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Rapporti di vicinato in condominio: possibili pregiudizi ad un condomino derivanti dal ristorante sotto casa

L'occupazione di una parte comune dell'edificio, la violazione delle distanze e del diritto di veduta, le immissioni rumorose. Un caso concreto.
Avv. Eliana Messineo 
Dic 10, 2024

Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle sue cose in modo pieno ed esclusivo, ma può farlo solo entro i limiti previsti dalla legge, sia nel codice civile che nelle leggi speciali.

I limiti al diritto di proprietà imposti dal codice civile sono finalizzati a salvaguardare i concorrenti diritti di altri soggetti privati ossia il diritto altrui a non vedere compromesso il godimento della sua proprietà.

I rapporti di vicinato sono, pertanto, regolati da divieti e regole: 1) il divieto di immissioni intollerabili di fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti o simili sulla proprietà vicina; 2) il divieto di atti emulativi, il cui unico scopo sia quello di recare molestia ad altri; 3) il rispetto delle distanze tra fondi e costruzioni limitrofe.

Una recente sentenza del Tribunale di Messina (n. 2507 del 12 novembre 2024), chiamato a pronunciarsi sui pregiudizi lamentati da un condòmino a causa delle attività poste in essere da un altro condòmino proprietario di un immobile adibito a ristorante-trattoria, ci offre lo spunto per approfondire alcune tra le più frequenti cause di liti tra vicini ed in ambito condominiale come le distanze minime legali, il diritto di veduta e le immissioni sonore.

Impatto del ristorante sui diritti dei condomini: fattispecie e esito

I condomini proprietari di un immobile posto al piano secondo di un edificio condominale citavano in giudizio i proprietari dell'immobile posto al piano terra ed adibito ad attività di ristorazione al fine di ottenerne la riduzione in pristino ed il risarcimento dei danni causati dalla lesione dei loro diritti e specificamente dalla limitazione del diritto di servitù di panorama.

In particolare, gli attori rappresentavano che i convenuti avevano occupato un'area condominiale senza alcuna autorizzazione da parte del Condominio; che era stato realizzato un ampliamento a ridosso delle scale di accesso ai piani superiori; che era stata limitata la servitù di veduta; che a causa delle macchine professionali per la ristorazione dovevano sopportare suoni e rumori oltre i limiti della normale tollerabilità; che il transito attraverso la scala condominiale era aumentato esponenzialmente.

Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali contestavano la ricostruzione di parte attrice deducendo che, intanto, nessuna autorizzazione condominiale doveva essere richiesta in quanto i lavori erano stati effettuati unicamente su parti dell'edificio di proprietà esclusiva.

Rilevavano, altresì, che non era stata effettuata alcuna modifica plani-volumetrica del fabbricato, visto che al posto della costruzione contestata vi era sempre stata una tenda fissa a cupola chiusa sui lati che occupava il medesimo spazio.

Contestavano, inoltre, che fosse sorta in capo agli attori una servitù di veduta e, in ogni caso, i lavori e le costruzioni rispettavano le distanze previste dall'art. 907 c.c.

In merito alla rumorosità dei macchinari, rilevavano che gli impianti erano di ultima generazione e, quindi, rispettavano le normative in tema di immissioni sonore. Chiedevano, quindi, il rigetto di tutte le domande attoree.

Istruita la causa, il Tribunale accoglieva la domanda relativa alle immissioni sonore dovute alle apparecchiature utilizzate nell'ambito dell'attività di ristorazione ordinandone l'immediata riconduzione entro i limiti, assoluti e differenziali, della tollerabilità, mentre rigettava tutte le altre domande.

Segnatamente, con riferimento alla doglianza relativa all'occupazione dell'area condominiale denominata "portico ad uso collettivo", il Tribunale escludeva che la stessa fosse destinata all'uso ed al godimento comune in quanto, in base ai titoli ed ai documenti urbanistici allegati alla CTU espletata in giudizio, il porticato serviva da accesso esclusivamente alla proprietà dei convenuti non anche alle altre parti del Condominio o di spettanza di altri condòmini.

In merito alla domanda di violazione delle distanze, il Tribunale la rigettava sulla base degli accertamenti compiuti dal tecnico d'ufficio dai quali era emerso che il pergolato ed il solaio realizzato in ampliamento di quello esistente erano stati realizzati dai convenuti nel rispetto delle distanze minime dettate dall'art. 907 c.c. Inoltre, il pergolato e la tenda erano stati rimossi dai convenuti con conseguente cessazione della materia del contendere mentre il solaio non ostacolava la possibilità di inspectio e di prospectio, obliqua e laterale, sul fondo del convenuto e nessuna servitù di veduta e panorama poteva dirsi sorta non risultando costituita nei modi previsti dalla legge ossia coattivamente o volontariamente, per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, o costituita con opere visibili e permanenti.

