Un'interessante sentenza del Tar Lazio (datata 22 giugno 2022) ha deciso in merito alla legittimazione della richiesta del permesso di costruire in sanatoria quando si tratta di opere realizzate all'interno di un'abitazione privata in condominio. Per la precisione, il giudice amministrativo ha risposto al seguente quesito: chi deve chiedere il permesso in sanatoria per la tettoia sul terrazzo? Analizziamo la vicenda.
Richiesta di sanatoria per tettoia: il contesto condominiale
Un condomino proponeva ricorso al giudice amministrativo avverso il provvedimento con cui il Comune negava il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Nello specifico, l'ente locale riteneva che l'intervento, consistente nella realizzazione di opere di copertura delle terrazze dell'appartamento di proprietà, incidesse significativamente sui prospetti, aumentandone l'altezza e modificando la sagoma della palazzina, con la conseguenza che la legittimazione a chiedere il titolo edilizio (anche in sanatoria) non sarebbe spettata ai medesimi «in quanto il "bene" che è stato interessato dalla avvenuta trasformazione edilizia non è già le sole terrazze di proprietà, bensì l'intero stabile nel suo insieme, la sua originaria architettura e il suo decoro, che appartengono al condominio, il quale non ha autorizzato le opere di copertura».
Insomma: attesa la portata dell'intervento, a chiedere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria avrebbe dovuto essere il condominio.
Sanatoria tettoia in condominio: i motivi del ricorso
Il condomino proprietario, con ricorso al Tar, riteneva di essere l'unico legittimato a richiedere la sanatoria, trattandosi di intervento operato sulla sua proprietà esclusiva e non su parti comuni del fabbricato, né spetterebbe al Comune interessarsi degli aspetti civilistici, potendo il soggetto terzo ottenere eventuale tutela innanzi al giudice ordinario e dovendo l'Amministrazione limitare la propria verifica all'osservanza dei limiti legali dell'attività edificatoria, che nel caso di specie sarebbero stati pacificamente rispettati.
Il ricorrente richiamava altresì la disposizione dettata dall'art. 1102 c.c., che legittimerebbe sul piano civilistico le opere di cui trattasi da parte del singolo comunista, trattandosi di un uso più intenso della cosa comune che non alterata la destinazione del bene né impedisce agli altri partecipanti il pari uso.
Tettoia sul terrazzo: chi può chiedere la sanatoria?
Il Tar Lazio, con la sentenza in commento, ritiene fondato il ricorso.
L'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 prevede infatti che «Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo», laddove anche l'art. 36 del medesimo Testo Unico contempla in capo al responsabile dell'abuso o «all'attuale proprietario dell'immobile» la possibilità di ottenere il permesso in sanatoria.
Il legislatore, dunque, accorda al proprietario dell'immobile (o al titolare di un diritto di godimento sul bene che lo autorizzi a disporne con un intervento "costruttivo" - si pensi all'usufruttuario) la legittimazione a chiedere il permesso di costruire, ivi compreso quello rilasciato in sanatoria.
Né potrebbe essere altrimenti, posto che nelle facoltà in cui si estrinseca il contenuto del diritto di proprietà ex art. 832 c.c. rientra anche lo ius aedificandi, cui è correlato l'interesse legittimo pretensivo ad ottenere un titolo ampliativo della sfera giuridica del privato (funzionale a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla libera esplicazione di detta facoltà edificatoria).
Nemmeno rileva la circostanza secondo la quale l'immobile interessato da opere per le quali venga richiesto il titolo edilizio sia ubicato all'interno di un condominio: laddove infatti l'intervento sia comunque realizzato nell'unità di uno dei condòmini, la legittimazione non può che restare in capo allo stesso soggetto, in qualità appunto di "proprietario" (esclusivo) dell'immobile interessato dal proposito edificatorio.
Il condominio non può chiedere la sanatoria
Erroneamente il Comune ha ritenuto che il bene interessato dall'intervento sarebbe non già l'appartamento di cui il ricorrente è titolare, quanto piuttosto "l'intero stabile nel suo insieme", ossia il condominio, avendone l'intervento asseritamente modificato la sagoma e il decoro architettonico.
La motivazione addotta dall'Amministrazione è illegittima, perché giunge ad escludere la legittimazione del proprietario dell'unità immobiliare «tentando di attribuire una consistenza materiale a concetti astratti (quali quelli di sagoma, decoro architettonico e prospetti), configurandoli alla stregua di "beni" di appartenenza condominiale (che a suo giudizio sarebbero incisi dalle opere abusive), laddove invece la proprietà indivisa dei condomini attiene a cose che hanno una loro fisicità e tangibilità, quali sono le parti comuni elencate dall'art. 1117 c.c.».
Inoltre, il diniego sembrerebbe adombrare una qualificazione del condominio in termini di soggetto di diritto, e quindi titolare del potere di autorizzare le opere e conseguentemente legittimato ad ottenerne il relativo titolo, laddove invece è consolidata in giurisprudenza la tesi secondo cui si tratterebbe di un mero ente di gestione, privo di personalità giuridica (cfr. da ultimo T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 18.05.2022, n. 6276), spettando invece la titolarità delle cose comuni ai singoli condomini.
Peraltro, costituisce facoltà del singolo condomino eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni dell'edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare, in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 c.c. (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 c.c. (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 c.c. (divieto al condomino di realizzare opere che danneggino le cose comuni).
Il Comune non può valutare profili civilistici
Ha inoltre ragione il ricorrente a ritenere che, ai fini del rilascio del titolo, l'Amministrazione comunale sia chiamata esclusivamente a verificare la conformità dell'intervento alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, senza essere tenuta a valutare ulteriori profili, segnatamente quelli che attengono ai rapporti privatistici, né accertare l'esistenza di eventuali limitazioni negoziali apposte allo ius aedificandi.
Ne consegue che l'eventuale opposizione del "condominio" (o meglio, dei singoli condòmini) alla realizzazione di un intervento che interessa un'unità immobiliare di proprietà esclusiva non potrebbe di per sé costituire motivo legittimo per negare il relativo titolo edilizio, non assumendo rilievo, a tali fini, le vicende afferenti ai rapporti di diritto privato tra i condòmini.