La rinuncia abdicativa è l'atto unilaterale attraverso il quale il comproprietario di un bene rinuncia alla propria quota di proprietà e ad ogni diritto su di essa. "L'uscita" del comproprietario avviene, tramite il negozio dismissivo della rinuncia, detta appunto "abdicativa", grazie alla quale il rinunciante si libera anche delle obbligazioni riguardanti la quota (spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune).
Ciò che caratterizza la rinuncia è l'unilateralità del negozio, in quanto, diversamente, si avrebbe un tradizionale negozio traslativo (compravendita) bilaterale o plurilaterale, in cui ad emergere non sarebbe la volontà di dismettere il bene o la quota, ma la finalità di trasferirlo avendo in cambio una prestazione corrispettiva.
Rinuncia abdicativa: qualificazione giuridica
La dottrina e la giurisprudenza qualificano la rinuncia abdicativa come donazione indiretta: "La rinuncia abdicativa della quota di comproprietà di un bene, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comunisti, mediante eliminazione dello stato di compressione in cui il diritto di questi ultimi si trovava a causa dell'appartenenza in comunione anche ad un altro soggetto, costituisce donazione indiretta, senza che sia all'uopo necessaria la forma dell'atto pubblico, essendo utilizzato per la realizzazione del fine di liberalità un negozio diverso dal contratto di donazione" (Cass. civile, sez. II, 25/02/2015, n. 3819 Foro it. 2015, 9, 2833 - Giustizia Civile Massimario 2015, rv 634473; Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2013 n. 14197; Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2013 n. 482).
Affinché la rinuncia possa essere qualificata come donazione indiretta, devono sussistere lo spirito di liberalità (intento di avvantaggiare gli altri comunisti senza aver nulla in cambio) e il nesso di causalità diretta tra la rinuncia e l'arricchimento del beneficiario (Cass., Sez. II Civ., 11 giugno 2019, n.15666).
La rinuncia abdicativa, in quanto atto unilaterale, non necessita della partecipazione di altri soggetti né ha natura recettizia; ne consegue che, ai fini della produzione degli effetti della rinuncia, è sufficiente la manifestazione di volontà de rinunciante senza necessità di accettazione né di conoscenza da parte del terzo nella cui sfera patrimoniale si riverberano gli effetti.
Quanto agli effetti, la Cassazione si è così espressa: "Con la rinuncia, che è negozio di natura abdicativa, si opera ipso iure, in forza del principio di elasticità della proprietà, l'accrescimento della quota rinunciata a favore del compartecipe che, pertanto, in caso di proporzione delle rispettive quote, diventa proprietario esclusivo de bene" (Cass. civ., sez. II, 09-11-2009, n. 23691).
Ipotesi di rinuncia abdicativa alla comproprietà
Il codice civile contempla le seguenti ipotesi di rinuncia alla comproprietà:
- la rinuncia del comproprietario a un muro in comune di divisione di due proprietà: in base all'art. 882, c. 2, c.c., il comproprietario di un muro comune può esimersi dall'obbligo di contribuire nelle spese di riparazione e ricostruzione, rinunciando al diritto di comunione, purché il muro comune non sostenga un edificio di sua spettanza;
- la rinuncia del comproprietario di un immobile: in base all'art. 1104 c.c. ciascun partecipante alla comunione deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto.
Secondo la giurisprudenza, la rinuncia abdicativa disciplinata dall'art. 1104 c.c. si applica solo in tassativi casi: "La possibilità nel nostro ordinamento di esercitare la rinunzia abdicativa alla proprietà immobiliare non può essere desunta in via interpretativa da norme che disciplinano casi specifici di rinunzia abdicativa, dalle quali semmai si dovrebbe ricavare che il legislatore ha voluto ammettere solo casi tipici; né essa rinunzia si può evincere, in maniera chiara, dagli artt. 1350 n. 5 e 2643 n. 5 c.c., che, in particolare, facendo riferimento alla rinunzia ai diritti immobiliari possono e debbono interpretarsi, prima di tutto, nel senso che si riferiscono ai casi di rinunzia a diritti reali espressamente disciplinati dal codice (ad esempio: la rinunzia a diritti reali minori; la rinunzia alla quota di proprietà pro indiviso) ovvero, comunque, a casi di rinunzia traslativa, e non abdicativa; né l'art. 827 c.c. contiene alcun riferimento alla rinunzia abdicativa a diritti immobiliari e segnatamente alla rinunzia al diritto di proprietà, né tale norma contiene riferimento alcuno agli atti e fatti giuridici che possono aver dato luogo alla esistenza di beni immobili privi di proprietario" (C. App. Genova, sent. 29 settembre 2020 n. 1114).
Divieto di rinuncia alle parti comuni nel condominio
Vi è poi il caso, disciplinato sotto forma di divieto, della rinuncia alle parti comuni del condominio.
In base all'art. 1118 c.c., c. 2, il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni. La ratio del divieto è immediatamente comprensibile se si legge il successivo comma "il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali".
Il citato divieto, in base al quale il condominio non può, rinunciando al diritto sulle parti comuni, sottrarsi al contributo sulle spese per la loro conservazione, non si limita a regolare la partecipazione dei condomini alle spese delle parti comuni nonostante la rinuncia del relativo diritto da parte del singolo condomino ma, indirettamente, esclude la validità della predetta rinuncia dato che le parti comuni necessarie per l'esistenza e l'uso dei piani o delle porzioni di piano ovvero destinate al loro uso o servizio continuerebbero a servire il condomino anche dopo, e nonostante, la rinuncia (Cass. sent. n. n. 6036/1995).
Al condominio non si applica, quindi, la norma di cui all'art. 1104 c.c. e il condomino non può rinunciare alla propria quota di proprietà della parte comune, perché ciò avrebbe solo un fine egoistico ed utilitaristico di non partecipare alle spese pur utilizzando la cosa comune.