Potrebbe apparire questione lapalissiana ed ormai risolta, ma il riparto delle spese tra i condòmini suscita ancora dibattito ed è spesso portato all'attenzione dei Tribunali.
Vediamo cosa ha deciso il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 267 del 26 gennaio 2022.
Annullamento della delibera per errore nel riparto spese condominiali
Tizia e Caia convengono in giudizio il proprio Condominio, impugnando la delibera del 3 luglio 2019 con la quale era stato approvato il rendiconto 2018; secondo le due condòmine, il riparto della spesa per acqua potabile era illegittimo, perché eseguito in violazione del Regolamento condominiale.
Infatti, affermano le condòmine, mentre il Regolamento prevedeva che il riparto venisse eseguito prendendo a parametro i metri cubi di acqua consumati, il rendiconto 2018 presentato dall'Amministratore all'approvazione, mostrava tre colonne, una dedicata al conteggio per persona, una a quello per millesimi e l'ultima a quello per consumo in metri cubi.
Sostengono ancora le condòmine che l'Assemblea avesse deliberato di correggere il rendiconto, ma, a quanto è dato evincere dalla narrativa, solamente per la mancata inclusione nel conteggio degli obbligati di un condòmino; così, il rendiconto 'rivisto e corretto', inviato dall'Amministratore il 17 luglio 2019 non soddisfaceva comunque i criteri previsti dal Regolamento, avendo lo stesso Amministratore unicamente ridotto le 'colonne' da tre a due, eliminando la colonna suddivisa per 'persone' e mantenendo però quelle suddivise per 'millesimi' e per 'metri cubi'.
Lamentavano poi le due condòmine che l'Amministratore avesse eseguito la disdetta del contratto di assicurazione del fabbricato in assenza di valida autorizzazione da parte dell'Assemblea.
Il Tribunale di Torino accoglie la richiesta di annullamento, ma solo in riferimento all'errore nel riparto delle spese idriche, mentre rigetta gli altri motivi di impugnazione.
In particolare, quanto all'assicurazione condominiale, rileva il Giudice che la questione non era nemmeno oggetto degli argomenti all'Ordine del Giorno dell'Assemblea impugnata, cosicché non era possibile esaminarla.
Inoltre, dai documenti versati in atti, risultava che ad una precedente Assemblea, alla quale le due condòmine erano presenti, l'Amministratore aveva notiziato i condòmini circa la scadenza della polizza assicurativa condominiale e circa la stipula di nuovo contratto di assicurazione con diversa compagnia, che lo stesso Amministratore aveva ritenuto di concludere autonomamente per non lasciare il Condominio esposto ai rischi di eventuali danni - immaginiamo, nelle more della convocazione di Assemblea ad hoc per l'autorizzazione alla stipula di un nuovo contratto assicurativo.
In quella medesima riunione, il Condominio aveva approvato (rectius, ratificato) l'operato dell'Amministratore, così sanando il difetto di mandato a stipulare.
Il riparto delle spese idriche, un conflitto senza soluzione?
Molti Condominii hanno preso l'abitudine, nel corso delle varie gestioni e per assenza di norme diverse nel proprio Regolamento o per mancata conoscenza della materia, di suddividere le spese per il consumo idrico nei modi più disparati - per teste, in parti uguali, etc.
La Cassazione, in un primo arresto che ancora oggi rimane come punto di riferimento in materia, ha affermato che «le spese relative al consumo dell'acqua devono essere ripartite in base all'effettivo consumo, se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche» (Cass., sentenza 01 agosto 2014, n. 17557).
Pertanto, laddove sia presente il c.d. contatore a sottrazione, esso verrà utilizzato nella suddivisone dei consumi tra i singoli condòmini; tuttavia, la suddivisione del consumo di acqua relativo alle parti comuni dell'edificio oppure del canone contrattuale dovuto dal Condominio all'ente erogatore o ancora la manutenzione dei tubi o l'installazione e manutenzione di un addolcitore, etc., dovranno essere ripartite per millesimi, salvo diversa convenzione.
