Il tribunale di Roma, con sentenza del 17 giugno 2020, numero 8698 ha riconosciuto le ragioni della parte attrice, un condòmino che aveva impugnato una delibera assembleare di approvazione di un rendiconto, annullando tale delibera e condannando il Condominio al pagamento di tutte le spese di lite.
Di seguito vediamo le ragioni addotte dal condòmino e le motivazioni riportate dai giudici capitolini in relazione alla loro decisione finale che ho già anticipato.
L'oggetto della contestazione
Il condòmino che aveva avviato il contenzioso nel 2017, sosteneva che il rendiconto fosse viziato sotto vari profili. In particolare la parte attrice lamentava:
- Una dicitura che si riferiva ai conguagli di gestione approvati - "al netto di eventuali acconti versati'' - che a suo dire non avrebbero reso definitivi i saldi finali
- La difformità tra l'elenco spese riepilogate e la Situazione Pagamenti di euro 22.914,23 rispetto a quanto descritto nelle note sintetiche e nell'estratto conto della Banca ove cui il conto condominiale era radicato.
Nello specifico, l'estratto conto evidenziava un saldo iniziale positivo di euro 56.499,34 e terminava con un saldo finale positivo di euro 23.825,06 che nella situazione patrimoniale presentata non è riportato.
- l'errato inserimento in bilancio delle tabelle A/2 e U l non previste nel regolamento condominiale.
La posizione del Condominio
Sul primo punto il Condominio replicava che la dicitura incriminata, altro non era che una formula standardizzata con la quale il redattore del documento aveva inteso avvisare che l'eventuale versamento tardivo di quote da parte dei condòmini, rispetto alla redazione dei bilanci portati all'attenzione dell'assemblea, avrebbe implicato la necessità di un successivo aggiornamento dei bilanci in corso di approvazione.
Sul secondo punto il Condominio si è limitato a sostenere che le imputazioni fossero sforniti di prova.
Infine, sul terzo punto, secondo il Condominio la previsione delle tabelle U1 e A2 sarebbero dovute ad esigenze del software gestionale al fine di porre a carico di ciascun condòmino spese in forma "unitaria" oppure per assegnare alcune delle spese che non potevano essere poste a carico dei locali commerciali, ai sensi dell'art. 1123,2° comma c.c.
In effetti, a tal riguardo, per quanto ho potuto appurare personalmente, si conferma che i software gestionali consentono la personalizzazione di alcune ripartizioni addebitando spese a determinati condòmini e che per farlo, occorre creare delle tabelle ad hoc che anche se non esistono ufficialmente, rispondono ad esigenze pratiche contabili.
Le considerazioni dei giudici: aspetti generali sul rendiconto
Le giustificazioni addotte dall'amministratore, però, non hanno evidentemente convinto i giudici.
Innanzitutto essi osservano che "il rendiconto che viene portato all'approvazione dell'assemblea non è un mero documento contabile contenente una serie di addendi, ma un atto con il quale l'obbligato (l'amministratore) giustifica le spese addebitate ai suoi mandanti (i condòmini)".
E questo deve avvenire, aggiungono i giudici, in modo tale che occorre tener conto di quelle "regole minime che debbono essere rispettate dovendo al riguardo essere ricordato, anche sulla scorta di noti arresti della S. Corte nella materia condominiale, che pur non trovando diretta applicazione le norme prescritte per i bilanci delle società è comunque necessario che il rendiconto, per essere valido" debba rispettare determinate condizioni.
Prima di proseguire, ritengo utile rappresentare il contesto contabile e di diritto nel quale opera attualmente l'amministratore.
Panoramica sulla contabilità condominiale
Innanzitutto evidenziamo che in tema di rendiconto condominiale, la normativa è sempre stata piuttosto scarna e nel tempo la giurisprudenza ha certamente rappresentato uno strumento di particolare importanza per colmare le evidenti lacune.
In particolare la Suprema Corte (Cass., 28 aprile 2005, n.8877, Cass, 11 gennaio 2017, n. 454) ha evidenziato che seppur nella tenuta della contabilità e nella redazione del bilancio, l'amministratore non sia obbligato al rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, egli debba comunque necessariamente attenersi a princìpi di ordine e di correttezza. Inoltre che, nel redigere il bilancio debba approntare un documento chiaro e intelligibile, con corretta apposizione delle voci dell'attivo e del passivo, che fossero corrispondenti e congrue rispetto alla documentazione relativa alle entrate e alle uscite.
