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Possibile farsi giustizia da sé in condominio? Attenzione, scatta il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Nei rapporti di vicinato, sia in condominio, ove non è possibile “farsi giustizia da sé”.
Avv. Giuliana Bartiromo Avv. Giuliana Bartiromo - Foro di Lecce 

Tizio a bordo di un escavatore, rimuoveva una piccola rampa di cemento che permetteva l'accesso ai garage di proprietà di Caio, perché la stessa gli rendeva difficile l'entrata e l'uscita con gli automezzi alla sua proprietà, subendo, inoltre, in caso di pioggia, il convogliamento delle acque.

Niente armi se si litiga con i vicini

Con decreto del 24.04.2017 il Pubblico Ministero disponeva la citazione a giudizio di Tizio per il reato di "esercizio arbitrario delle proprie ragioni", mentre Caio si costituiva parte civile.

Dallo svolgimento del processo e dall'istruttoria dibattimentale, emergeva la piena responsabilità di Tizio oltre ogni ragionevole dubbio, in quanto lo stesso assumeva una condotta che integrava appieno la fattispecie dell'art. 392 c.p.: "Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a cinquecentosedici euro.

Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.

Si ha altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico".

Viene provato appieno che la condotta di Tizio è stata possa in essere con violenza, ove per violenza viene inteso qualsiasi danneggiamento o trasformazione o mutamento di destinazione della cosa.

Detto reato, infatti, ha come presupposto un diritto in contestazione e la possibilità di ricorrere all'Autorità Giudiziaria per il riconoscimento dello stesso. Nel momento in cui il diritto viene esercitato in "autotutela", con violenza sulle cose e sulle persone, come appunto nel caso di specie, il reato è perfettamente integrato.

Detta regola viene applicata sia nei rapporti di vicinato, sia in condominio, ove non è possibile "farsi giustizia da sé " per tutelare dei propri diritti che, invece, devono essere fatti valere in apposite aule giudiziarie.

Di fondamentale importanza, infatti, è l'analisi volta per volta dell'elemento soggettivo: per la configurabilità del reato non è affatto necessario che il diritto oggetto della illegittima pretesa sia realmente esistente, essendo sufficiente che l'autore del reato agisca nella ragionevole convinzione di difendere un suo diritto.

Sempre più spesso i litigi tra vicini di casa finiscono nelle aule di tribunale.

La costante giurisprudenza della Suprema Corte sottolinea che "in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi "quid pluris"atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato" (ex multis: Cass. pen. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016), tanto che, sempre secondo l'insegnamento della Suprema Corte, "In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto in quanto la convinzione di esercitarlo costituisce essa stessa elemento costitutivo del delitto" (Così Cass. pen. sez. 6, n. 25262 del 21/02/2017.)

D'altra parte, in condominio, diverse pronunce (Trib. di Modena del 05/06/2015 - Trib. Roma del 17/02/2014 - Trib. di Brescia del 21/05/2014), ripercorrono quest'orientamento, riconoscendo quale "esercizio arbitrario delle proprie ragioni", l'interruzione del servizio di erogazione dell'acqua e del riscaldamento al condòmino non in regola con il pagamento delle quote condominiali.

Morosità condomino e interruzione della fornitura d'acqua.

In tal caso, l'amministratore di condominio che voglia legittimamente sospendere le forniture in danno del condomino moroso da più di sei mesi ai sensi dell'art. 63 delle disp. att. c.c., deve in primis, chiedere l'autorizzazione al giudice, al fine di ottenere il sigillo di legittimità in merito al proprio operato, oltre che l'indicazione dei limiti e delle modalità concrete del distacco delle forniture (C ass.47276/2015).

Inoltre, la stessa Corte di Cassazione, sez. penale, sentenza n. 23391/2017 condannava per il medesimo reato un condòmino che aveva rimosso con violenza, dalla facciata condominiale di uno stabile in cui abitava, la scala poggiata per consentire ad un operaio di salire sul tetto per ripulire un camino di un'altra condòmina vicina, impedendogli di scendere per oltre 40 minuti.

Ed ancora, la stessa Cassazione con sentenza n. 40540/2017 ha confermato il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose ad una condòmina che aveva reso impossibile alla vicina l'accesso al lastricato solare per stendere i panni, costruendo un cancello, chiuso a chiave, nelle scale in comproprietà tra le due proprietarie.

Litigiosità condominiale: aspetti comparati

Ebbene, le conclusioni a cui giunge il Tribunale di Campobasso, per il fatto in esame, non possono che confermare tutte le pronunce sin ora descritte e, pertanto:

Conclusioni: Il Tribunale di Campobasso, con sentenza del 01 febbraio 2019 depositata in Cancelleria il 12 aprile 2019, ritenuta, quindi la responsabilità di Tizio in ordine al reato di cui all'art. 392 c.p., valutati i criteri direttivi dell'art. 133 c.p. ed in modo particolare, le modalità della condotta, visti gli artt. 533 e seguenti c.p.p., dichiara Tizio colpevole del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di euro trecento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 538 e seguenti c.p.p. condanna il prevenuto al risarcimento dei danni causati a Caio, costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, concedendo allo stesso una somma a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva, pari Euro mille, oltre alla refusione delle spese dalla stessa sostenute per la sua costituzione e rappresentanza in giudizio che si liquidano in complessivi euro tremilaquattrocentoventi, oltre al rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge.

Il condomino che attiva cause senza validi motivi deve risarcire i danni

Sentenza
Scarica Tribunale Campobasso, Sentenza12/04/2019
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