All'esito di trattative tra condominio e condòmini in ordine alla definizione di una lite, particolare attenzione va posta agli step da compiere per consolidare i desiderata delle parti, cioè le obbligazioni reciproche oggetto dell'accordo, poiché, in difetto, il contratto raggiunto rimarrà lettera morta.
Con particolare ed ulteriore attenzione laddove l'oggetto della lite fosse il riparto delle spese per beni o servizi comuni in modo difforme rispetto a quanto previsto dagli artt. 1123 e ss. c.c.
È quanto ci rammenta la Cassazione, con l'ordinanza n. 31566 del 25 ottobre 2022.
Esito della sentenza sulla controversia condominiale
Apprendiamo dalla narrativa della pronuncia in esame che i Giudici di legittimità sono stati investiti del ricorso avverso una sentenza della Corte d'Appello di Milano, concernente una controversia tra un condominio e la condomina Tizia.
Costei aveva impugnato una delibera del 2012, ritenendo che il riparto delle spese per la manutenzione di parte del lastrico solare ad uso esclusivo di alcuni condòmini violasse il contratto di transazione raggiunto tra il condominio medesimo e Caio, comproprietario del lastrico.
La delibera in questione aveva deciso per la ripartizione delle spese in base al criterio legale di cui all'art. 1126 c.c. (1/3 al proprietario esclusivo del lastrico, 2/3 ai condòmini sottostanti), mentre il contratto di transazione, secondo Tizia, accollava l'intero importo delle spese straordinarie del lastrico a Caio.
Sia il Tribunale che la Corte d'Appello milanesi rigettarono la domanda di Tizia.
La Cassazione, ritenendo il primo motivo di ricorso avanzato da Tizia infondato ed il secondo motivo inammissibile, rigetta l'impugnativa, confermando così la sentenza di II°.
Validità e efficacia della transazione condominiale
Rileva la Cassazione come la Corte d'Appello avesse correttamente argomentato in ordine alla successione dei fatti oggetto di causa che aveva portato alla regolamentazione delle spese inerenti il lastrico.
Nella ricostruzione della Corte d'Appello, il condominio, con due delibere del 1998 e 1999, aveva previsto di dare incarico all'amministratore e ad un legale affinché perfezionassero una transazione tra il medesimo ente e Caio, che contemplasse l'obbligo di Caio a provvedere, pro futuro, cioè dall'accordo in poi, alle spese straordinarie del lastrico in parola e che avrebbe dovuto essere trascritta nei Registri Immobiliari - all'evidente scopo, immaginiamo, di obbligare tutti i futuri aventi - causa di Caio, cioè coloro che gli sarebbero subentrati nella proprietà del lastrico, così da vincolare anche costoro a sostenere dette spese, esonerandone i condòmini sottostanti il lastrico medesimo.
Tuttavia, la transazione in parola non risulta essersi mai perfezionata - almeno, come osservano i Giudici d'appello, stando alle prove fornite da Tizia in I° e II°: infatti, non è dirimente la delibera del 1998, che decideva unicamente la rinuncia ad un'eventuale azione cautelare ex art. 700 c.p.c. da parte del condominio, né è decisivo il documento inquadrato come 'contratto di transazione', sottoscritto il 30 aprile 2001 tra il condominio e Caio, in quanto a tale data Caio non era più proprietario del lastrico, avendone ceduto la titolarità a Sempronia, Mevio e Filana il 22 giugno 2000, quindi quasi un anno prima della firma della ipotetica transazione.
Secondo la Cassazione, la Corte d'appello ha argomentato la decisione escludendo che la delibera del 1998 integrasse di per sé un negozio di transazione, atteso che l'assemblea si era limitata a dare mandato all'amministratore e ad un legale del condominio ad attivarsi per giungere ad un accordo con Caio sulle spese del lastrico, incarico che poi non aveva avuto seguito, considerata, da un lato, l'indeterminatezza del suo oggetto (che non faceva riferimento ai limiti, disposti dall'Assemblea, dell'attività dispositiva affidata all'amministratore), dall'altro, che alcuna transazione era mai stata sottoscritta tra le parti, né tantomeno trascritta nei registri immobiliari, non essendo stato prodotto alcun accordo firmato da tutti i condomini.
Quindi, continua la Corte, «la Corte d'appello ha correttamente statuito che la delibera condominiale del 1998 non può considerarsi di per sé un particolare accordo contrattuale fra il condominio e uno dei condòmini - non essendo il documento sottoscritto da tutti i condòmini e non avendo dunque in questo modo acquistato l'effetto probante e la funzione propria della scrittura privata facente fede della volontà comune di tutti gli aventi diritto (Cass. 16/03/1996 n. 2297)».
