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Tutela del possesso in condominio: attenzione all'esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Per legittimare un'auto reintegrazione del possesso di un bene, il ricorso al giudice deve essere impossibile e la reazione allo spoglio altrui deve essere immediata.
Avv. Marco Borriello Avv. Marco Borriello 

Nella tumultuosità dei rapporti in condominio, può succedere che un singolo proprietario, sfiancato dagli altrui comportamenti illeciti e sfiduciato dai rimedi ordinari previsti dall'ordinamento, si faccia giustizia da sé. Ad esempio, ciò potrebbe accadere per inibire e, quindi, recuperare il possesso di un'area privata, da tempo indebitamente attraversata e/o utilizzata dagli altri.

Magari, per realizzare quella che, tecnicamente, viene definita auto reintegrazione del possesso, il proprietario potrebbe apporre un cancello, con tanto di lucchetto, per chiudere ogni accesso.

Ebbene, ciò sarebbe lecito? L'esistenza di un diritto e la consapevolezza, quindi, di volerlo difendere dall'altrui compromissione, legittimerebbe, sempre e comunque, l'auto tutela del possesso? Se la risposta dovesse essere negativa, in quali casi, invece, la detta auto reintegrazione sarebbe consentita?

Ha risposto a queste domande la recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 40704 del 15 settembre 2023. Lo ha fatto nell'esaminare un ricorso averso una decisione della Corte di Appello de L'Aquila con la quale il titolare di un immobile in condominio era stato condannato per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (ex art. 392 cod. pen.).

Approfondiamo, dunque, il caso concreto.

Tutela del possesso in condominio: attenzione all'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Fatto e decisione

In un condominio abruzzese, il titolare di un'area nel seminterrato del fabbricato, asseritamente a lui appartenente, aveva, improvvisamente, precluso ogni accesso alla medesima, apponendo un cancelletto, con tanto di chiavistello.

La descritta condotta non era, però, tollerata dagli altri proprietari e l'autore del fatto era, quindi, querelato.

La vicenda giudiziaria si dipanava in due gradi di giudizio entrambi conclusi con una sentenza di condanna. Secondo i magistrati di merito, infatti, il proprietario dell'area, pur potendo ricorrere al giudice ordinario per tutelare il suo presunto diritto, aveva, arbitrariamente, esercitato le proprie ragioni con violenza sulle cose. Per questi motivi doveva essere sanzionato ai sensi e per gli effetti dell'art. 392 cod. pen.

L'azione penale, perciò, su ricorso del condannato, era affidata alla Corte di Cassazione, dinanzi alla quale il soccombente riproponeva tutte le argomentazioni, precedentemente, sottoposte al vaglio della Corte di Appello per ribaltare il primo verdetto negativo. Per gli Ermellini, però, tale impostazione difensiva era inammissibile e il ricorso andava respinto.

Nell'occasione, però, la Suprema Corte ha ricordato che, in tema di tutela del possesso, anche in ambito condominiale, la cosiddetta auto reintegrazione non può avvenire a discrezione della parte lesa. La coscienza e volontà di farsi giustizia da solo, nel fermo convincimento di esercitare un proprio diritto, non può giustificare l'agente che, invece, sarebbe potuto ricorrere alla magistratura (ex multis Cass. pen Sez. 6, n. 13115 del 6 febbraio 2001; Sez. 6, n. 41368 del 28/10/2010).

In questo caso, quindi, si tratta di una condotta antigiuridica in quanto tale perseguibile penalmente.

Condominio e reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni: meglio evitare

Il ricorso, perciò, è stato rigettato e il condomino è stato condannato al pagamento delle spese di giudizio.

Considerazioni conclusive

In tema di recupero del possesso di un bene, indebitamente sottratto al titolare o illegittimamente utilizzato da terzi, nell'interpretare la fattispecie di reato prevista dall'art. 392 cod. pen., la giurisprudenza di legittimità ha, più volte, affermato che l'auto reintegrazione è lecita solo a determinate condizioni.

Il ricorso al giudice, infatti, deve essere impossibile e la reazione allo spoglio altrui deve essere immediata "l'auto reintegrazione nel possesso di una cosa, della quale taluno venga spogliato clandestinamente o con violenza, opera come causa speciale di giustificazione solo quando sia impossibile il ricorso al giudice e sussista la necessità impellente di ripristinare il possesso perduto, al fine di evitare il consolidamento della nuova situazione possessoria (Sez. 6, n. 10602 del 10/02/2010, Costanzo, Rv. 246409; Sez. 6, n. 2548 del 08/01/2010, Giommetti, Rv. 245854). - Può dunque escludersi il delitto nella sola ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni da parte di colui che usi violenza sulle cose al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di spoglio, sempre che l'azione reattiva avvenga nell'immediatezza di quella lesiva del diritto".

Nel caso si specie, evidentemente, il consolidamento della nuova situazione possessoria, caratterizzata dal paventato indebito passaggio sull'area privata, si era ormai verificato da tempo. Alla luce delle predette affermazioni non era, perciò possibile farsi giustizia da sé. Bisognava, ricorrere alla tutela ordinaria.

In tale ipotesi, il comportamento contestato non era, perciò, giustificabile "l'auto reintegrazione nel possesso di una cosa, della quale taluno sia spogliato clandestinamente o con violenza, opera come causa speciale di giustificazione solo quando sia impossibile il ricorso al giudice e l'azione reattiva avvenga nell'immediatezza di quella lesiva del diritto, per l'impellente necessità di ripristinare il possesso perduto, al fine di impedire il consolidamento della nuova situazione possessoria (Cass. pen. Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020)".

Sentenza
Scarica Cass. Pen. 15 settembre 2023 n. 40704
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