azione di impugnazione di delibere condominiali si è sempre discusso sui limiti che l'autorità giudiziaria incontra nella sua decisione e, sul punto, è sempre stato ribadito che la discrezionalità dell'organo giudicante si deve fermare al riscontro della legittimità delle delibere, senza interferire sulla valutazione del merito e sul controllo del potere discrezionale che l'assemblea esercita quale organo sovrano.
Tutto ciò, naturalmente, con esclusione del caso in cui la deliberazione non risulti viziata da eccesso di potere.
La sentenza del Tribunale di Roma, n. 9713 del 19 giugno 2023 ha affrontato la questione dell'impugnativa di una deliberazione negativa, giungendo ad una soluzione inedita.
La domanda del condomino viene respinta dall'assemblea. Fatto e decisione
Un condomino conveniva in giudizio il complesso residenziale di appartenenza al fine di ottenere l'annullamento della delibera con la quale era stata rifiutata la sua richiesta di eseguire lavori di un ampliamento con sopraelevazione che interessavano la proprietà esclusiva.
A dire dell'attore la delibera meritava di essere annullata poiché la decisione negativa dell'assemblea non era sorretta da alcuna motivazione. Sotto un profilo formale, inoltre, la delibera doveva considerarsi illegittima per la violazione dei limiti di delega, in quanto in sede assembleare non si era dato conto delle indicazioni di voto dei deleganti.
Il giudice capitolino annullava la delibera per mancanza di motivazione in merito alla non approvazione del progetto dell'attore configurando l'atto come un rifiuto arbitrario ma non illegittimo, il ché non significava autorizzare il medesimo ad eseguire le opere volute. Veniva, invece, respinta la seconda doglianza del condomino poiché l'esorbitanza dal contenuto della delega può essere eccepita solo dal delegante.
Riflessioni sulla motivazione della delibera negativa e sul suo impatto giuridico
La sentenza del Tribunale di Roma offre lo spunto per alcune riflessioni che nascono proprio dalla motivazione del provvedimento.
Innanzi tutto, sulla tesi della non impugnabilità delle deliberazioni aventi contenuto negativo la giurisprudenza (Cass., sez. ", 14 gennaio 1999, n. 313), illo tempore, ne aveva affermato l'illogicità non avendo la stessa riscontro in alcuna norma di legge. L'art. 1137 c.c., infatti, nello stabilire la possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria (dopo la riforma del 2012: adire l'autorità giudiziaria) contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, non opera alcuna distinzione tra deliberazioni che abbiano approvato proposte o richieste e deliberazioni che le abbiano respinte.
Anzi, secondo la Corte di cassazione, rispetto alle deliberazioni negative vi sarebbe da considerare una loro possibile maggiore incisività sugli interessi dei singoli condomini.
Così come non deve essere sottovalutato il fatto che "il regolamento condominiale o la legge possono essere violati anche negando qualcosa che invece in base alle norme regolamentari o legislative deve essere accordata, e non vi sarebbe ragione per escludere la tutela giurisdizionale in tali situazioni".
Dalla motivazione della sentenza emergono alcuni elementi di fatto che, richiamati dal giudicante, farebbero presumere la sussistenza di una motivazione implicita al rigetto da parte dell'assemblea della domanda avanzata dal condomino, anche se non espressa con modalità formali.
Ci si riferisce, in particolare: al richiamo ad una clausola del regolamento di condominio che richiedeva il preventivo consenso dell'assemblea per qualsivoglia iniziativa edilizia estranea a quanto prescritto nella concessione edilizia; al fatto che il progetto dell'attore, rientrante in tale categoria di opere, era stato già sottoposto in passato (circa sei anni prima) all'esame dei condomini, e, soprattutto alla circostanza che - come risultava dal verbale dell'assemblea oggetto di impugnativa - l'esame non era stato superato positivamente.
Tali elementi (dei quali l'ultimo sembrerebbe il più rilevante) non sono stati sufficienti per il Tribunale per rigettare il motivo di impugnativa, ma hanno indotto lo stesso a pronunciare il seguente principio: "se pure quindi le maggioranze sono state espresse in modo legittimo, le delibere assembleari che respingono una domanda del condomino devono portare a debita conoscenza del singolo le ragioni poste alla base di tale rigetto e ciò per impedire un uso arbitrario delle volontà dei condomini nei confronti di altri condomini".
Ovviamente non si hanno altri elementi se non quelli ricavabili dalla sentenza ma il principio generale enunciato, pur astrattamente condivisibile, deve comunque sempre fare i conti con le singole fattispecie oggetto di giudizio.
Nel caso di specie i lavori che il condomino voleva realizzare riguardavano un ampliamento della proprietà esclusiva in conseguenza di una sopraelevazione. Tale intervento, che comporta sempre una variazione della superficie utile di calpestio e della volumetria, è previsto dall'art. 1127 c.c. come un diritto riservato al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio o del lastrico solare, salvo titolo contrario.
La nuova fabbrica, la cui realizzazione è necessariamente sottoposta al rilascio di un provvedimento amministrativo di concessione, è sottoposta ai precisi divieti e limiti stabiliti nella norma quali: la garanzia che non incida sulla staticità dell'edificio; il rispetto dell'aspetto architettonico dello stabile e la non diminuzione notevole di aria e luce dei piani sottostanti.
Questo è quanto avrebbe dovuto provare l'attore e chiaramente non ha fatto.
Il Tribunale, ai fini dell'annullamento della deliberazione, invece, non ha ritenuto rilevante la ricostruzione scritta dei fatti effettuata dal condominio per motivare la decisione dell'assemblea di respingere la domanda dell'attore, mentre ha posto l'accento su quanto avvenuto in sede di discussione, sempre ad opera del convenuto, in merito all'assenza di motivazione sul rigetto della domanda in questione.
Anche in tale caso resta aperto il problema di stabilire se il giudicante non abbia superato il limite del potere discrezionale dell'assemblea che abbia valutato, secondo proprie ragioni di opportunità, di negare il consenso al condominio.
La sentenza del Tribunale di Roma sia, in ogni caso, di monito al Segretario che redige il verbale assembleare e, ancora prima, al Presidente che lo detta: i motivi per i quali l'assemblea rigetta le richieste avanzate dai condomini e poste come argomenti di discussione all'ordine del giorno devono essere esplicitati.
Seguendo, infatti, il principio dettato dal giudice capitolino la frase classica "dopo ampia ed approfondita discussione l'assemblea respinge…" potrebbe non essere più sufficiente per conferire validità ad una delibera negativa. Qualunque essa sia.