Tutto questo non era in alcun modo menzionato nelle norme del codice civile afferenti il Condominio e i giudici prendevano a riferimento la normativa societaria applicandole per analogia se ne ricorrevano le condizioni.
Anche la Riforma del Condominio poco aveva aggiunto se non l'introduzione di un nuovo articolo: il 1130 bis. c.c. che così recita:
"Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica.
Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti. […]"
Un'unica norma che menziona un solo principio contabile (l'immediata verificabilità) dei contenuti del rendiconto in maniera, ad avviso dello scrivente, decisamente sommaria.
Aspetti fondamentali del rendiconto secondo i giudici della sentenza in esame
I giudici capitolini, invece, nel giudizio in esame, ritenevano di trarre dalla normativa vigente, alcuni aspetti chiari che deve avere un rendiconto e in particolare che deve essere:
- privo di vizi intrinseci,
- accompagnato dalla documentazione che giustifichi le spese sostenute;
- intellegibile onde consentire ai condòmini (i quali generalmente non hanno conoscenze approfondite sul come un bilancio debba essere formato e 'letto') di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite.
A tal proposito i giudici aggiungevano anche che tale ultimo requisito, desumibile dagli artt. 263 e 264 c.p.c., costituisce il presupposto fondamentale perché possano essere contestate, appunto, le singole partite.
Il Quadro dei conti e la tabella di ripartizione spese
Proprio sulle entrate e le uscite (due informazioni fondamentali da riportare nel rendiconto) i giudici spiegavano che per consentire ai condòmini di apprezzare e valutare il bilancio, l'amministratore deve indicare ed inviare ad ogni condòmino:
- un elenco delle spese sostenute (con data e causale dell'importo) già diviso per categorie secondo il criterio di ripartizione (come spese generali, acqua riscaldamento, ecc.),
- l'indicazione delle quote incassate dai condòmini;
- il piano di riparto che indichi per ogni condòmino e per ogni categoria di spesa il criterio di riparto e la quota a suo carico.
Queste informazioni vengono generalmente rappresentate con due prospetti contabili che prendono il nome di Quadro dei conti (elenco di spese raggruppate in mastrini a ciascuno dei quali viene abbinata una tabella o un criterio di ripartizione spese) e tabella di ripartizione spese dove si evidenziano le quote incassate che, sommate algebricamente alle spese addebitate, consentono di calcolare i conguagli finali in relazione a ciascuna unità immobiliare.
La situazione patrimoniale per i giudici capitolini
Il tribunale romano evidenziava anche la necessità che nel bilancio debba sempre essere indicatala situazione patrimoniale (dicitura riportata nell'art. 1130 bis c.c.) specificando:
- gli eventuali residui attivi e passivi;
- l'esistenza e l'ammontare di fondi di riserva obbligatori (ad esempio l'accantonamento per il trattamento di fine rapporto del portiere) o deliberati dall'assemblea per particolari motivi (ad esempio fondo di cassa straordinario).
- le quote condominiali ancora da incassare (i crediti);
- l'indicazione delle spese ancora da sostenere (i debiti v/fornitori);
- le eventuali rimanenze attive.
I giudici aggiungono altresì di ritenere ovvio che la situazione patrimoniale debba rispettare il prospetto approvato nella gestione precedente onde verificare la possibilità di eventuali 'scomparse' di somme di danaro.
La riserva sui conguagli
I giudici si esprimevano anche sulla dicitura ''al netto di eventuali acconti versati'' che per la parte attrice contrasterebbe con l'aspetto definitivo che occorre dare all'approvazione di consuntivi.
Anche a tal riguardo il tribunale romano condivide le contestazioni del condòmino che ha impugnato la delibera ritenendo che quella dicitura "non rispetti l'esigenza inderogabile che il rendiconto condominiale, riferito ad un anno di gestione, contenga saldi della gestione certi che consentano all'amministratore di predisporre un documento contabile allineato e quindi effettuare quella serie di operazioni contabili che consentano di collegare un nuovo esercizio finanziario alle annualità precedenti, contestualizzando il tutto in un unicum contabile".
