I nuovi strumenti urbanistici, introdotti dal Legislatore per realizzare una edilizia più “elastica”, hanno riproposto il problema dei vincoli pubblicistici in materia di distanza tra edifici. Una recente sentenza della Corte Costituzionale cerca di fare chiarezza fissando alcuni principi fondamentali in materia.
La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale, la n. 6 del 23 gennaio 2013, afferma dei principi fondamentali che potranno sicuramente giovare nella regolamentazione dei rapporti di vicinato:
Analizziamo, se pur schematicamente, i punti essenziali:
- la regolazione delle distanze tra i fabbricati deve essere inquadrata nella materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato;
- i rapporti tra proprietari di fondi finitimi vengono regolamentati innanzitutto nel codice civile;
- la regolazione delle distanze, disciplinata d.m. n. 1444 del 1968, esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici (sentenza n. 232 del 2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla competenza concorrente in materia di «governo del territorio», ex art. 117, terzo comma, Cost.
- Alla luce del ragione esposto la Corte elabora le seguenti conclusioni:
- la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell'ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale;
- alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio;
- le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino da tali finalità, ricadono illegittimamente nella materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Da quanto detto scaturisce un punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» e quella regionale in materia di «governo del territorio», è da ricercarsi, secondo la Corte «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
Tutela della privacy e distanze tra edifici: principi fondamentali
- Alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.
- La legislazione regionale che interviene in tale ambito diventa legittima solo quando persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, rimettendo l'operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio.
Dal punto di vista privatistico il regime delle vedute ed in particolare la riservatezza ne esce rafforzata. Gli standard urbanistici da un lato, e l'accettazione inconsapevole di un regolamento condominiale da parte dei condomini sono tutti elementi che contrastano e rendono difficile il raggiungimento di esigenze di vita basate sulla discrezione e riservatezza.
Proprio i limiti previsti al diritto di proprietà immobiliare in relazione alle distanze e vedute hanno la peculiarità di regolare la pacifica coesistenza tra le proprietà contigue al fine di salvaguardare la riservatezza e limitare la curiosità altrui.
I nuovi strumenti urbanistici, introdotti dal Legislatore per realizzare una edilizia più “elastica”, hanno riproposto il problema dei vincoli pubblicistici in materia di distanza tra edifici ed il relativo contemperamento degli interessi contrapposti.
In seguito all'aumento della percentuale di edificabilità sul nostro territorio, i vincoli imposti dalla legislatore andrebbero letti in funzione di una più concreta tutela del diritto di privacy del frontista, assicurata dal concreto rispetto delle norme che regolano le distanze legali degli immobili, prevedendo soprattutto una tutela rafforzata per tutti i centri abitati ad alta intensità urbanistica. Questa sentenza, mira ad identificare un punto preciso di equilibrio.
Da quanto accennato si capisce che le deroghe alle distanze, possono limitare in maniera incisiva la libertà del vicino, la sua sicurezza ed in particolare la sua riservatezza. Se pur la disciplina del codice civile in materia mira a sanare il contrasto tra interessi antitetici da un lato vi è l'esigenza di garantire la Vivibilità degli ambienti abitativi, dall'altro quella di tutelare interessi, altrettanti rilevanti, quali quelli della sicurezza e riservatezza.
In questo contesto i rapporti di vicinato, che si sviluppano in ambito condominiale, per la loro configurazione, possiedono delle peculiarità che vengono accentuate dalla “forzosa” convivenza all'interno degli edifici.
Gli standard urbanistici da un lato, e l'accettazione inconsapevole di un regolamento condominiale da parte dei condomini, sono tutti elementi che contrastano e rendono difficile il raggiungimento di esigenze di vita basate sulla discrezione e riservatezza.
In questo contesto la necessità di una tutela più rafforzata della riservatezza, che interessa soprattutto le grandi città deve essere attualizzata con la concreta struttura dell'edificio e la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli condomini.
Proprio da questo punto di vista, alcune recenti decisioni giurisprudenziali analizzate mirano principalmente a dare una tutela concreta al diritto di riservatezza del frontista.