Quanto, invece, alla domanda volta al riconoscimento della sussistenza di immissioni sonore, il Tribunale, applicando il criterio differenziale, rilevava, sulla base delle risultanze della CTU che il rumore della cappa di aspirazione fosse tollerabile a velocità minima mentre non lo era quello prodotto dai compressori delle celle frigo e dal banco frigo.

Il Giudice, pertanto, ordinava l'immediata riconduzione delle immissioni sonore di tutte le apparecchiature entro i limiti, assoluti e differenziali, che la normativa di riferimento pone rispettivamente a tutela di interessi generali e a presidio degli interessi specifici del vicino.

Veniva, infine, rigettata la domanda di risarcimento danni in quanto estremamente generica e come tale inidonea ad un accertamento analitico sulle voci di danno nonché infondata in considerazione dell'insussistente violazione delle distanze del solaio e del pergolato.

Riflessioni finali sui pregiudizi condominiali da attività ristorative

La pronuncia in esame si è occupata di alcuni pregiudizi che possono aversi nell'ambito dei rapporti di vicinato: la violazione delle distanze legali in relazione al diritto di veduta, le turbative derivanti da immissioni rumorose e l'occupazione di un'area condominiale da parte di un condòmino.

Quanto a quest'ultimo profilo, il Tribunale ha escluso che i proprietari dell'immobile adibito a ristorante avessero occupato l'area condominiale denominata "portico ad uso collettivo" essendo emerso che lo stesso serviva da accesso esclusivamente alla proprietà dei convenuti non anche alle altre parti del Condominio o di spettanza di altri condòmini.

Ciò, sulla base del principio secondo cui la presunzione di comproprietà di cui all'art. 1117 c.c. può essere superata se la cosa, per obiettive caratteristiche strutturali, serva in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconosci-mento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (Cass. civ. sez. II, n. 7704/2016, conf. Cass. civ. sez. II, n. 26766).

In merito alla violazione delle distanze dalle vedute ad opera del pergolato realizzato dal proprietario di un piano inferiore, la distanza minima che va rispettata dal piano che sta sopra è di tre metri, al fine di rendere possibile l'esercizio del diritto di veduta.

Il diritto di veduta consiste, infatti, nella facoltà del proprietario alle c.d. inspectio e prospectio nel fondo vicino, ossia di guardare e sporgersi sulla proprietà altrui. Tale diritto è sancito dall'art.907 C.C. e si sostanzia nel divieto di "fabbricare" ad una distanza inferiore a tre metri dalla veduta.

Il divieto riguarda sia le vedute dirette che quelle oblique o laterali.

La veduta, infatti, può essere esercitata sia in proiezione orizzontale che verticale (c.d. veduta in appiombo): nel primo caso la distanza si calcola dal limite esterno del balcone (ringhiera o parapetto) e, nel secondo caso, dalla base del medesimo.

L'art. 907 c.c., comma 1, stabilisce, infatti, che "quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'art. 905 c.c.".

Il terzo comma della medesima disposizione precisa, inoltre, che "se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia".

Il divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri dalle vedute, sancito dall'art. 907 c.c., intende assicurare al titolare del diritto di veduta, aria e luce sufficienti all'esercizio della " inspectio" e della "prospectio".

La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la normativa relativa alle distanze sia applicabile anche in ambito condominiale e nei rapporti tra condomini nonché nel riconoscere al singolo condomino il diritto di veduta in appiombo, con la conseguenza che qualsiasi costruzione, veranda, pergolato sottostante alla finestra o al balcone da cui si esercita la veduta debba essere rimossa per violazione dell'art. 907, se realizzata ad una distanza inferiore a 3 metri dagli stessi.

