La vita condominiale è spesso difficile e la tentazione di distaccarsi e di non farne più parte può essere altrettanto forte. Questa operazione, però, non è affatto semplice; anzi, potrebbe essere addirittura impossibile. Si può uscire da un condominio?
Per rispondere correttamente alla domanda occorre distinguere tra circostanze apparentemente simili ma in realtà diverse: 1. la separazione del singolo condomino dalla compagine; 2. lo scioglimento del condominio; 3. la divisione delle parti comuni. Approfondiamo la questione.
Ci si può separare dal condominio?
Se si è proprietari di un'unità immobiliare all'interno di un edificio, uscire come singolo da un condominio - cioè, "staccarsi" dal fabbricato e dalle sue parti - non è possibile.
Acquistando un'immobile sito in un condominio si acquisisce anche una quota delle parti comuni - scale, tetto, facciate, ecc. -, con conseguenti obblighi e diritti a cui non si può rinunciare unilateralmente.
La comunione che si crea sulle parti condominiali è di tipo forzoso, nel senso che ad essa non è possibile rinunciare.
In casi particolari si può disattivare la propria utenza o distaccarsi (ad esempio, dal riscaldamento centralizzato), ma serve il rispetto di certe condizioni (nessun aggravio di costi per gli altri).
Pertanto, non è possibile uscire dal condominio nel senso di non volerne far parte nonostante l'unità immobiliare sita nell'edificio.
D'altronde, il tenore dell'art. 1118 c.c. è molto chiaro: «Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni. Il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali».
Secondo la giurisprudenza (Cass., 26 gennaio 2021, n. 1610), la separazione della singola unità immobiliare dalle cose comuni è esclusa quando le cose condominiali e quelle esclusive siano, per effetto di incorporazione fisica, indissolubilmente legate le une alle altre (cosiddetta condominialità necessaria o strutturale) oppure nel caso in cui, pur essendo suscettibili di separazione senza pregiudizio reciproco, esista tra di essi un vincolo di destinazione che sia caratterizzato da indivisibilità per essere i beni condominiali essenziali all'esistenza delle proprietà esclusive (cosiddetta condominialità funzionale).
Si può sciogliere un condominio?
Diversa è l'ipotesi dello scioglimento del condominio.
Secondo l'art. 61 disp. att. c.c., «Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato».
In questa circostanza, prosegue l'art. 61 disp. att. c.c., lo scioglimento è deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell'art. 1136 c.c. - cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio - o è disposto dall'autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte del fabbricato della quale si chiede la separazione.
Lo scioglimento potrebbe riguardare, ad esempio, la separazione dello stabile dotato di scale completamente autonome tra loro (circostanza tipica del condominio parziale).
Ai sensi dell'art. 62 disp. att. c.c., qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell'art. 1136 c.c., ovverosia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio.
Come si evince da quanto detto sinora, dunque, nemmeno lo scioglimento consente di uscire dal condomino, essendo effetto tipico dell'istituto giuridico in questione quello di separare realtà che possono essere autonome.
Si può dividere un condominio?
L'art. 1119 c.c. dice che «Le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio».
La giurisprudenza (Cass., n. 26041/2019) ha interpretato l'utilizzo della congiunzione "e" in senso disgiuntivo, ritenendo dunque che alla divisione delle cose comuni possa giungersi con due modalità alternative:
- mediante domanda giudiziaria, qualora l'operazione non rende più incomodo l'uso della cosa;
- convenzionalmente, quando tutti i condòmini sono d'accordo.
Per la Corte di Cassazione, la divisione delle cose comuni è materia sottratta alle competenze riconosciute dall'assemblea: il consenso unanime dei condòmini va infatti raccolto in una scrittura privata o in un atto pubblico, quindi non all'interno di una delibera.
Qual è la differenza tra divisione e scioglimento del condominio?
Divisione delle parti comuni e scioglimento del condominio sono fenomeni giuridici simili ma differenti: mentre con la divisione s'intende il frazionamento delle parti comuni con assegnazione delle medesime pro quota a ciascun proprietario, con lo scioglimento, sebbene vi sia un venir meno del vincolo di condominialità, non si addiviene all'assegnazione delle parti in proprietà comune ma a una loro separazione, attuata mediante disfacimento del vincolo cui segue un nuovo rapporto di funzionalità ed accessorietà, ossia un nuovo condominio.