Normalmente in un regolamento di condominio i divieti che riguardano le unità immobiliari possono essere formulati, in primo luogo, attraverso elencazione delle attività vietate: in tale ipotesi è sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la destinazione sia inclusa nell'elenco, dovendosi ritenere che già in sede di redazione del regolamento siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi; non si può escludere, però, che norme del regolamento elenchino i pregiudizi che si intendono evitare.
I divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta evitando interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti.
Del resto la condivisibile esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate.
Questo concetto emerge con chiarezza nella sentenza del Tribunale di Bologna n. 2350 del 4 novembre 2019.
Apertura di una discoteca e clausola del regolamento che tutela il quieto vivere dei condomini: la vicenda
La vicenda nasceva dal conflitto tra una famiglia che aveva avuto in comodato un appartamento in un caseggiato ed una società conduttrice di un locale seminterrato destinato a discoteca.
Il motivo del contendere era il rumore intollerabile che proveniva dalla discoteca, impedendo alla famiglia di condurre una vita normale. Ogni tentativo di risolvere bonariamente la vicenda non era andato a buon fine. Il "capofamiglia" per tutelare moglie e figli si vedeva così costretto a proporre ricorso ex art. 700 c.p.c. dinanzi al Tribunale, chiedendo l'adozione di un provvedimento cautelare volto a far cessare o contenere entro i limiti della normale tollerabilità le immissioni sonore prodotte dal locale.
Tale iniziativa, però, si concludeva con il rigetto della domanda; di conseguenza sempre lo stesso capofamiglia presentava numerosi esposti all'a.r.p.a. ed all'amministrazione comunale che ordinava alla società di effettuare interventi di bonifica acustica.
Successivamente il gestore della discoteca riusciva ad attivare nuovamente l'attività ma poco dopo il comune con ordinanza disponeva una nuova sospensione dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di discoteca, subordinandone la revoca all'espletamento di idonei interventi di bonifica acustica; poi l'autorità comunale revocava ancora l'ordinanza di sospensione dell'autorizzazione amministrativa precedentemente adottata ma ancora una volta l'attività veniva sospesa.
L'attività, però, riprendeva e, nonostante le immissioni intollerabili sopportate dalla famiglia, questa volta non veniva più sospesa, né riusciva a risolvere la questione l'intervento della polizia municipale; di conseguenza il capofamiglia e la società proprietaria dell'appartamento si rivolgevano al Tribunale per chiedere che il proprietario del seminterrato ed il conduttore non utilizzassero più il locale come discoteca, attività che risultava vietata dal regolamento.
Infatti nello stesso documento era previsto l'obbligo di destinare gli appartamenti ed i locali dell'edificio in questione "esclusivamente ad uso di civile abitazione o studi professionali privati od uffici e magazzini", mentre era espressamente vietato l'utilizzo dei locali a "scuole di musica, canto e ballo" e ad "industrie rumorose", nonché a "qualsiasi uso che potesse turbare la tranquillità dei condomini o che fosse contrario all'igiene, alla morale o al decoro dell'edificio"; infine, era specificato espressamente anche il divieto di "suonare, cantare, tenere la radio con la tonalità troppo alta, dopo le ore 23 nei mesi dall'ottobre al marzo, e dopo le 24 nei rimanenti mesi".
Secondo le convenute la destinazione a discoteca non risultava proibita espressamente dal citato regolamento che proibiva solo la destinazione a scuola di musica, canto e ballo e l'insediamento di "industrie rumorose".
La decisione
Il Tribunale ha (finalmente) dato ragione al capofamiglia.
In particolare ha precisato che una clausola del regolamento di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare; e in quest'ultimo caso, tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che può arrivare a comprimere le facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze.
Alla luce di questo principio secondo il Tribunale non può esservi dubbio che la presenza nel locale in questione della discoteca, si ponga in aperta violazione rispetto alle prescrizioni del regolamento contrattuale condominiale di sopra elencate.
A parere dello stesso Tribunale tale conclusione è inevitabile se si considera il senso risultante dal complesso delle norme regolamentari le quali manifestano, in tutte le sue previsioni, un chiaro sfavore nei confronti di qualsiasi tipologia di attività che possa compromettere, o rischiare di compromettere, la tranquillità, la salute ed il quieto vivere dei condomini.
In ogni caso il giudice ha condannato i convenuti al risarcimento dei danni subiti dalla famiglia.