Se invece non è presente il contatore a sottrazione, la Cassazione, con la pronuncia citata, ha specificato, in relazione al caso evidentemente sottopostole in quell'occasione, che «il sistema dell'art. 1123 c.c. non ammette che, salvo diversa convenzione tra le parti, il costo relativo all'erogazione dell'acqua, con una delibera assunta a maggioranza, sia suddiviso in base al numero di persone che abitano stabilmente nel condominio e che resti di conseguenza esente dalla partecipazione alla spesa il singolo condòmino il cui appartamento sia rimasto disabitato nel corso dell'anno».
E, continua la Corte: «esentare gli appartamenti non abitati dal concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico imputabile al lavaggio delle parti comuni o all'annaffiamento del giardino condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura dell'acqua potabile che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio da parte del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari domestiche facenti parte del condominio, è indipendente dal consumo effettivo».
Pertanto, il principio che la Corte enuncia è il seguente «in tema di condominio, fatta salva la diversa disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell'art. 1123 c.c., comma 1, in base ai valori millesimali delle singole proprietà, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che - adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell'unità immobiliare - esenti al contempo dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell'anno»
Vige tuttavia una normativa nazionale, cioè il D. Lgs. 152/2006, il quale prevede che le Regioni debbano adottare misure volte ad (art. 146) «… f) installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano» e pertanto è necessario verificare, di volta in volta, la presenza di una Legge Regionale ad hoc ed esaminare le disposizioni di questa.
Per esempio, la Legge Regionale per il Lazio n. 5/14 prevede che «Tutti i prelievi di acqua devono essere misurati a mezzo di un contatore in conformità all'articolo 146, comma 1, lettera f) del d.lgs. 152/2006».
Di qui, molti Giudici di merito si sono spinti ad affermare che la norma nazionale (D. Lgs. 152/2006) sia di carattere pubblicistico e, pertanto, imperativo, così da non essere derogabile, nemmeno con la diversa convenzione cui accenna la giurisprudenza (Regolamento condominiale o diversa convenzione accettata all'atto dell'acquisto): afferma il Tribunale di Roma che «l'esistenza di una determinata convenzione all'interno del regolamento contrattuale può e deve essere superata con l'installazione dei misuratori (cfr. Trib. Milano sent. 4275 del 3.5.2019 secondo il quale la ripartizione a contatore è imposta dalla normativa di settore che è di natura pubblicistica e anche di derivazione comunitaria, con conseguente prevalenza sulle norme nazionali o locali eventualmente contrastanti)» (Trib. Roma, sentenza 20 aprile 2021, n. 6674).
Quindi, la buona regola dovrebbe essere quella di installare contatori a sottrazione per verificare il consumo di ciascuna unità immobiliare - eventualmente differenziando laddove il Condominio sia costituito da unità immobiliari con destinazione mista, abitativa e diversa - e procedere a ripartire il consumo in base alle rilevazioni oggettive del sistema, a prescindere da quanto affermato dai Regolamenti condominiali - o da eventuali legislazioni regionali in difformità rispetto alla nazionale.
Errori nel riparto: nullità o annullabilità delle delibere?
Rammentiamo in chiusura che sulla questione del riparto delle spese che, se errato, vizia la delibera che lo approva è tornata la Cassazione, con la pronuncia a Sezioni Unite del 2021 in cui è stato risolto il contrasto relativo all'eccezione di annullabilità della delibera condominiale sollevata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (SU, sent. n. 9839 del 14 aprile 2021).
Le Sezioni Unite hanno quindi ricordato, riprendendo sostanzialmente l'approdo del 2005, che:
«In tema di condominio degli edifici, l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come modificato dall'art. 15 della l. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume".
Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c.».
Nel caso di specie, si potrebbe sostenere che, stando a quanto riportato in narrativa, l'Assemblea, che pure provvide a chiedere la correzione del rendiconto, ma non relativamente all'errato riparto con divisione in tre colonne, anziché per il solo consumo, come previsto dal Regolamento, abbia adottato una delibera nulla, in quanto in sostanza ha modificato il criterio previsto dal Regolamento e, come tale, risulta decisione esorbitante dalle funzioni assegnate dal Codice all'Assemblea medesima.