La Legge 9 dicembre 1998, n. 431 si occupa della disciplina dei contratti di locazione di immobili a uso abitativo e ne prevede varie tipologie sottoposte, tra l'altro, a precisi limiti di durata. Lo stesso provvedimento precisa anche che dovrà intendersi nulla ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla legge stessa (cfr. art. 13, comma 3).
In alternativa al tradizionale contratto di locazione c.d. "a canone libero", che si può stipulare per una durata non inferiore ai quattro anni, rinnovabili per altri quattro (c.d. "4+4"), per incentivare il mercato della locazioni, è stato introdotto il contratto di locazione a canone concordato (o definito anche "alternativo" o "agevolato"), disciplinato dalla stessa legge n. 431/1998 e dal D.M. Infrastrutture e Trasporti 16 gennaio 2017.
Trattasi di una categoria particolare di contratti di locazione, introdotti dall'art. 2, comma 3, della Legge n. 431/98 e che presentano un canone "calmierato", tendenzialmente più basso rispetto a quello di mercato: nel dettaglio, la legge consente discrezionalmente alle parti di definire le condizioni contrattuali, ma anche il valore del canone e la durata del contratto, sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale tra organizzazioni della proprietà edilizia e organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative.
Le associazioni dei proprietari e degli inquilini, in pratica, elaborano delle vere e proprie tabelle che elencano i parametri per stabilire il canone, da valutare in base alle caratteristiche degli immobili e a variabili come, in primis, il totale della superficie calpestabile, nonché altri elementi accessori come la zona di riferimento, i servizi disponibili e così via.
Gli accordi sono depositati, a cura delle organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell'area territoriale interessata. Scegliere di stipulare contratti di locazione a canone concordato, inoltre, consente sia al proprietario che all'inquilino di beneficiare di una serie di agevolazioni fiscali.
Durata minima e proroga del contratto di locazione a canone concordato
Tra i vincoli previsti dalla legge per i contratti a canone concordato, oltre all'importo del canone, vi è però anche quello inerente la durata, che ha portato a definirli in gergo comune come locazioni "3+2".
La legge n. 431/98, infatti stabilisce che tale tipologia contrattuale non potrà avere durata inferiore ai tre anni (fatta eccezione per quelli transitori) e che, alla prima scadenza, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, lo stesso sia prorogato di diritto per due anni.
Alla scadenza dei primi tre anni, dunque, il contratto viene prorogato automaticamente e tacitamente, alle stesse condizioni, per altri due anni, a meno che le parti non si accordino per rinnovarlo espressamente.
All'inquilino, tuttavia, è sempre consentito (cfr. art. 3, comma 6, L. 431/98) recedere dal contratto in qualsiasi momento qualora ricorrano gravi motivi, previa comunicazione al locatore con preavviso di sei mesi.
In realtà, anche al locatore è consentito avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto proprio alla prima scadenza del contrato 3+2, quindi trascorsi i primi tre anni.
Tuttavia, a differenza dell'inquilino, il locatore potrà esercitare la disdetta solo in presenza di determinati presupposti, ad esempio ove intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all'articolo 3, comma 1, della Legge n. 431, tra cui destinarlo ad uso abitativo commerciale, artigianale o professionale proprio o di altri familiari o anche vendere l'immobile alle condizioni e con le modalità previste dalla medesima norma.
Locazione 3+2: cosa avviene alla scadenza dei due anni?
Trascorsi gli eventuali due anni di proroga, la norma consente a ciascuna delle parti, sia il locatore che il conduttore, di attivare il procedimento per il rinnovo a nuove condizioni.
In alternativa, le parti potranno anche decidere per la rinuncia al rinnovo del contratto, ma, a tal fine, sarà necessaria un'apposita comunicazione che dovrà avvenire a mezzo di lettera raccomandata A/R (o in alternativa via PEC) inviata almeno sei mesi prima dello scadere del biennio.
Pertanto, trascorsi i due anni di proroga, su iniziativa del locatore oppure del conduttore potrà avviarsi la procedura per rinnovare il contratto a nuove condizioni o per rinunciare al rinnovo dello stesso.
Se non viene inviata la menzionata comunicazione, la legge prevede che il contratto si rinnoverà tacitamente alle medesime condizioni, ma non non stabilisce, però, per quanti anni si protrarrà il rinnovo.
La poca chiarezza della norma di legge ha fatto sorgere una serie di dubbi interpretativi in ordine al numero di anni di proroga dell'affitto con formula "3+2" a seguito della seconda scadenza e per ogni scadenza successiva alla secondo.
Negli anni le interpretazioni non sono affatto state uniformi, neppure quelle fornite dalla giurisprudenza, e ciò ha ingenerato difformità applicative e anche problematiche legate non solo alle conseguenze civilistiche (la qualificazione del contratto "rinnovato" come nuovo rapporto giuridico oppure come prosecuzione di quello originario e, soprattutto, la durata dell'ulteriore godimento spettante al locatario), ma anche per i risvolti di natura tributaria, stante le agevolazioni fiscali previste per i contratti in parola.
La stessa Cassazione ha precisato come l'intero comma 5 dell'art. 3 della L. n. 431 del 199 è, effettivamente, "tutt'altro che un modello di chiarezza" (Cass. n. 16279/2016) e, con specifico riguardo al rinnovo successivo al quinquennio "3+2", è stato rilevato in dottrina che "il legislatore ha difettato radicalmente nel lessico, creando all'interprete non poche difficoltà".
Per porre fine a tali dubbi, il legislatore è poi intervenuto per con una norma di interpretazione autentica, contenuta nel Decreto Crescita n. 34/2019 (convertito con modificazioni dalla L. 28 giugno 2019, n. 58), precisamente all'art. 19-bis, comma 1.
È stato dunque chiarito che, in mancanza della comunicazione prevista, il contratto si intende rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio.
Recentemente, pronunciandosi sull'art. 19-bis del Decreto Crescita 2019, la Corte di Cassazione (cfr. sent. 11308/2020) ha confermato come la stessa norma rivesta i requisiti ontologici della norma di interpretazione autentica coniati e richiesti dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Per altro verso, tuttavia, gli Ermellini non hanno nascosto che potrebbero insorgere dubbi di legittimità costituzionale riguardo alle modalità di introduzione della norma de qua nell'ordinamento giuridico.