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Il condomino rimuove le tende del vicino per tutelare il proprio diritto di veduta. Scatta la violazione di domicilio

Il proprietario dell'appartamento superiore condannato per violazione di domicilio dopo aver rimosso le tende del vicino, evidenziando i rischi legali legati all'autodifesa in contesti condominiali.
Avv. Marcella Ferrari del Foro di Savona 
31 Mar, 2017

Viene condannato per violazione di domicilio il proprietario dell'appartamento soprastante che si introduca nel giardino altrui per rimuovere le tende che gli tolgono la visuale e che sono oggetto di contesa tra le parti

La vicenda. Tra il condomino del piano superiore e quello del piano inferiore di un palazzo, pendeva una causa civile in ordine al posizionamento delle tende da parte del proprietario dell'unità immobiliare inferiore. Quest'ultimo, in modo del tutto arbitrario, le aveva installate ugualmente.

In ragione di ciò, il proprietario del piano superiore, esasperato dal comportamento della controparte - ritenuto provocatorio - si era introdotto nel suo giardino, rimuovendole.

La sua condotta è stata qualificata come violazione di domicilio (art. 614 c.p.) e ne è seguita la condanna. Si giunge sino in Cassazione.

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.). L'imputato ricorre contro la condanna della Corte d'appello e si difende proponendo una diversa qualificazione giuridica del fatto: il reato di "ragion fattasi" (art. 392 c.p.).

Si tratta di un delitto contro l'amministrazione della giustizia che punisce chiunque, potendo ricorrere al giudice, si faccia giustizia da sé mediante violenza sulle cose.

La pena è relativamente mite: il reo è punito - a querela della persona offesa - con una multa sino a 516,00 euro.

I giudici di legittimità rigettano la ricostruzione dell'imputato, ritenendo integrata la più grave fattispecie di violazione di domicilio (art. 614 c.p.).

Secondo il percorso argomentativo della Suprema Corte, infatti, il reo per staccare le tende ha atteso che il proprietario dell'appartamento sottostante si allontanasse, al fine di introdursi clandestinamente nel suo giardino.

La predetta attesa rappresenta un quid pluris, ossia concretizza una condotta ulteriore e deteriore rispetto al mero esercizio delle proprie ragioni.

Secondo l'insegnamento della giurisprudenza maggioritaria, il reato di violazione di domicilio resta assorbito in quello di ragion fattasi «quando l'esercizio del preteso diritto si concreti nel semplice ingresso e nella sola permanenza "invito domino" nell'altrui abitazione, ovvero negli altri luoghi indicati nell'art. 614 c.p., mentre se l'agente faccia ricorso a comportamenti violenti per le cose o le persone, per realizzare l'ingresso contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, eventualmente anche al fine di asportare cose su cui egli vanta un diritto, viola entrambe le ipotesi delittuose» (Cass. Pen. 8383/2013).

Nel caso di specie, l'imputato non si era limitato a smontare le tende, oggetto della contesa, ma si era introdotto clandestinamente nel giardino, attendendo che il proprietario si allontanasse ed esercitando una violenza sulle cose (ossia rimuovendo la tenda).

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Provocazione e circostanze attenuanti. La difesa del reo sostiene che vi sia stata una condotta provocatoria da parte del proprietario dell'appartamento sottostante ed invoca la relativa attenuante (art. 62 n. 2 c.p.), ossia «l'aver agito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui».La provocazione postula un comportamento da parte della vittima del reato contrastante non solo con le norme giuridiche, ma anche con quelle morali, sociali o di costume; in altre parole con le regole che disciplinano la civile convivenza.

Inoltre, occorre che la condotta di cui sopra abbia cagionato uno sconvolgimento emotivo che provochi nell'agente la perdita dell'autocontrollo e conducaalla reazione [1].

La provocazione non si ritiene sussistente allorché non vi sia proporzione tra l'azione e la reazione [2].

L'imputato invoca, altresì, la circostanza di cui all'art. 62 n. 4 c.p., ossia aver cagionato un danno di speciale tenuità.

La norma fa riferimento ad un valore di carattere patrimoniale; in buona sostanza, occorre analizzare l'entità obiettiva del nocumento cagionato.

Nel caso di specie, l'imputato si era sentito provocato dall'illegittima installazione delle tende; tanto è vero che, a seguito di un procedimento d'urgenza in sede civile, il giudice ne aveva ordinato la rimozione.

Nonostante ciò, la Corte di Cassazione conferma la mancata la concessione delle succitate circostanze, già avvenuta in appello, in quanto non sono stati provati dal reo gli elementi di fatto a loro sostegno.

Violazione di domicilio (art. 614 c.p.).La condotta dell'imputato è qualificata come violazione di domicilio, fattispecie che prevede la reclusione da 6 mesi a 3 anni; il reatoè aggravata qualora sia commesso con violenza sulle cose.

La suddetta aggravante si concretizza allorché si determini un'alterazione dell'aspetto e/o della funzione della cosa. Inoltre, tra la violenza ed il fatto deve sussistere un nesso teleologico (Cass. Pen. 27 aprile 1982, CP 83, 2022).

Il reato sanziona chiunque si introduca nell'abitazione altrui o in altri luoghi di privata dimora, clandestinamente o con l'inganno, o contro la volontà, espressa o tacita, di chi abbia il diritto di escluderlo.

La norma intende tutelare la cosiddetta "libertà domestica", vale a direil diritto dell'individuo di vivere tranquillamente nella propria casa, senza intrusioni o interferenze arbitrarie [3].

Il giardino è uno dei luoghi tutelati dall'art. 614 c.p., si tratta, infatti, di una pertinenza, ossiadi un luogo caratterizzato da un rapporto funzionale di servizio o accessorietà con la dimora, ancorché non uniti materialmente.

Le corti, gli orti ed i giardini, benché distaccati dall'abitazione, sono posti a suo servizio e, quindi, tutelati (Cass. Pen. 269/1978).

La condotta punita riguarda sia l'introdursi sia il trattenersi nei luoghi indicati "invito domino", ossia contro la volontà del padrone di casa.

L'agire clandestinamente si concretizza allorché si pongano in essere artifici o raggiri diretti ad eludere l'opposizione dell'avente diritto (Cass.Pen. 9 marzo 1959, GP 59; III, 1224).

Il reato si consuma nel momento in cui si verifica l'introduzione nel luogo di privata dimora contro la volontà del dominus.

Quanto all'elemento soggettivo del reato, è sufficiente un dolo generico, ossia la rappresentazione e volontà di agire con le modalità suindicate.

Conclusioni. La decisione in commento (Cass. Pen. 13912/2017) ribadisce il generale orientamento giurisprudenziale in virtù del quale il reato di ragion fattasi (art. 392 c.p.) viene assorbito dalla violazione di domicilio (art. 614 c.p.), allorché la condotta del soggetto agente non si limiti all'introduzione o permanenza nell'abitazione (o giardino) altrui, ma avvenga con violenza sulle cose, in quanto, nella suddetta circostanza, si assumono lese le disposizioni concernenti l'inviolabilità del domicilio.

Avvocato del Foro di Savona


[1] Per un approfondimento vedasi F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, Cedam, 2001, 429 ss.

[2] In tal senso, G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, Zanichelli, 2007, 436 ss.

[3] L. DELPINO, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Napoli, Simone, 2014, 491 ss.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione, sez. V Penale, 22 marzo 2017, n. 13912
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