Inoltre, la Corte dà risposta alle lagnanze di Tizia che riteneva che i Giudici dell'appello avessero violato i criteri ermeneutici contrattuali di cui agli artt. 1362 e ss c.c., osservando come «né la disposizione dell'assemblea a dare mandato all'amministratore e ad un avvocato per la stesura di una futura transazione con il condòmino, né la scrittura privata tra il [Caio] e il condominio in data 30/04/2001 con cui il primo avrebbe assunto l'onere del pagamento di tutte le spese successive inerenti il terrazzo, possono assurgere a parametro di interpretazione di un contratto ai sensi degli invocati articoli.
Infatti, il comportamento delle parti al quale queste norme si riferiscono concerne l'attività post-contrattuale che sia diretta alla realizzazione degli interessi regolati dal negozio e, per questo, offrono uno strumento sussidiario di accertamento della volontà negoziale non chiaramente desumibile dal testo del contratto (già Cass. 17/07/1973 n. 2092), tenendo conto che la sottoscrizione dal [Caio] è avvenuta nel 2001, solo quando lo stesso non era più proprietario dell'immobile del terzo piano e del terrazzo per averli venduti a [Sempronia, Mevio e Filana] il 22/06/2000.
Pertanto, l'assenza ab origine di un atto di transazione rende impossibile l'adozione dei cd. criteri di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. cc, di cui la [Tizia] lamenta la violazione».
Il riparto delle spese e la deroga convenzionale
Riteniamo opportuno inserire un inciso relativo alla circostanza, non direttamente presa in esame dalla sentenza, che si è maggiormente concentrata sulla venuta ad esistenza del contratto transattivo, relativa alla deroga al riparto delle spese per la manutenzione del lastrico.
Innanzitutto, sottolineiamo che da quanto si apprende dalla pronuncia, oggetto della transazione sarebbero state le sole spese straordinarie per il lastrico, quindi non anche la manutenzione ordinaria, incluse le «riparazioni» menzionate dall'art. 1126 c.c. ma escluse le «ricostruzioni» sempre menzionate dall'art. 1126 c.c., laddove le si voglia/debba ritenere come opere straordinarie.
Ebbene, partendo dal dato normativo e letterale per cui l'art. 1138 c.c., 4° comma, non dichiara come inderogabili nessuna delle norme che regolano il riparto delle spese tra i condòmini, comprendiamo già come dette norme sul riparto siano di fatto derogabili.
Come? Ce lo dice l'art. 1123 c.c., 1° comma, quando afferma che le spese si dividono in base al valore della proprietà di ciascun condòmino, «salvo diversa convenzione».
Detta convenzione potrà essere la disciplina dettata dal Regolamento condominiale di natura contrattuale, che sia stato sottoscritto ed accettato da tutti i condòmini oppure dalla convenzione (accordo) sempre sottoscritto da tutti i condòmini in sede assembleare.
Come sempre, richiamiamo l'attenzione del lettore a non confondere la sede assembleare con le maggioranze assembleari: ciò che conta è che la disciplina delle spese sia stata accettata e sottoscritta da tutti i condòmini, mentre non rileva che questo sia avvenuto durante un'Assemblea oppure dinnanzi ad un Notaio o per accettazione del Regolamento (già predisposto) all'atto di acquisto.
L'accorta giurisprudenza della Cassazione ha ormai da tempo sottolineato che una simile convenzione che escluda totalmente uno o più condòmini dalle spese per un bene o servizio comune oppure che, al contrario, accolli totalmente le spese ad uno o più condòmini, incide anche sul loro diritto di proprietà, per una sorta di proprietà (si perdoni la ripetizione, necessaria) transitiva, per cui se non sono proprietario non pago le spese e viceversa.
Per cui, avendo una simile convenzione, derogatrice dei criteri di spesa, un tale effetto reale, se ne sostiene la necessaria (ad substantiam) forma scritta ai sensi dell'art. 1350 c.c.
Anche se non mancano pronunce e voci contrastanti le quali ancora ammettono che la modifica dei criteri legali di spesa possa avvenire anche per facta concludentia, ovvero, ad esempio, il fatto che da tempo immemore o comunque assai risalente, i condòmini abbiano sempre approvato rendiconti che prevedevano riparti di spese difformi rispetto al criterio legale.
Rimane da chiarire meglio, a sommesso avviso di chi scrive, il rapporto di causa ad effetto evidenziato sopra tra la deroga all'imputazione delle spese e la 'modifica' dell'assetto proprietario ed alla c.d. presunzione di comproprietà sui beni comuni - nel senso che, se solo uno o alcuni 'pagano' per essi, detti beni sono loro e non più del condominio.
Nel caso di specie, la Corte d'Appello aveva evidenziato che la transazione voluta dal condominio avrebbe dovuto essere adottata con atto o con delibera accettati e sottoscritti da tutti i condòmini, di talché, laddove anche il contratto di transazione firmato tra il condominio (l'amministratore) e Tizio non fosse stato 'viziato' per i problemi sopra indicati (Caio non era più proprietario e l'atto non risultava trascritto), sarebbe comunque stato invalido mancando la prova dell'accettazione da parte di tutti i condomini.