Il condòmino ha diritto di esercitare la veduta in appiombo dalle proprie aperture fino alla base dell'edificio e di opporsi alla costruzione lesiva dell'esercizio del suo diritto ( Cass. n. 955/2013) senza che rilevino esigenze di contemperamento con i diritti dominicali e la privacy del vicino, "avendo già operato l'art. 907 c.c. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita" ( ex multis, Cass. n. 31640/2021; Cass. n. 17695/2016; Cass. n. 7269/2014; Cass. n. 955/2013; Corte d'Appello di Napoli n. 3122/2023)

La giurisprudenza ha, altresì, precisato che il rispetto delle distanze si estende in senso orizzontale e verticale "poiché le vedute implicano il diritto ad una zona di rispetto che si estende per tre metri in direzione orizzontale dalla parte più esterna della veduta e per tre metri in verticale rispetto al piano corrispondente alla soglia della medesima, ogni costruzione che venga a ricadere in questa zona è illegale e va rimossa". (Cassazione n. 4608/2012; 4389/2009; 15381/2001; 5390/1999).

In merito al divieto di immissioni sonore, anch'esso stabilito dalla legge al fine di regolare i rapporti di vicinato, occorre far riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 844 c.c. che detta i criteri per regolare eventuali conflitti tra usi incompatibili di fondi vicini, determinati dalla propagazione di fattori disturbanti causati dall'opera dell'uomo.

La disciplina di cui all'art.844 c.c., nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6223 del 29/04/2002; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 2319 del 01/02/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10735 del 03/08/2001; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5697 del 18/04/2001; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 939 del 17/01/2011).

Con una recente sentenza, n. 21479 del 31 luglio 2024, la Cassazione ha ribadito che nei rapporti tra privati, il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, sicché la valutazione ex art.844 c.c. diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale. Spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa ( cfr. Cass. Civ., Sez. II, 20.1.2017, n. 1606)..

L'orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene, dunque, che la tollerabilità delle immissioni non vada desunta dalla normalità dell'attività che la origina, ma dagli effetti che produce nei vicini, in relazione alle specifiche condizioni ambientali di tempo e di luogo, avuto riguardo, tra le altre cose, alle attività normalmente svolte in un determinato contesto, e, quindi, al sistema di vita ed alle correnti abitudini della popolazione del luogo (Cass. civ. n. 10588/1995).

Secondo l'interpretazione pacifica della giurisprudenza, tra l'altro, la valutazione ponderata della intollerabilità o meno dei rumori, deve essere parametrata alle circostanze di fatto (C.d.A. Firenze, n. 551/2015).

Il Tribunale di Messina, con la pronuncia in esame, per la valutazione del disturbo da rumore, ha applicato i criteri, stabiliti dall'art. 2 comma 3 della L. 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull'inquinamento acustico), distinti in valori limite assoluti determinati con riferimento al livello equivalente di rumore ambientale ( prodotto da tutte le sorgenti di rumore), e in valori limite differenziali, determinati con riferimento alla differenza tra il livello equivalente di rumore ambientale ed il rumore residuo ( che si rileva quando si esclude la specifica sorgente disturbante).

Come statuito dalla giurisprudenza di legittimità ( cfr. Cass. n. 28386/2011) il criterio differenziale si presenta come secondo criterio di valutazione per la determinazione del disturbo da rumore, applicabile in aggiunta ai valori di immissione assoluti nelle zone non esclusivamente industriali, e pone differenze da non superare tra il livello equivalente del rumore ambientale e quello del rumore residuo.

Il valore limite differenziale costituisce il parametro privilegiato della normativa antinquinamento per la valutazione del disturbo acustico negli edifici abitativi. Infatti, mentre i limiti assoluti di immissione hanno la finalità primaria di tutelare dall'inquinamento acustico l'ambiente inteso in senso ampio, i valori limite differenziali, facendo specifico riferimento al rumore percepito dall'essere umano, mirano precipuamente alla salvaguardia della salute pubblica.

Il DPCM 14 novembre 1997 all'art. 4 comma 2 sotto la rubrica " Valori limiti differenziali" prevede che ogni effetto del rumore è da ritenere trascurabile, nei seguenti casi: a) se il rumore misurato a finestre aperte sia inferiore a 50dB (A) durante il periodo diurno e 40 dB ( A) durante il periodo notturno; b) se il livello del rumore ambientale misurato a finestre chiuse sia inferiore a 35 Db ( A) durante il periodo diurno e 25 Db ( A) durante il periodo notturno.

Nel caso di specie, il Tribunale, sulla base degli accertamenti compiuti del Ctu ha ritenuto il rumore della cappa di aspirazione, a velocità minima, tollerabile, ma non quello prodotto dai compressori delle celle frigo e dal banco frigo e, pertanto, ha ordinato l'immediata riconduzione delle immissioni sonore di tutte le apparecchiature entro i limiti, assoluti e differenziali, previsti dalla normativa sopra citata.

Sentenza
Scarica Trib. Messina 12 novembre 2024 n. 2507
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