Con pronuncia emessa in data 05.12.2024, n. 6182, il Tribunale di Torino accoglieva la domanda per risoluzione per inadempimento condominio formulata da un condominio contro una società appaltatrice per non aver eseguito i lavori determinato con apposito contratto di appalto, finalizzati all'utilizzo del c.d. "bonus 90%" (bonus facciate), nonché per la perdita di chance consistente nella perdita della possibilità di godere del detto bonus e per il danno per la mancata esecuzione dei lavori.
Si costituiva la società-convenuta la quale contestava la domanda attorea, precisando che la mancata esecuzione dei lavori era da imputarsi al condominio-committente e che la perdita del bonus fosse riconducibile sempre all'attore per aver stipulato in ritardo il contratto e di voler ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento del condominio o per eccessiva domanda sopravvenuta, spiegando domanda riconvenzionale.
Inesistenza dei ritardi da parte del committente
Il Tribunale piemontese evidenziava che dalla documentazione prodotta dall'attore emergeva l'esistenza del rapporto contrattuale tra le parti in virtù di deliberazione del condominio, in cui si conferiva i poteri di firma all'amministratore necessari per l'accettazione dell'offerta commerciale presentata dalla società-convenuta; poi il condominio aveva adeguatamente provato inadempimento contrattuale.
Infatti, la società appaltatrice non aveva, comunque, iniziato i lavori anche dopo più solleciti rivolti dal committente, non risultando fondate le doglianze della convenuta circa l'entrata in vigore del D.L. n. 157/2021, c.d. antifrode, che aveva resa complessa la procedura di cessione del credito, rendendo il contratto eccessivamente oneroso.
Anche la tesi sostenuta dalla società in ordine al ritardo della documentazione prodotta dal condominio è assolutamente infondata, perché il detto attore aveva, di contro, consegnato tutto in tempi ragionevoli, non essendogli imputabile alcun ritardo e senza aver tenuto alcun comportamento negligente. Perciò la spiegata domanda riconvenzionale formulata dal resistente era del tutto infondata.
Effetti della risoluzione per inadempimento nel contratto di appalto
Il giudicante ha rilevato che la diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) inoltrata dal condominio contro la società appaltatrice è valida ed efficace, proprio perché dalla data della detta diffida il convenuto era totalmente inadempiente alle obbligazioni assunte.
In altri termini, la diffida ad adempiere è l'atto scritto con il quale il creditore intima al debitore di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto si intenderà risolto ed ha una duplice funzione: da una parte prepara la futura risoluzione, dall'altra vale a costituire in mora il debitore ai sensi dell'art. 1219 c.c.
Ciò che è essenziale, insomma, è che al debitore sia concesso una scadenza per adempiere secondo un criterio di buona fede e non gli venga richiesto un pagamento immediato, mentre il termine dei quindici giorni deve ritenersi residuale, nel senso che si applicherebbe solo ai casi dubbi.
Perciò ne consegue che l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo; è, quindi, la pronuncia dichiarativa o estintiva del giudice, avente portata estintiva del contratto, l'evenienza che priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del "solvens" di restituzione della prestazione rimasta senza causa (Cass. civ. sez. II, 06 giugno 2017, n. 14013).
Interessi su indebito oggettivo: quando decorrono
Per la decorrenza degli interessi ve precisato che in materia di indebito oggettivo, la buona fede dell'"accipiens", rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, va intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell'effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non trovando applicazione l'art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso, sicché, essendo essa presunta per principio generale, grava sul "solvens", che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l'onere di dimostrare la malafede dell'"accipiens" all'atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza della insussistenza di un suo diritto a conseguirla (Cass. civ. sez. VI, 18 novembre 2016, n. 23543), mentre in caso di sua buona fede (la quale si presume in difetto di specifiche prove contrarie) o di mancanza di prova della sua mala fede, detti interessi decorrono dalla domanda amministrativa o, in mancanza di essa, dalla domanda giudiziale (Cass. civ. sez. lav., 31 luglio 2009, n. 17848).
Chiarito quanto innanzi, la fattispecie posta al vaglio del giudice torinese emerge, senza ombra di dubbio, l'inadempimento da parte del convenuto, con la conseguenza della risoluzione per inadempimento contrattuale.
Condivisibile, invece, il rigetto da parte del Tribunale competente della domanda formulata dal condominio afferente risarcimento per perdita di chance perché l'attore non ha provato la conformità dell'edificio alle prescrizioni normative richieste al fine di ottenere il predetto bonus, come dall'esecuzione di tutti gli adempimenti necessari. Per meglio dire, il danno da mancata fruizione di detrazioni fiscali risulta risarcibile qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che il risultato auspicato sarebbe stato conseguito senza il negligente adempimento dell'appaltatore (Trib. Roma, Sez. X, 13 febbraio 2024, n. 21607), prova che, nel caso di specie, come ribadito, il giudicante non ritiene raggiunta.
Per completezza, il giudice torinese, infine, ha anche condannato la società appaltatrice a trasmettere all'Agenzia delle Entrate apposito modulo finalizzato all'annullamento della cessione del credito.