L'amministratore condominiale può essere revocato giudizialmente solo se il condomino ricorrente dimostri il danno effettivamente subito a causa della mala gestio. E' quanto si ricava dal decreto pronunciato in data 17/02/2025 con cui il Tribunale di Avellino ha respinto il ricorso presentato da un comproprietario per denunciare tutta una serie di presunti inadempimenti che avrebbero giustificato l'immediata risoluzione del rapporto di mandato che legava l'amministratore al condominio.
Revoca amministratore: criteri e giurisprudenza attuale
Nel caso in questione un condomino aveva chiesto che il Tribunale procedesse alla revoca dell'amministratore condominiale, perché a suo dire lo stesso si era reso responsabile di plurimi inadempimenti.
Il Tribunale di Avellino, valutati i motivi addotti dal ricorrente a sostegno della domanda alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale formatosi in materia a seguito della riforma del 2012, tenuto altresì conto della documentazione prodotta in atti e delle difese assunte dall'amministratore costituitosi in giudizio, ha respinto il ricorso, condannando il condomino alla refusione delle spese di lite. Il Giudice ha infatti evidenziato che per ottenere la revoca giudiziale non è sufficiente allegare e dimostrare una serie di inadempienze o irregolarità commesse dall'amministratore, ma occorre anche provare che le stesse abbiano determinato un'effettiva mala gestio del condominio, ovvero una paralisi della sua attività o un pregiudizio economico per gli amministrati.
Il Tribunale di Avellino, nel motivare la propria decisione, ha tratteggiato il quadro giurisprudenziale venutosi a formare in tema di revoca giudiziale dell'amministratore a seguito della riforma del 2012, fornendo utili indicazioni sistematiche.
In linea generale si è detto che una grave irregolarità che non si traduca in un immediato danno o pericolo di danno per il condominio non è idonea a provocare la revoca dell'amministratore, potendo sempre l'assemblea adottare le iniziative opportune, non escluso il recesso (T. Napoli 13.12.1994); che l'ipotesi ricorre quando gravi comportamenti dell'amministratore facciano venir meno il necessario rapporto di fiducia che lo deve legare ai condomini, situazione che «è esclusa nel caso di lamentele attinenti a una gestione avallata dalla maggioranza assembleare con delibere non impugnate dai condomini ricorrenti» (T. Modena 17.5.2007); che le gravi irregolarità non si esauriscono nelle anomalie contabili, ma si estendono a tutti quei comportamenti che fanno sospettare una gestione anomala, con l'unico limite della gravità; che la revoca giudiziale per fondati sospetti di gravi irregolarità, avente funzione sussidiaria rispetto alla competenza dell'assemblea ad esaminare la questione, deve fondarsi su elementi precisi e concordanti che facciano prevedere un imminente pregiudizio per il condominio (T. Napoli 18.11.1994); ed anche che la fattispecie non si può ravvisare ogni qualvolta l'assemblea condominiale abbia adottato deliberazioni nulle o annullabili e l'amministratore si sia limitato a darvi esecuzione, perché in tale ipotesi il condomino che si ritiene leso ha il più agevole e corretto rimedio dell'impugnazione della delibera (T. Firenze 22.4.1991).
Valutazioni finali sulla revoca dell'amministratore e tutela della minoranza
Nella specie il Tribunale di Avellino ha quindi ritenuto che per ottenere la revoca giudiziale non è sufficiente allegare e dimostrare una serie di inadempienze o irregolarità commesse dall'amministratore, ma occorre anche provare che le stesse abbiano determinato un'effettiva mala gestio del condominio.
Ma il Giudice è giunto anche a ritenere che il fatto che a lamentarsi dell'amministratore sia un solo condomino a fronte della maggioranza che lo sostiene possa far presumere che il condominio in realtà funzioni correttamente e non vi sia necessità di risolvere il mandato.
Quest'ultima annotazione pare francamente eccessiva e tradisce una sorta di retropensiero che si accompagna spesso alle pronunce di rigetto assunte dai Tribunali in siffatta materia, ossia che la revoca dell'amministratore deve essere ottenuta in sede assembleare e che se c'è una maggioranza che sostiene l'amministratore, questo non va revocato.
E' bene però ricordare che l'istituto della revoca giudiziale esiste proprio per garantire alla minoranza di poter ottenere l'allontanamento dell'amministratore a discapito della maggioranza che lo sostiene, laddove la stessa sia indifferente alla mala gestio del condominio o addirittura connivente, preferendo magari la salvaguardia di interessi personali alla la tutela di quello collettivo.
Ma un altro tema che evidentemente si interseca con quello in oggetto e che è sempre più sponsorizzato dalla giurisprudenza è quello del discrimine tra vizi formali e vizi sostanziali, sul presupposto che solo i secondi soddisfino l'interesse ad agire in giudizio di cui all'art. 100 c.p.c..
Nel momento in cui si afferma che le gravi irregolarità di cui all'art. 1130 c.c. non sono fini a se stesse, ma devono sostanziarsi in un danno effettivo, si sta sostanzialmente facendo applicazione di detto principio anche alla revoca giudiziale, restringendo ancora di più quel margine di tutela della minoranza a fronte di condotte illegittime dell'amministratore.
Certo l'insistenza del condomino su un vizio formale non deve assumere i contorni dell'abuso del diritto, ma francamente pare che non possa nemmeno passare l'opposto principio per cui la violazione di una disposizione di legge (che è a sua volta parte integrante del contratto di mandato tra amministratore e condomini) possa avere rilievo solo se produttiva di un pregiudizio economico e non possa essere punita come un disvalore di per sé, a prescindere dalle sue conseguenze.