Il fatto. Il Tribunale, dopo aver dato ragione alla Abbanoa, che lamentava l'inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 140 cod. cons. (d.lgs. n. 206/2006), non essendo i ricorrenti associazioni rappresentative di consumatori, le sole legittimate, ex art. 139 cod. cons., ad agire a norma dell'art. 140 e delle altre disposizioni indicate dalla norma, ha dichiarato infondate le eccezioni presentate dalla convenuta e ne ha riconosciuto, contrariamente a quanto chiesto, la legittimazione passiva.
Il Tribunale ha anche riconosciuto la legittimazione ad agire dei ricorrenti, in quanto parti contraenti, in relazione alla paventata sospensione del servizio offerto dalla Abbanoa s.p.a, ritenuta una forma peculiare ed eccezionale di autotutela, solo eccezionalmente accordata in ambito privato, in quanto contraria ai principi di correttezza e buona fede ed all'affidamento riposto dagli utenti, che devono a propria volta comportarsi secondo buona fede, nell'adempimento del servizio da parte del gestore, pur in presenza di una morosità da parte degli stessi, di modesta entità e, quindi, tale da non far temere l'ingigantirsi dell'inadempimento né conseguenti difficoltà di recupero del credito vantato dal gestore del servizio.
Il Tribunale ha, quindi, escluso che al fornitore del servizio idrico sia sempre consentito sospendere la fornitura e di subordinarne il ripristino all'integrale pagamento di quanto dovuto da parte dell'utente moroso.
Nel caso in cui il gestore del servizio minacci o successivamente metta in pratica la sospensione preannunciata, c'è, infatti, il rischio di colpire e penalizzare anche i condomini virtuosi, ossia tutti coloro che abbiano regolarmente provveduto al pagamento delle bollette, che potrebbero essere costretti a farsi carico del debito pur di ottenere il ripristino del servizio.
Alcuni precedenti. Come precisato dalle SS.UU. della Cassazione, con la sentenza dell'8 aprile 2008, n. 9148 (in riv. Giur. ed., 2008, 3, pag. 744, con nota di A.
Celeste, Il singolo risponde solo pro quota per le obbligazioni del condominio verso terzi: il respiro di sollievo dei condomini e lo sconforto operativo dei creditori) "Le responsabilità dei singoli partecipanti per le obbligazioni assunte dal condominio verso i terzi, contratte dall'amministratore in rappresentanza dei condomini, sono governate dal criterio della parzietà e non della solidarietà, sicché il singolo condomino risponde solo nei limiti della rispettiva quota (secondo criteri simili a quelli dettati dagli art. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie) e non dell'intero debito".
Secondo la Cassazione, infatti, "Le obbligazioni condominiali, essendo pecuniarie e, come tali, naturalmente divisibili ex "parte debitoris", difettano del requisito dell'unicità della prestazione, ragion per cui, in assenza di una disposizione normativa diversa, non sono soggette al regime della solidarietà bensì a quello della parziarietà.
Il principio generale di cui all'art. 1292 c.c., infatti si applica in caso di obbligazioni per loro natura indivisibili, là dove, se la prestazione è divisibile, la solidarietà deve essere prescritta da un'apposita disposizione normativa, in mancanza della quale il regime della parziarietà prende il sopravvento"; il creditore, quindi, può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli condomini, secondo la quota di ciascuno e non per l'intero.
La decisione. In merito all'entità della mora, invece, il Tribunale ha ritenuto che la sua entità non sia indifferente ai fini della legittimità della decisione di sospendere il servizio, dovendo essere cospicua, perdurante nel tempo, totale o, comunque, riferibile ad una quota elevata dell'obbligazione di pagamento del corrispettivo, non giustificata da una contestazione, afferente ad un rapporto la cui disciplina possa essere ricostruita, perché prevista per iscritto e relativa ad un'utenza singola e non condominiale, requisiti che il Tribunale ha ritenuto essere assenti nel caso di specie rispetto a tutti i condomini.
Il Tribunale ha ritenuto tutt'altro che corretto il comportamento del fornitore, a cui non è consentito né far lievitare il proprio credito, fino a fargli raggiungere misure elevate, né lasciarlo "invecchiare" fino al limite della prescrizione o corredare la richiesta di pagamento della minaccia di sospendere ulteriori erogazioni del servizio.
L'Abbanoa avrebbe, invece, dovuto dimostrare che, in presenza di un acclarato inadempimento, si era premurata non solo di segnalare l'esistenza della morosità, ma anche di recuperare il credito vantato, in modo da evitare che lo stesso aumentasse in maniera smisurata, invece, pur avendo l'Abbanoa provveduto ad inviare formali richieste di pagamento, tramite lettere raccomandate, secondo il Tribunale tali solleciti non avevano consentito ai condomini di stabilire quali fatture fossero rimaste, in tutto o in parte, impagate, non essendovi alcuna indicazione in tal senso.
Il Tribunale ha, inoltre, tenuto ad evidenziare che l'Abbanoa non aveva provveduto ad inviare periodicamente le fatture né aveva avviato una procedura per il recupero coattivo del proprio credito, attraverso la promozione di azioni di cognizione ed esecutive nei confronti dei singoli condomini, accusati dalla s.p.a di aver tenuto un comportamento poco collaborativo, per non aver mai chiesto il duplicato delle fatture.
Secondo il Tribunale, il giudice, in questi casi, deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti e tener conto della loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e della loro incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse.
Se il giudice che l'inadempimento di una parte ha scarsa importanza rispetto all'interesse dell'altra, il rifiuto di adempiere alla propria obbligazione non può ritenersi in buona fede.
Nel caso di specie, il Tribunale ha dovuto non solo tener conto dell'inadempimento dei condomini, ma anche della prolungata inerzia della società che gestiva il servizio ed escludere che, a fronte di un inadempimento prolungato e di importo elevato, la sospensione del servizio costituisse una sorta di automatismo, che possa prescindere da accertamenti caso per caso.
In queste situazioni, infatti, se appare giustificata ogni azione volta al recupero dei crediti, previo loro accertamento, non altrettanto può dirsi della misura di autotutela, a cui si tende a ricorrere solo eccezionalmente.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ha ritenuto di dover accogliere la domanda cautelare proposta dai ricorrenti ed ha ordinato alla Abbanoa s.p.a. di astenersi dal sospendere la fornitura del servizio idrico integrato.
Ad un'analoga soluzione è addivenuto anche il Tribunale di Bari che, con la sentenza datata 9 settembre 2004, ha accolto l'istanza cautelare ex art. 700 c.p.c., avanzata da un condominio nei confronti dell'Acquedotto Pugliese s.p.a, per l'inibitoria della sospensione della fornitura di acqua, dovuta a morosità, ritenendo tale misura, inerente un bene primario, sproporzionata a fronte di un inadempimento pecuniario.
Deve segnalarsi, inoltre, la più recente sentenza del Tar Lazio (sentenza del 31 gennaio 2011), con la quale il Tribunale amministrativo, pur riconoscendo il diritto della società di adottare tutte le misure necessarie per recuperare i propri crediti, compresa quella di sospendere la fornitura di acqua, in caso di accertata morosità degli utenti, ha ritenuto tale tipo di intervento una extrema ratio, che deve essere preceduta da una pluralità di misure e cautele, volte ad informare i consumatori inadempienti delle ragioni e dei tempi di un eventuale distacco per morosità e delle modalità per evitarlo, riguardando un bene essenziale, la cui mancanza può incidere direttamente sull'esercizio dei diritti della persona costituzionalmente garantiti.
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