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L'amministratore di condominio può proporre appello senza previa autorizzazione assembleare?

Per proporre appello non occorre alcuna autorizzazione assembleare in quanto tali controversie rientrano nelle normali attribuzioni dell'amministratore.
Avv. Marcella Ferrari Avv. Marcella Ferrari del Foro di Savona 

In tema di impugnativa di delibere assembleari relative all'individuazione del criterio di ripartizione delle spese, per proporre appello non occorre alcuna autorizzazione assembleare ai sensi dell'art. 1130 n. 1 e 3 c.c., in quanto tali controversie rientrano nelle normali attribuzioni dell'amministratore di condominio(Corte Cass., sez. II, 16 febbraio 2017, n. 4183).

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La vicenda. Nel lontano 1994 un condomino, proprietario di un'unità immobiliare nel palazzo, evocava in giudizio il condominio impugnando due delibere assembleari aventi ad oggetto i criteri di ripartizione delle spese relative alla pavimentazione ed impermeabilizzazione della terrazza di proprietà esclusiva dell'attore.

Il giudice di prime cure annullava le delibere impugnate, mentre in appello la domanda attorea (volta all'annullamento delle deliberazioni di cui sopra) veniva rigettata. Si giungeva così in Cassazione.

La sentenza.Tra i diversi motivi di ricorso, degno di maggior pregio ed approfondimento è quello afferente al (presunto) difetto di legittimazione dell'amministratore di condominio a proporre appello senza l'autorizzazione assembleare.

Il ricorrente, infatti, lamenta che l'adunanza condominiale, pur avendo trattato la questione all'ordine del giorno, non avesse deliberato sulla proposizione dell'appello.

I supremi giudici, nella decisione in commento, ritengono infondata tale censura per le seguenti ragioni. Gli artt. 1130 e 1131 c.c. si occupano delle attribuzioni dell'amministratore e del suo potere di rappresentanza. Egli ha la rappresentanza di tutti i condomini sia sostanziale che processuale [1]. Quest'ultima forma di rappresentanza si traduce nella capacità di stare in giudizio.

In particolare, in virtù delle norme citate, «l'amministratore è legittimato ad agire in giudizio per l'esecuzione di una delibera o per resistere all'impugnazione della stessa da parte di un condomino senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni, con la conseguenza che in tali casi egli neppure deve premunirsi di alcuna autorizzazione dell'assemblea per proporre le impugnazioni in caso di soccombenza del condominio» (Cass. n. 4900/1998; Cass. n. 8286/2005). Invero, la materia non è così pacifica.

Un diverso orientamento giurisprudenziale, benché recessivo, ritiene che l'amministratore debba munirsi di un'apposita delibera autorizzativa, pur agendo nell'ambito della propria sfera di competenze. In difetto, egli ha l'onere di far ratificare il proprio operato dall'assemblea [2].

La mancata ratifica si traduce nell'inammissibilità dell'impugnazione proposta o nell'inammissibilità della costituzione effettuata (Cass. n. 4733/2011).

A riprova della complessità della questione, si segnala che anche le Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute.

In quella sede, hanno statuito che l'amministratore possa costituirsi in giudizio ed impugnare una sentenza sfavorevole al condominio senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea purché, ex post, intervenga la ratifica del suo operato (Cass. S.U. n. 18331/2010).

In buona sostanza, si ribadisce che l'autorizzazione assembleare sia necessaria (o quantomeno occorra la ratifica successiva) solo nei giudizi che esorbitino dai poteri dell'amministratore.

Nel caso di specie, quindi, la predetta autorizzazione non occorreva «posto che eseguire le deliberazioni dell'assemblea e difendere le stesse dalle impugnative giudiziali del singolo condomino rientra nelle attribuzioni proprie dell'amministratore» (Cass. n. 4183/2017). In senso conforme alla decisione oggetto di scrutinio si segnalano altre pronunce.

La giurisprudenza maggioritaria, infatti, riconosce che l'amministratore di condominio, essendo tenuto a vigilare sull'osservanza del regolamento condominiale, sia «legittimato ad agire e resistere in giudizio […] senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall'art. 1136 c.c., comma 2, la quale è richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'amministratore stesso» (Cass. n. 21841/2010).

I supremi giudici, dunque, nel proprio percorso argomentativo, ribadiscono che l'amministratore sia dotato di poteri di rappresentanza processuale ad agire e a resistere senza necessità di alcuna autorizzazione, purché si tratti di azioni rientranti nella sua sfera di competenze ordinarie o di quelle decise dall'assemblea.

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Conclusioni. Secondo la pronuncia in commento(Corte Cass., sez.

II, 16 febbraio 2017, n. 4183), l'amministratore è munito dei poteri di rappresentanza processuale, sia ad agire che a resistere e, pertanto, non necessita di una previa autorizzazione.

Opinando diversamente, si giungerebbe a quello che la Corte definisce un «assurdo iper-assemblearismo»; in altre parole, si costringerebbe l'amministratore a convocare i condomini ogni volta che occorra, ad esempio, agire o resistere al monitorio sul pagamento degli oneri condominiali.

In conclusione, dunque, nel caso di specie l'amministratore era legittimato ad impugnare la sentenza di primo grado giacché, vertendo su delibere relative a criteri di ripartizione delle spese, egli ha agito nell'ambito della propria sfera di competenza.

Avv. Marcella Ferrari

Avvocato del Foro di Savona


[1] Il rapporto tra i condomini e l'amministratore rientra nel contratto di mandato (art. 1703 c.c.) e, in particolare, del mandato con rappresentanza (art. 1704 c.c.). Pertanto, tutte le attività poste in essere dall'amministratore producono i propri effetti nella sfera giuridica dei singoli condomini.

[2] Allorché l'amministratore ponga in essere atti esulanti dalle proprie attribuzioni, egli deve ottenere la ratifica da parte dell'adunanza condominiale. La ratifica (art. 1399 c.c.) è un negozio unilaterale con cui il mandante fa propri gli atti conclusi in suo nome e conto da chi non aveva il potere di rappresentarlo. È equiparabile ad una procura successiva (ratihabitio mandato compatarur).

Essa ha effetto retroattivo, fatti salvi i diritti dei terzi, e deve avere la medesima forma richiesta per il compimento dell'atto compiuto in assenza di autorizzazione. In tal senso vedasi A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, 2013, 541 ss.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione, sez. II Civile, 16 febbraio 2017, n. 4183

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