Parcheggiare nel cortile condominiale, ovvero usare una parte comune dell'edificio per meglio usufruire della propria abitazione.
Fatto normale, verrebbe da dire. Eppure non sempre è così: una clausola del regolamento condominiale in natura contrattuale può vietare a priori il parcheggio nel cortile condominiale.
Un regolamento assembleare potrebbe vietare il parcheggio laddove lo stesso rappresenti una forma d'uso incompatibile di quello spazio con la sua naturale destinazione data dalla intrinseca conformazione e disposizione nello spazio.
All'uopo, in entrambe le fattispecie, può essere prevista l'applicazione di una sanzione pecuniaria, per l'infrazione alla norma regolamentare, così come stabilito dall'art. 70 delle disposizioni di attuazione del codice civile.
Oppure potrebbe accadere che pur non essendo previsto nessuno specifico divieto, il parcheggio di uno più condòmini, anche non contemporaneamente, rappresenti un problema.
Che cosa si può fare in tutti questi casi?
Parcheggio nel cortile condominiale e regolamento di condominio
Ove un condòmino parcheggi nel cortile condominiale pur non essendogli consentito dal regolamento, la reazione all'infrazione può prevedere:
- richiamo formale da parte dell'amministratore condominiale che è tenuto a curare l'osservanza del regolamento di condominio;
- azione giudiziaria da parte dell'amministratore condominiale che è tenuto a curare l'osservanza del regolamento di condominio, con contestuale richiesta di pena ex art. 614-bis c.p.c. per il caso di reiterazione del comportamento illegittimo;
- applicazione da parte dell'assemblea, ove prevista dal regolamento, di una sanzione pecuniaria per violazione dell'art. 70-bis disp. att. c.c.
Parcheggio nel cortile condominiale e tutela delle destinazioni d'uso
Se il regolamento non prevede alcunché in merito al parcheggio nel cortile condominiale, ma lo stesso rappresenta un intralcio al normale uso delle cose comuni, in questo caso del cortile, ad avviso di chi scrive, la tutela è rintracciabile nell'art. 1117-quater c.c. a mente del quale
«In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie.
L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell'articolo 1136.»
Quando si parla di condominio ed in particolare di uso dei beni comuni, la norma cui s'è spesso fatto riferimento è quella contenuta nel primo comma dell'art. 1102 c.c. che recita:
«Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa».
Essa è dettata per la comunione ma è pacificamente applicabile al condominio negli edifici in virtù del richiamo alle norme sulla comunione in generale contenuto nell'art. 1139 c.c.
L'art. 1117-quater c.c., introdotto nel codice civile dalla legge n. 220 del 2012 ed entrato in vigore all'entrata in vigore della legge di "riforma" del condominio, cioè il 18 giugno 2018, specifica con particolare riferimento al condominio che cosa possono fare l'amministratore, i singoli comproprietari e l'assemblea nel caso di uso illegittimo in tema di destinazione d'uso.
In sostanza dall'entrata in vigore della legge di modifica delle norme del condominio per la tutela della destinazione d'uso se il comportamento di un singolo incide negativamente ed in modo sostanziale sulla stessa, la norma di riferimento sarà il succitato art. 1117-quater c.c. e non più l'art. 1102, primo comma, c.c.
Il grado d'incidenza dell'uso non conforme alla destinazione attuale della parte comune dovrà essere sostanziale (ciò vuol dire che delle sporadiche violazioni non dovrebbero entrare far scattare l'applicazione della norma in esame) e negativo rispetto alla destinazione ordinaria del bene.
Proviamo a fare un esempio per capire meglio che cose ha inteso dire il legislatore: se nel cortile, per la sua destinazione, non si può sostare, una semplice veloce fermata dell'autovettura non dovrebbe essere considerata violazione ai sensi dell'art. 1117-quater c.c.
Parcheggio nel cortile condominiale e art. 1117-quater c.c.
Qual è, in questo contesto, il potere dei vari interessati?
Secondo l'art. 1117-quater c.c. l'amministratore ed i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore dell'uso illegittimo a desistere dal comportamento illecito.
L'amministratore, in ragione dei propri poteri, ed i condomini, in ragione di quanto disposto da questa norma, possono, rispettivamente, convocare e richiedere di convocare un'assemblea.
In sede di riunione, poi, i comproprietari possono deliberare sull'inizio di una causa con le maggioranze previste dall'art. 1136, secondo comma, c.c. ossia con la maggioranza degli intervenuti all'assemblea che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell'edificio.
Per quanto diremo in seguito, in relazione alle cause di revoca giudiziaria dell'amministratore, pare che non convocare un'assemblea richiesta ex art. 1117-quater c.c. possa portare ad una richiesta di revoca giudiziaria per gravi irregolarità (cfr. art. 1129, dodicesimo comma n. 1, c.c.).
Ciò porta a trarre una conclusione: tra le azioni giudiziarie che l'amministratore può esercitare d'ufficio, in base agli artt. 1130-1131 c.c. ed in relazione al potere di disciplina d'uso delle cose comuni, non rientra quella di tutela delle destinazioni d'uso posto che è l'assemblea che deve deliberare l'inizio della lite. Resta salvo, naturalmente, il potere d'iniziativa giudiziaria del singolo condomino.