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Trasformazione di cornicioni condominiali in balconi: quali limiti?

Abuso edilizio sulle parti comuni condominiali.
Dott. Dario Balsamo 

Un condomino calabrese dopo aver trasformato i cornicioni condominiali in balconi ad uso esclusivo, chiedeva al Comune il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria relativo alla messa in opera di ringhiera metallica e pavimentazione su "esistenti balconi" nonché l'apertura di un accesso su un parapetto al sesto piano di un edificio.

Il Comune non ha però concesso il titolo richiesto in quanto le opere sarebbero state realizzate non già su balconi preesistenti bensì su un cornicione e su un parapetto, beni che ricadrebbero in comunione a tutti i condomini.

Il condomino ricorreva così al TAR, il quale, si è pronunciato con sentenza n. 1556 del 21 agosto 2018, rigettando il ricorso proposto.

Preliminarmente il Collegio della prima sezione di Catanzaro ha affermato che, per la loro attinenza alla facciata, i cornicioni debbono di regola considerarsi parte comune dell'edificio, sebbene non espressamente menzionati dall'art. 1117 c.c., la cui elencazione è, peraltro, del tutto esemplificativa. In tale caso i lavori da eseguire su parti comuni del fabbricato condominiale possono essere legittimamente eseguiti soltanto previa approvazione di tutti i condomini.

Difatti, in base all'art. 11, co. 1 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.

Alla luce di quanto sopra è necessario richiedere quindi il consenso degli altri condomini affinché il singolo possa realizzare opere sulle parti comuni.

Infatti, secondo ormai un pacifico orientamento giurisprudenziale, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria.

Alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi può provvedere anche ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima; ciò, però, a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario.

In altre parole, la Pubblica Amministrazione ha il potere-dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo di godimento dell'intero bene interessato dal progetto e di subordinare il rilascio del permesso di costruire al consenso di tutti i proprietari per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può essere modificata o compressa dall'Amministrazione.

È pertanto illegittimo, per difetto di istruttoria e di motivazione, il permesso di esecuzione di tali opere rilasciato su istanza solo di alcuni comproprietari in quanto l'amministrazione non ha verificato l'effettiva corrispondenza tra la richiesta del permesso e la titolarità del diritto di godimento.

Non a caso, ha ricordato il TAR nella motivare la propria pronuncia, che è inapplicabile l'istituto del condono, laddove l'abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente opinando, l'amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati all'eliminazione dell'abuso anche in via amministrativa e non solo con azioni privatistiche.

In questi termini, l'operato dell'Amministrazione intimata è stato ritenuto legittimo. A nulla sono quindi valse le doglianze mosse dal singolo condomino il quale eccepiva che l'Amministrazione non avrebbe tenuto conto della documentazione presentata in sede endoprocedimentale, nonché travisato i fatti e esorbitato i propri limiti, pretendendo di risolvere una controversia circa la titolarità del diritto di proprietà sull'area interessata dai lavori.

Deve inoltre segnalarsi che il Collegio, nel caso in esame, ha altresì fondato la propria pronuncia sull'ulteriore elemento che, il condomino, non ha specificamente contestato uno dei motivi di rigetto della domanda di permesso di costruire in sanatoria.

In particolare dalla documentazione prodotta non si evincerebbe se i cornicioni siano atti a sopportare i sovraccarichi, permanenti o accidentali, previsti dalla normativa vigente per le civili abitazioni.

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