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Uso dei beni condominiali: ogni comproprietario ha diritto all'uso più comodo per i suoi fini nel rispetto del diritto degli altri

Tutti i condomini possono trarre dalle parti comuni la maggior utilità possibile in relazione al miglior godimento delle porzioni di piano di proprietà esclusiva.
Avv. Alessandro Gallucci 

L’uso delle cose comuni rappresenta uno degli argomenti di maggiore interesse in ambito condominiale. Sappiamo che, per quanto ci dice la legge, i beni in condominio sono, come s’intuisce dallo stesso termine, in comproprietà tra più persone.

Questa comproprietà non è, come per la comunione, fine a se stessa ma è funzionale a pieno godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva. Ciò detto ci si chiede spesso come i singoli condomini possano usare i beni comuni.

La giurisprudenza, da ultimo con la sentenza di Cassazione n. 22092 dello scorso 22 ottobre, è costante nell’affermare che tutti i condomini possono trarre dalle parti comuni la maggior utilità possibile in relazione al miglior godimento delle porzioni di piano di proprietà esclusiva.

L’addentellato normativo di questa presa di posizione risiede nell’art. 1102, primo comma, c.c. (dettato in materia di comunione ma applicabile al condominio in virtù del richiamo alle norme sulla comunione in generale contenuto nell’art. 1139 c.c.).

La Suprema Corte, con l’ultima sentenza succitata, riprendere quest’orientamento ribadendolo e di conseguenza rinforzandolo. Si legge nella sentenza n. 22092 che “ secondo Cass. 2004 n. 7044, in considerazione della peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato dalla coesistenza di una comunione forzosa e di proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui è diviso il fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidarietà si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi necessariamente alla stregua delle norme che disciplinano la comunione - che l'uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri (Cass. n. 8808/2003).

Trova perciò applicazione la disciplina, che regolando in modo particolare e specifico, il godimento e l'utilizzazione dei beni comuni, ha natura speciale rispetto alla normativa che, nell'ambito dei rapporti di vicinato, stabilisce le limitazioni legali fra proprietà confinanti, che sono imposte con carattere di reciprocità indipendentemente dalla verifica di un pregiudizio derivante dalla loro inosservanza.

Al riguardo occorre fare riferimento quindi all'art. 1102 cod. civ. - applicabile, ai sensi dell'art. 1139 cod. civ., al condominio - che, nello stabilire i poteri e i limiti di ciascun partecipante nell'uso dei beni comuni, fissa al tempo stesso le condizioni di liceità della condotta del comunista.

Con riferimento al condominio la norma consente, infatti, la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso.

In definitiva l'estensione del diritto di ciascun comunista trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti (Cass. n. 10453/2001)”. (Cass. 25 ottobre 2011 n. 22092).

Per sintetizzare il concetto parafrasando un modo di dire assai noto: per il condomino la libertà d’uso delle cose comuni finisce dove inizia quella degli altri.

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