Permane l'incertezza sui criteri di redazione del rendiconto condominiale e i dubbi che ne conseguono in merito alla validità delle deliberazioni assembleari di approvazione impongono di ricercare delle soluzioni e di ricostruire un possibile quadro di sintesi.
Se infatti si può dire che siano stati raggiunti dei punti fermi in tema di completezza documentale del rendiconto e di veridicità del suo contenuto, si registra ancora una certa divergenza tra dottrina e giurisprudenza in merito all'applicabilità del principio di cassa piuttosto che di quello di competenza all'esposizione dei dati contabili della gestione.
Quest'ultima, in particolare, sia a livello di legittimità che di merito, sembra essersi ormai attestata sul criterio di cassa.
Si inserisce in questo filone la recente e ampiamente motivata sentenza del Tribunale di Roma n. 5969 del 9 aprile 2020.
La funzione del rendiconto condominiale.
Nell'affrontare l'argomento conviene prendere le mosse da una questione che si rivela di fondamentale importanza per la disamina della questione, ossia quella della finalità del rendiconto condominiale.
Quest'ultimo è allo stesso tempo imparentato alla schiatta aristocratica dei bilanci di esercizio societari, la cui disciplina è alquanto specifica e complessa (artt. 2423 ss. c.c.), e alla ben più modesta famiglia dei rendiconti dei mandatari, per i quali non sono previste specifiche modalità di redazione (art. 1713 c.c.).
Quello che il mandatario è chiamato a fare alla fine di ogni gestione consiste, per usare le parole della Suprema Corte, "nell'informare il mandante di ciò che è accaduto e cioè nell'affermazione di fatti storici che hanno prodotto entrate ed uscite di denaro per effetto dell'attività svolta, al fine di ricostruire i rapporti di dare ed avere, con la relativa documentazione di spesa" (Cass. civ., sez. I, 10 dicembre 2009, n. 25904).
Il rendiconto che l'amministratore è tenuto a rendere quale mandatario dei condomini è certamente qualcosa di più complesso di questo, non fosse altro che per la varietà e la quantità delle attività che il medesimo è chiamato a svolgere e per il fatto di doverle eseguire per conto di una pluralità di soggetti ma, come ribadito a più riprese dalla Corte di Cassazione, non è richiesta l'adozione di una contabilità redatta con le forme rigorose di un bilancio societario (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2017, n. 3892).
Come è noto, la riforma del 2012 ha portato all'introduzione di una disposizione di legge (art. 1130-bis c.c.), la quale ha confermato contenuto e finalità del rendiconto condominiale (indicazione delle entrate e delle uscite, situazione patrimoniale, fondi disponibili e riserve), ne ha indicato un fondamentale, per quanto generico, criterio di redazione (quello dell'immediata verificabilità) e ne ha chiarito la natura di atto complesso (costituito da un registro di contabilità, un registro finanziario e una nota sintetica esplicativa della gestione).
Di quali documenti si compone un rendiconto?
Per quanto sopra, sotto il profilo della completezza dovrà ritenersi conforme a legge soltanto il rendiconto che sia costituito dai documenti sopra indicati, i quali, unitamente considerati, consentono ai condomini e ai terzi una completa valutazione della situazione economico-contabile del condominio.
In caso contrario la delibera di approvazione sarà annullabile ex art. 1137 c.c. (Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 2018, n. 33038).
Il rischio di questa impostazione è sicuramente quello dell'eccessivo formalismo (sotto questo profilo si vedano soprattutto: Tribunale Torino, 4 luglio 2017, n. 3528; Tribunale Milano, 23 agosto 2019, n. 7888).
Per rimediare a quanto sopra si può tuttavia confidare in una equilibrata valutazione condotta caso per caso dal Giudicante, proprio sulla base del principio della "immediata verificabilità ".
Il rendiconto errato e quello non veritiero.
Sicuramente più grave pare essere l'ipotesi del rendiconto formalmente perfetto ma nel quale si annidino dati errati o dati non veritieri, tali da deformare la "fotografia" dell'andamento della gestione.
Quanto sopra potrebbe essere il frutto di meri errori di compilazione oppure rispondere a un preciso disegno di contraffazione della realtà (da questo punto di vista si rivelerà il più delle volte fondamentale la sussistenza o meno delle c.d. pezze giustificative).
Nel primo caso la relativa delibera di approvazione sarebbe annullabile, in considerazione della non corrispondenza tra la volontà espressa dall'assemblea e l'oggetto di tale volizione (è infatti evidente come i condomini avrebbero in tal caso espresso parere favorevole su una gestione contabile fondata su dati non rispondenti al vero), nonché per il fatto che il principio di cui all'art. 1130-bis c.c. deve essere letto anche come obbligo di trasparenza e di veridicità del contenuto.
