La servitù, tipico diritto reale, è caratterizzata dalla presenza di un fondo, cosiddetto servente, gravato da un peso a favore del fondo, denominato dominante, che, inevitabilmente, limita il diritto del proprietario di quest'ultimo «La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (Art. 1027 cod. civ.)».
Si pensi, ad esempio, alla servitù di passaggio, pedonale e carrabile, in ragione della quale il titolare dell'immobile, soggetto a questo peso, deve tollerare l'attraversamento del proprio bene da parte di persone e vetture dirette nel cespite dominante.
Invece, nella vicenda oggetto della recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 21117 del 29 luglio 2024 si è discusso della servitù di veduta.
In particolare, il caso ha riguardato due fondi finitimi su cui insistevano un fabbricato, poi ristrutturato, ed un adiacente edificio, invece, demolito, dalla cui eliminazione era, quindi, derivata un'area cortilizia.
Ebbene, secondo la versione dei proprietari del fabbricato ristrutturato, l'area in questione era gravata da una servitù di veduta a loro favore Evidentemente, però, per i comproprietari del terreno ciò non corrispondeva a verità.
È sorta, pertanto, una lite intricata, culminata fino al terzo grado di giudizio. Non ci resta, perciò che approfondire il caso concreto.
Significato del principio nemini res sua servit nella servitù
Il diritto di servitù a favore di un fondo ed a carico di un altro presuppone che i due immobile siano appartenenti a due proprietari diversi. Non avrebbe senso, infatti parlare di servitù nel caso in cui i due cespiti dovessero fare capo ad un unico titolare.
Si può affermare ciò anche nell'ipotesi di compravendita del fondo dominante a favore del proprietario di quello servente. In tale circostanza, la servitù, già costituita, infatti, si estinguerebbe per confusione. Del resto, conferma tale conclusione anche il codice civile «la servitù si estingue quando in una sola persona si riunisce la proprietà del fondo dominante con quella del fondo servente (Art. 1072 cod. Civ.)».
Insomma, in questo come in altri casi, la servitù non può esistere perché, come affermavano i latini, "nemini res sua servit".
Servitù di veduta tra proprietà individuali e comuni: quando è possibile?
Nel caso in esame, secondo la tesi dei ricorrenti nonché proprietari di un fabbricato ristrutturato, l'apertura di una veduta, avvenuta in sede di rifacimento dell'edificio, sarebbe stata legittima.
In sostanza essa era avvenuta a carico di un fondo, nell'occasione un'area cortilizia, secondo questi di proprietà comune e non distinta dal loro cespite. Si trattava, quindi, di un uso della cosa comune in quanto tale giustificato dal disposto contenuto nell'art. 1102 cod. civ. «Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa».
Per i giudici di merito, invece, a seguito di quanto emerso dall'istruttoria, c'era piena autonomia tra i due beni, anche in origine. Tale affermazione non veniva smentita nemmeno dall'invocata Corte di Cassazione.
Pertanto, la distinzione tra i fondi ed i loro rispettivi titolari imponeva di rispettare i dettami dell'art. 905 cod. civ. e/o di costituire un'eventuale servitù di veduta con un titolo idoneo, evidentemente mancante in tale occasione.
Del resto, hanno precisato gli Ermellini, anche nei rapporti tra proprietà individuali e proprietà comuni, le prescrizioni contenute nell'art. 905 cod. civ. devono essere rispettate «Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo (Art. 905 co. 1 cod. civ.) - nel caso di comunione di un cortile adiacente ad edificio appartenente alla proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del medesimo cortile, l'apertura di vedute da parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite (Cass. n. 26807 del 2019; n. 7971 del 2022)».
Quindi, nel caso concreto, la veduta era stata aperta verso l'adiacente area cortilizia senza alcun preesistente diritto di servitù e in contrasto con le disposizioni di cui all'art. 905 cod. civ. In ragione di ciò il rigetto della domanda dei ricorrenti e la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali sono stati inevitabili.