In effetti, nell'ottica di dare certezza e definitività al bilancio approvato, la dicitura analizzata pare rappresentare una riserva che lascerebbe sempre aperta la questione del valore del saldo finale.
I criteri contabili
Infine un ultimo capitolo riguarda il fatto che il tribunale capitolino entri nel merito del criterio adottato dall'amministratore, ossia delle regole per rappresentare le voci di bilancio in entrata e in uscita.
I criteri principali, come noto sono essenzialmente due: quello per cassa e quello per competenza.
Quest'ultimo come noto consiste nell'imputare la spesa all'esercizio contabile nel quale il servizio da cui è scaturito la spesa, è stato svolto.
Il criterio di cassa, al contrario, consiste nel contabilizzare un fatto di gestione (entrata o uscita che sia) nell'esercizio nel quale si è manifestato concretamente e nel quale ha comportato una movimentazione sul conto condominiale.
Tanto nell'art. 1130 bis c.c. quanto in altre norme afferenti il Condominio, non sembra potersi riscontrare alcun riferimento esplicito del legislatore al fatto di dover obbligatoriamente preferire un criterio anziché l'altro e questo parrebbe lasciare aperta la possibilità di scelta, in capo all'amministratore.
Tuttavia si registrano da sempre orientamenti giurisprudenziali differenti alcuni dei quali ritengono che dovrebbe essere adottato il criterio di competenza (Trib. Catania,12 aprile 2017), altri propugnano il criterio misto ossia una combinazione tra i due menzionati (App. Genova, 04 luglio 2018, n. 1107) ed altri, invece, che considerano il criterio di cassa l'unico corretto.
Su tale ultimo punto, in particolare, il tribunale di Roma (Trib. Roma, 02 ottobre 2017; Trib. Roma 07 gennaio 2019 n. 246; Trib. Roma 25 gennaio 2019, n. 1918; Trib. Roma 09 aprile 2020, n.5969) si è ormai indirizzato verso tale linea e nel procedimento giudiziale analizzato nel presente articolo, non ha voluto discostarsi.
Ciò che affermano i giudici di tale orientamento è che il bilancio, o meglio (secondo loro), il conto consuntivo della gestione condominiale, non deve essere strutturato in base al criterio della competenza "bensì a quello di cassa con il quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza".
Per il tribunale, "l'inserimento della spesa annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione consente di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune".
I giudici aggiungono, altresì che il criterio di cassa consente "di fare un raffronto tra le spese sostenute ed i movimenti del conto corrente bancario intestato al Condominio; a ciascuna voce di spesa deve corrispondere un prelievo diretto a mezzo assegno o bonifico sul/dal conto corrente condominiale".
In effetti pare evidente che se si adottasse il criterio di cassa per la rappresentazione delle uscite, sarebbe più agevole il riscontro con l'estratto conto condominiale rispetto ad un consuntivo redatto col criterio di competenza, ma non si trova scritto da alcuna parte che debba necessariamente operarsi questo raffronto.
Dal tenore letterale dell'art. 1130 bis c.c. emerge, invece, a chiare lettere che il rendiconto ha diverse componenti e quindi la funzione informativa di quanto accaduto nel passato esercizio, può essere svolta dalla visione di insieme di tutte queste componenti.
Così come non si capisce da dove i giudici traggano la convinzione che la modalità di predisposizione del bilancio per cassa sia prevista proprio dal legislatore con il novellato art 1130 bis cc. per poi concludere che "la mancanza di tali indicazioni, che conferiscono certezza e chiarezza al bilancio determina l'illegittimità del bilancio stesso che si estende alla delibera che l'approvi e che sia oggetto di contestazione (v. Tribunale di Roma, sez. V, 03/10/2017, ud. 02/10/2017, dep. 03/10/2017, n. 18593)".
Le riflessioni di chi scrive, in merito alla correttezza di un criterio anziché l'altro sono già state rappresentate in questo articolo.
Pertanto non verranno ripetute, ritenendo solo di osservare che, a parere personale, sul criterio da applicare, i giudici non dovrebbero sindacare la scelta dell'amministratore in quanto nessuna norma ne impone l'uno o l'altro (Cass., 16 agosto 2000, n.10815 - giudice estensore Corona; Trib. Massa, 09 marzo 2017).