Nella seconda ipotesi vi potrebbero invece essere conseguenze penali per l'amministratore (sarebbe ipotizzabile il reato di truffa) e - sul piano civilistico - la deliberazione assembleare potrebbe ritenersi addirittura nulla, potendo essere fatta rientrare nella invero non sempre chiara casistica dell'eccesso di potere (un interessante precedente, per quanto datato, si trova in Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1988, n. 731).
Principio di cassa o principio di competenza?
Sulla base del criterio di immediata verificabilità introdotto dalla Riforma del 2012 si potrebbe infine comporre anche il dissidio che da lungo tempo divide i sostenitori di uno o dell'altro criterio per la redazione del consuntivo.
Il punto di vista giurisprudenziale sembra essere quello della necessità del principio di cassa. Non si può non fare riferimento a quanto stabilito in Cass. civ., sez.
II, 9 maggio 2011, n. 10153, nella quale si è affermato, seppure incidentalmente, che il criterio legittimo sarebbe appunto quello di cassa. In maniera più esplicita si è poi pronunciata Cass. civ., sez.
II, 30 ottobre 2018, n. 27639, della quale giova riportare una parte della motivazione: "attraverso il rendiconto vengono giustificate le spese addebitate ai condomini, ragione per la quale il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l'inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata va annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione.
La mancata applicazione del criterio di cassa non rende intelligibile il bilancio e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino.
Il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza, consente infatti di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune.
Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza, cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro, può sussistere confusione qualora le poste indicate non trovino riscontro documentale".
Tra le decisioni di merito che hanno seguito tale impostazione si segnalano invece: Tribunale di Roma, 2 ottobre 2017, Corte di Appello di Cagliari, 17 maggio 2019, nonché appunto nuovamente il Tribunale di Roma con la recente sentenza del 9 aprile scorso, della quale pure giova riportare una parte dell'ampia motivazione: "il criterio di cassa consente altresì di fare un raffronto tra le spese sostenute e i movimenti del conto corrente bancario intestato al Condominio; a ciascuna voce di spesa deve corrispondere un prelievo diretto a mezzo assegno o bonifico sul/dal conto corrente condominiale tenuto conto che entrate e spese devono recare traccia documentale mentre non è consentito l'utilizzo del contante che tale traccia non reca. (…) Donde la mancanza di tali indicazioni, che conferiscono certezza e chiarezza al bilancio, ovvero la presenza di elementi che ne inficino la veridicità quali l'omissione o l'alterazione dei dati (ad esempio sugli interessi dei depositi) determina l'illegittimità del bilancio stesso che si estende alla delibera che l'approvi e che sia oggetto di contestazione".
Secondo il Tribunale di Roma il rendiconto redatto secondo il criterio di competenza o utilizzando sia questo sia il criterio di cassa sarebbe quindi di per sé non chiaro e di immediata verificabilità, con conseguente illegittimità della relativa delibera di approvazione. Pare, francamente, una conclusione eccessivamente rigida.
Il nuovo art. 1130-bis c.c., come detto, ha individuato vari documenti che costituiscono, tutti insieme, il rendiconto. E fra questi, rimettendoci sul punto alle opinioni degli esperti di contabilità e bilancio, alcuni atti, proprio allo scopo di raggiungere le finalità alle quali sono preordinati, devono necessariamente seguire il criterio di cassa (registro di contabilità, conto delle entrate e delle uscite), altri, sempre per il medesimo motivo, il criterio di competenza (conto economico di esercizio, situazione patrimoniale).
Per quanto sopra, a modesto parere di chi scrive, sarebbe errato decidere della legittimità o meno di un rendiconto semplicemente sulla base del criterio contabile adottato dall'estensore, ma occorrerebbe in ogni caso valutare in concreto se la complessiva documentazione presentata all'approvazione dell'assemblea sia stata o meno trasparente e veritiera, ossia di immediata verificabilità.
Gli altri vizi di legittimità della delibera di approvazione.
Occorre infine ricordare che i vizi legati al procedimento di formazione della volontà assemblare (dalla convocazione alla deliberazione) possono rendere annullabile, al pari delle altre deliberazioni, anche quella di approvazione del rendiconto.
Inoltre è sempre utile ribadire che anche ogni delibera può essere contestata dai condomini ex art. 1137 c.c. solo per motivi di legittimità e non anche per ragioni di merito, "non essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell'impugnazione della delibera" (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2011, n. 5254).