Accade non di rado che una clausola del regolamento condominiale contrattuale predisposto dal costruttore/venditore dell'edificio ed allegato agli atti di acquisto delle singole unità immobiliari contenga una clausola che lo esoneri dall'obbligo di partecipare alle spese condominiali per gli appartamenti di sua proprietà non ancora venduti.
Il problema è che altrettanto frequentemente l'assemblea approva delibere che, ignorando la clausola sopra detta, addebita al costruttore le spese per le unità immobiliari invendute.
Queste decisioni sono nulle o annullabili? A tale proposito è recentemente intervenuta la Suprema Corte (ordinanza 24 luglio 2024 n. 20568).
Costruttore, spese per le unità immobiliari invendute e delibere in contrasto con il regolamento. Fatto e decisione
Nel 2007 un condominio richiedeva ed otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo nei confronti della società costruttrice e condomina per mancato pagamento di spese condominiali.
In sede di opposizione, la società ingiunta domandava in riconvenzionale l'accertamento della nullità della correlativa delibera (del 24/7/2006) per contrasto con l'art. 49 del regolamento condominiale (di natura contrattuale).
In relazione agli immobili rimasti invenduti, infatti, tale articolo escludeva che le spese condominiali potessero imputarsi alla società costruttrice.
Il Tribunale rigettava la domanda riconvenzionale (e l'opposizione al decreto ingiuntivo), sostenendo che l'impugnazione era tardiva per violazione dei termini ex art. 1137 c.c.; il giudice riteneva che la società avesse fatto valere l'erroneità della ripartizione delle spese condominiali, quindi una causa di annullabilità e non di nullità della delibera. Questo ragionamento convinceva anche la Corte di appello che confermava la decisione di primo grado. La società costruttrice ricorreva in cassazione con due motivi, illustrati da memoria.
Secondo la ricorrente, posto che erano state imputate spese ad un condomino esonerato da ciò in forza del regolamento condominiale di natura contrattuale, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto applicare la disciplina della nullità del delibere, non potendosi parlare di una semplice imputazione erronea nella deliberazione del consuntivo, del preventivo e del riparto ex art. 1135 n. 2 e n. 3 c.c., bensì di una delibera su materia estranea alle attribuzioni dell'assemblea condominiale, quindi nulla.
La ricorrente quindi riteneva che il condominio volesse inaugurare un nuovo indirizzo di abrogazione tacita dell'art. 49 reg. condominiale (il quale corrisponde ad una convenzione ex art. 1123 co. 1 c.c. fra tutti i condomini).
Inoltre non condivideva la posizione della Corte di appello che aveva ritenuto corretta la qualificazione di annullabilità della delibera, sul presupposto che essa non avesse modificato il regolamento condominiale, bensì semplicemente ripartito erroneamente gli oneri condominiali in modo difforme dal regolamento. La Cassazione però ha dato ragione al condominio.
Secondo la Suprema Corte, una serie di violazioni puntuali e concrete dei criteri, nei casi di volta in volta oggetto delle delibere, non dà luogo ad un qualcosa di diverso e ulteriore rispetto alla somma delle singole volizioni lesive dei criteri: in particolare non trasforma tale somma nella manifestazione di una volontà normativa attuale di modifica dei criteri (nemmeno per facta concludentia, inammissibile in materia di convenzione ex art. 1123 c.c. comma 1). Pertanto, ad avviso dei giudici supremi, incombeva alla parte interessata l'onere di impugnare ciascuna singola delibera entro il termine perentorio ex art. 1137 c.c. comma 2.
Delibere annullabili e termini di impugnazione nel condominio
La decisione in commento si fonda sul seguente principio: l'assemblea che delibera a maggioranza di modificare i criteri di ripartizione previsti dalla legge o dall'accordo unanime dei condomini opera in difetto assoluto di attribuzioni, mentre non esorbita dalle attribuzioni l'assemblea che si limiti a ripartire le spese condominiali per il caso oggetto della delibera, anche se la ripartizione venga effettuata (consapevolmente) in violazione dei criteri legali o negoziali.
Una delibera di quest'ultimo tipo non ha carattere normativo (cioè, non incide su tali criteri generali, valevoli per il futuro), né è contraria a norme imperative; pertanto, tale delibera è semplicemente annullabile e deve essere impugnata, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137 c.c. comma 2 (si veda la storica Cass. civ., Sez. Un., 14/04/2021, n. 9839).
In precedenza si è già affermato che la delibera, assunta nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135 c.c., numeri 2) e 3), relativa alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni (posti auto e vano ascensore) e alla tassa di occupazione di suolo pubblico, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va pertanto proposta nel termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall'art. 1137 c.c. (Cass. civ., Sez. Un., 07/03/2005, n. 4806). Tale conclusione non viene meno se l'assemblea, con diverse delibere, ripetutamente approva una ripartizione delle spese in violazione di un criterio previsto da una valida clausola di natura contrattuale del regolamento.
Di conseguenza le singole delibere annullabili si consolidano se non impugnate entro il termine perentorio ex art. 1137 c.c. comma 2.