La cessione del credito si configura come un contratto bilaterale, non necessitante di alcuna forma particolare, con cui il creditore (cedente) trasferisce ad un terzo (cessionario), a titolo oneroso o gratuito, la titolarità di un diritto di credito.
La comunicazione dell'intervenuta cessione al debitore ceduto non costituisce un requisito di validità o efficacia del contratto, ma rileva soltanto ai fini dell'efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato.
La posizione giuridica del debitore ceduto trova disciplina nell'art. 1262 c.c. secondo cui la cessione del credito non ha effetto se non è accettata dal debitore ceduto o a questi non è notificata; la cessione rimane in vita indipendentemente dalla conoscenza che di esso ne abbia il debitore ceduto; la disposizione, infatti, è limitata soltanto al profilo dell'efficacia della cessione del credito nei confronti del debitore ceduto, e, di conseguenza, riguarda solo l'interesse dello stesso al fine di ammettere o escludere la portata liberatoria del pagamento; in altre parole, qualora il debitore ceduto non abbia accettato ovvero non gli sia stata notificata la cessione, il pagamento che egli avrà fatto in buona fede al creditore cedente dovrà considerarsi valido e liberatorio da ogni obbligo verso il cessionario.
La notificazione al debitore ceduto, prevista dall'art. 1264 c.c., non si identifica con quella effettuata ai sensi dell'ordinamento processuale, ma costituisce un atto a forma libera che, come tale, può consistere in qualsiasi atto idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità del credito.
Si può, quindi, affermare che la cessione si perfeziona con il semplice accordo tra le parti (cedente e cessionario) a prescindere dalla notificazione prevista dall'art. 1264 c.c.; la notifica è un atto a forma libera che deve porre il debitore ceduto nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio e, pertanto, può essere effettuata anche con la notifica del solo ricorso e del pedissequo decreto ingiuntivo.
Questi principi si applicano anche nel caso in cui il creditore del condominio ceda il credito dei condomini ad un terzo.
Il problema è che tale credito si prescrive se il neo-creditore invia solleciti di pagamento inidonei ad interrompere la prescrizione. Tale situazione si è verificata nell'ambito della vicenda esaminata dalla recente sentenza del Tribunale di Roma del 25 ottobre 2021, n. 16636.
Solleciti sbagliati e credito prescritto: la vicenda
Un condominio commissionava ad un'impresa i lavori di ristrutturazione del caseggiato. Tuttavia - come spesso accade - non tutti i condomini pagavano le quote condominiali e, quindi, alcune fatture rimanevano insolute.
Successivamente l'appaltatore cedeva il credito ad altra società che, dopo l'invio di solleciti di pagamento indirizzati al condominio presso lo stabile, dichiarava ed otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo nei confronti dei condomini.
Il condominio, però, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo; le censure che i condomini muovevano consistevano, sostanzialmente, nell'eccezione di difetto di legittimazione ad agire della società opposta (in quanto soggetto estraneo al rapporto contrattuale ed a fronte della comunicazione dell'intervenuta cessione del credito presso lo stabile condominiale e non presso il domicilio dell'amministratore) e nel rilievo dell'intervenuta prescrizione del credito azionato.
La decisione: l'eccezione di difetto di legittimazione ad agire
Secondo il Tribunale l'eccezione di difetto di legittimazione ad agire in capo alla cessionaria del credito condominiale non è fondata.
La cessione intercorsa è risultata del tutto valida ed efficace anche nei confronti del condominio (debitore ceduto) con la notifica del ricorso monitorio e del decreto ingiuntivo, notifica che ha reso i condomini consapevoli dell'intervenuta cessione del loro debito.
La prescrizione del debito: la notifica presso il caseggiato
I giudici romani, però, hanno ritenuto il credito prescritto. È risultato, infatti, documentalmente provato come tutti i solleciti di pagamento del cedente e del cessionario fossero stati indirizzati non già presso il domicilio dell'amministratore, ma presso lo stabile condominiale dove non esistevano locali specificamente destinati e concretamente utilizzati per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione delle cose e dei servizi comuni; inevitabile, quindi, la revoca del decreto ingiuntivo per prescrizione del credito.
Come ricorda, infatti, lo stesso Tribunale, la notifica di un atto indirizzato al condominio, qualora non avvenga nelle mani dell'amministratore, può essere validamente fatta nello stabile condominiale soltanto qualora in esso si trovino locali destinati allo svolgimento ed alla gestione delle cose e dei servizi comuni (come ad esempio la portineria), idonei, come tali, a configurare un "ufficio" dell'amministratore, dovendo, in mancanza, essere eseguita presso il domicilio privato di quest'ultimo (Cass. civ., Sez. II, 29/12/2016, n. 27352).
La portineria assume, pertanto, una doppia funzione con la natura anche di "prolungamento" dell'ufficio dell'amministratore. In mancanza della stessa la Cassazione ha riconosciuto, quale domicilio del condominio, per le notificazioni degli atti giudiziari, lo studio dell'amministratore (Cass. civ., Sez. II, 10/02/2010, n. 2999);
Bisogna sempre ricordare la natura giuridica di ente di gestione del condominio, sfornito di soggettività ulteriore e differente rispetto a quella dei suoi partecipanti, che opera a mezzo del proprio amministratore, quale loro mandatario, per finalità, di regola, esulanti da quelle lucrative, proprie delle attività imprenditoriali o professionali.
In ogni caso, non sono risultate inidonee ad interrompere il decorso del termine prescrizionale neppure le comunicazioni di intervenuta cessione del credito inviate dal cedente e cessionario, essendo state anche le stesse indirizzate (come tutti i solleciti di pagamento) direttamente al condominio presso lo stabile e non già presso il domicilio del suo amministratore pro tempore.