L'Ufficio finanziario può, sulla base del "redditometro", pretendere il pagamento di maggiori imposte da parte del contribuente che, nonostante dichiari poco, risiede con moglie e figli in un immobile di grandi dimensioni, di cui è nudo proprietario e sul quale grava un mutuo ipotecario.
La vicenda. L'agenzia dell'Entrate aveva rettificato, ai fini IRPEF, il reddito dichiarato dal contribuente per gli anni d'imposta 2005 e 2006. Infatti, l'Ufficio aveva fondato l'accertamento sintetico sulla disponibilità, da parte del contribuente, di un'abitazione principale di 218 m.q., della quale egli era nudo proprietario e sulla quale gravava un mutuo ipotecario.
Concludeva pertanto l'Ufficio che il reddito dichiarato dal contribuente nei due periodi d'imposta accertati si discostava di oltre un quarto da quello sinteticamente determinabile in base ai predetti indici.
In primo grado, la CTP aveva accolto i distinti ricorsi introduttivi proposti dal contribuente avverso gli avvisi di accertamento, ritenendo sia che l'accertamento impugnato fosse stato pregiudicato dall'erronea utilizzazione del coefficiente adoperato per valutare l'abitazione principale, che non teneva conto della circostanza che il contribuente ne era solo nudo proprietario; sia che, comunque, il ricorrente avesse dato prova di risorse economiche estranee al c.d. redditometro, derivanti dallo smobilizzo di somme, dall'aiuto economico ricevuto da congiunti con i quali condivideva il domicilio e da un lascito ereditario ricevuto nel 2006.
La CTR, invece, ha accolto l'appello dell'Ufficio, considerando che il contribuente non avesse dato prova delle dedotte elargizioni ricevute da congiunti; che l'abitazione nella quale viveva il ricorrente risultava separata da quella dei suoceri e dei suoi genitori e che il nucleo familiare dello stesso contribuente, costituito dalla moglie e dai loro due figli, fosse pertanto autonomo; che la circostanza che il ricorrente era solo nudo proprietario dell'abitazione principale fosse irrilevante rispetto all'utilizzo effettivo che ne faceva il contribuente, con i conseguenti costi di gestione. Avverso tale decisione, il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione.
Il ragionamento della Cassazione. La circostanza che anche i predetti congiunti della moglie del ricorrente abitassero, nel periodo oggetto degli accertamenti, nello stesso immobile la cui disponibilità era stata invece ascritta interamente al contribuente, era stata negata dalla CTR sulla base della sola valutazione delle «interrogazioni all'anagrafe tributaria», che tuttavia risultavano attinenti alla sola nonna della coniuge della ricorrente.
Mancava, pertanto, ogni valutazione del fatto derivante dalle predette certificazioni anagrafiche, relative alla residenza dei predetti congiunti al medesimo indirizzo del ricorrente.
Tale circostanza, anche a prescindere dalla configurazione dei congiunti della moglie del ricorrente come un nucleo familiare autonomo o meno, appariva potenzialmente decisiva per determinare, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del predetto d.m. Finanze del 10 settembre 1992, se, ai fini dell'accertamento sintetico praticato, l'effettiva «disponibilità» dell'immobile da parte del ricorrente fosse esclusiva, o se concorresse con quella dei predetti terzi congiunti della moglie.
Verifica che andava condotta con riferimento alla signoria di fatto esercitata in concreto dai terzi sulla res, uti domini.
Pertanto, al fine che qui interessa, "il concetto di «disponibilità» del bene, per giovare al contribuente quale circostanza a parziale discarico del relativo elemento indicativo di capacità contributiva e presuntivo di maggior reddito, non coincideva necessariamente con la nozione civilistica di proprietà, ma con quella dell'elemento materiale del possesso, ricomprendendo tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricadeva direttamente nella sfera degli interessi economici di altro soggetto, ancorché il potere dispositivo su di esso venga esercitato tramite l'intestatario, e si estrinseca in una relazione connotata dall'esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà".
La medesima circostanza, peraltro, appariva potenzialmente decisiva anche al fine di valutare la prova, della quale era onerato il contribuente, che per detto bene egli sopportava solo in parte le spese, atteso che l'utilizzo dell'immobile anche da parte di terzi (due dei quali, i genitori della moglie del ricorrente, anche usufruttuari di esso) non è a priori indifferente nella relativa valutazione istruttoria.
In conclusione, nei termini appena esposti, la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso solo su tale aspetto relativo all'omesso esame del dato attinente la residenza anagrafica anche di terzi presso l'immobile in questione; per l'effetto, la pronuncia è stata cassata con rinvio.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | CONTROLLI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE PER CHI POSSIEDE UN IMMOBILE MA L'USUFRUTTO È DI UN'ALTRA PERSONA. |
RIFERIMENTI NORMATIVI | Art. 38, commi 4,5 e 6, del d.P.R. n. 600 dei 1973; art. 3, comma 2, del predetto d.m. Finanze del 10 settembre 1992 |
PROBLEMA | La vicenda pone l'attenzione sulla questione della proprietà di una casa in usufrutto: è stato chiesto ai giudici quali sono i rischi di carattere fiscale collegati alla nuda proprietà di un immobile e se questa può generare un controllo da parte dell'ufficio delle imposte. |
LA SOLUZIONE | Secondo la cassazione, il concetto di disponibilità del bene, per giovare al contribuente quale circostanza a parziale discarico del relativo elemento indicativo di capacità contributiva e presuntivo di maggior reddito, non coincideva necessariamente con la nozione civilistica di proprietà, ma con quella dell'elemento materiale del possesso, ricomprendendo tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricadeva direttamente nella sfera degli interessi economici di altro soggetto. |
LA MASSIMA | È legittimo l'accertamento fiscale con redditometro a carico di chi dichiara poco ma ha anche la sola nuda proprietà di una grande abitazione. Tuttavia, l'imponibile deve scendere se la casa è condivisa con dei parenti, in questo caso i suoceri, che contribuiscono alle spese di gestione. Cass. civ., sez. trib., 26 luglio 2019 n. 20338 |