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La servitù di passaggio coattivo dev'essere valutata con specifico riferimento alla situazione di fatto esistente

Servitù: volontarie, acquisite e coattive.
Avv. Alessandro Gallucci 

La servitù, questo ci dice l’art. 1027 c.c., consiste nel peso imposto sopra un fondo (detto servente) per l’utilità di altro fondo (chiamato dominante) appartenente a diverso proprietario. Altruità dei fondi e utilità prediale: queste le caratteristiche preganti del diritto.

Non ci si lasci trarre in inganno: sebbene spesso si parli di servitù prediali, esse, in effetti, sono solamente queste. In sostanza: non esistono servitù di carattere personale.

Solo per semplicità dottrina e giurisprudenza parlano di servitù irregolari: queste, in verità, sono rapporti giuridici che nulla hanno a che vedere con il diritto reale di cui ci stiamo occupando.

L’utilità, per completezza è bene dirlo, può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante e può anche riguardare la sua destinazione industriale.

La giurisprudenza ha chiarito che nel termine industriale si devono considerare ricomprese anche le attività commerciali e artigianali.

Le servitù possono essere volontarie, quando sono concordate dalle parti, acquisite per usucapione e destinazione del padre di famiglia, quando il tempo e lo stato dei luoghi incidono sulla nascita del diritto, o coattive, vale a dire se vengono imposte. Nel caso della servitù di passaggio coattiva condizione necessaria è l’interclusione del fondo.

Tale impossibilità di accesso diretto alla pubblica via può essere assoluta, oppure relativa. La valutazione dev’essere effettuata caso per caso.

Così se il fondo dominante si compone di due parti, una delle quali, per la conformazione dello stato dei luoghi, quasi autonoma dall’altra, la valutazione dell’interclusione non dev’essere fatta considerando il fondo nella sua unitarietà ma più semplicemente guardando alla parte interclusa.

In tal senso, di recente, la Cassazione ha avuto modo di specificare che “ in tema di servitù di passaggio coattivo, il principio secondo il quale il terreno intercluso deve essere preso in considerazione unitariamente al fine di verificare l'esistenza dell'interclusione è applicabile nel caso in cui, dal punto di vista morfologico, esso presenti una conformazione tale da far ritenere che le singole parti del fondo siano facilmente accessibili l'una dall'altra (e ciò, qualunque sia la destinazione economica di ogni parte), poiché, in tal caso, ove il fondo non fosse considerato unitariamente ma per parti separate, in presenza di un accesso esistente alla via pubblica, la richiesta di costituzione di un passaggio coattivo, anche se connessa ad una diversa destinazione economica delle distinte parti di fondo, si risolverebbe nel reclamare l'imposizione di un peso a carico del fondo altrui dettato da prevalenti ragioni di comodità, atteso che il passaggio dall'una all'altra parte del terreno non sarebbe ostacolata da alcunché (Cass. 13-9-2004 n. 18372; Cass. 28-10-2009 n. 22834).

Quando, viceversa, tale accessibilità non risulti praticabile perché il dislivello tra la parte superiore del fondo attraversata dalla strada rotabile comunale e la parte sottostante, posta a livello inferiore, rende oggettivamente tale parte non facilmente accessibile all'altra, la considerazione unitaria del fondo deve venir meno, perché l'ostacolo naturale, in realtà, separa quella parte del fondo dall'altra, cioè divide il suddetto fondo idealmente in due parti distinte.

Ne consegue, in tale ipotesi, che, al fine di consentire o meno la costituzione di una servitù coattiva di passaggio carrabile sul fondo altrui, l'esame deve necessariamente spostarsi sulla verifica della possibilità di collegare la parte separata del fondo all'altra (nella specie a quella servita dalla strada rotabile comunale), accertando se tale collegamento può conseguirsi senza eccessivo dispendio o disagio; e solo ove tale verifica ed accertamento abbiano esito negativo, la costituzione della servitù coattiva di passaggio può ritenersi consentita (Cass. 13-9-2004 n. 18372)” (così Cass. 15 marzo 2012, n. 4147).

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