Nell'ambito dei trasferimenti aventi ad oggetto i terreni, la legge impone alle parti di allegare all'atto il certificato di destinazione urbanistica di cui all'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e, prima ancora, previsto dall'art. 18 della Legge n. 47 del 1985. In caso contrario, l'atto di cessione sarebbe nullo. Lo scopo di tale previsione normativa è quello di evitare l'annoso fenomeno della lottizzazione abusiva.
In molti casi, però, il trasferimento in questione è preceduto da un contratto preliminare. In questo caso, quindi, le parti si impegnano a prestare il proprio consenso al passaggio di proprietà in un momento successivo e, cioè, alla stipula del rogito notarile. Si discute, pertanto, se il preliminare di compravendita di un terreno sia valido, seppur mancante del certificato di destinazione urbanistica.
È, frequentemente, oggetto di valutazione, altresì, l'ipotesi in cui il detto certificato manchi al momento della proposizione dell'azione ex art. 2932 cod. civ. Si sta parlando, cioè, di quel procedimento diretto a costituire il trasferimento del terreno, nel caso in cui una delle parti si sottragga al rispetto dell'impegno preliminare.
Ebbene, in tale circostanza, il certificato di destinazione urbanistica quale valore assume? In particolare, può essere prodotto in corso di causa, senza inficiare in alcun modo, l'accoglimento della domanda?
Ha dato risposta agli anzidetti quesiti la recente ordinanza della Cassazione n. 27339 del 19 settembre 2022. Tuttavia, prima di capire come hanno risposto gli Ermellini, è opportuno approfondire il caso concreto.
Il certificato di destinazione urbanistica del terreno: il caso concreto
Nella sentenza in commento, è stato oggetto di valutazione un preliminare di compravendita di un lotto di terreno a favore di un socio di una cooperativa.
In particolare, il pedissequo trasferimento era avvenuto a seguito dell'accoglimento dell'azione di cui all'art. 2932 cod. civ. da parte dell'invocato Tribunale di Roma. La sentenza de quo era, poi confermata in appello.
Quindi, la parte interessata a contrastare il passaggio di proprietà proponeva ricorso in Cassazione.
Secondo la tesi del ricorrente, i giudici di merito avevano errato nel confermare la legittimità del trasferimento poiché, così facendo, avevano violato il divieto di lottizzazione abusiva sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001.
Inoltre, per la parte istante, la Corte di Appello aveva sbagliato nell'avallare una sentenza di primo grado che aveva accolto l'azione de quo, nonostante il certificato di destinazione urbanistica del terreno fosse stato prodotto solo in un momento successivo e, cioè, proprio nel corso del secondo grado di giudizio.
Ebbene, nonostante le descritte motivazioni, il ricorso è stato respinto
Certificato di destinazione urbanistica: la normativa
In materia di trasferimento dei terreni, l'attuale normativa prevede che gli atti siano nulli nel momento in cui non sono supportati dalla presenza del certificato di destinazione urbanistica «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati ne' trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l'area interessata.
Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici censiti nel nuovo catasto edilizio urbano, purché la superficie complessiva dell'area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati (art. 30 co. 2 Dpr. 380/2001)».
La disposizione appena citata, sicuramente applicabile al rogito notarile che trasferisce definitivamente l'immobile, impone, però, una riflessione: che effetti produce tale dettato normativo nei riguardi di un eventuale compromesso? Si può parlare di nullità anche nei riguardi di un atto che, sostanzialmente, non produce alcun effetto traslativo?
Mancanza del certificato di destinazione urbanistica: quali effetti sul compromesso?
Per la giurisprudenza è ormai pacifico che la mancanza del certificato di destinazione urbanistica non comporta alcuna invalidità del preliminare di compravendita di un terreno.
L'effetto prodotto da tale accordo non è quello traslativo, diversamente affidato al successivo rogito notarile.
È, perciò, solo in questo momento che il suddetto documento sarà rilevante ed essenziale per consentire un valido passaggio di proprietà.
Le precedenti considerazioni finiscono per condizionare anche l'analoga vicenda del trasferimento del diritto a seguito dell'azione di cui all'art. 2932 cod. civ.
Per la Cassazione, infatti, più volta espressasi sull'argomento, la presenza del certificato non è un presupposto, ma è una semplice condizione per l'accoglimento della domanda. Ragion per cui, l'esistenza del certificato e la sua produzione agli atti di causa può essere disposta, persino, d'ufficio e avvenire anche in corso di causa, purché intervenga prima della decisione della Corte di Appello «In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, la sussistenza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di cui all'art. 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l'inizio dell'opera in data anteriore al 2 settembre 1967, non costituisce un presupposto della domanda, bensì una condizione dell'azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite.
Ne consegue che la carenza del relativo documento è rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, con l'ulteriore conseguenza che sia l'allegazione, che la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purché prima della relativa decisione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23825 dell'11/11/2009)» e ancora «Il principio va esteso anche al certificato di destinazione urbanistica, posto che esso - in modo assolutamente analogo alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio ex art. 40 della Legge n. 47/1985 attestante l'inizio dell'opera prima del 2.9.1967 - va acquisito agli atti del giudizio allo scopo di assicurare la trasferibilità del bene immobile oggetto della controversia (Cass. ord. n. 16068/2019)».
Sono state, dunque, queste le ragioni per cui, nel caso in commento, la Cassazione non ha accolto i motivi del ricorso.