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Non si può usucapire un bene perché il proprietario ne ha sopportato determinati usi

Quando non si può usucapire un bene e perchè?
Avv. Alessandro Gallucci Avv. Alessandro Gallucci 

L'usucapione è una modalità di acquisto di un diritto reale a titolo originario.

Essa necessita, a seconda dei casi, del passaggio di un decennio o d'un ventennio (cfr. art. 1158 e ss. c.c.).

In sostanza chi usucapisce un bene lo fa perché lo ha posseduto (in modo chiaro e percepibile da tutti) per un determinato periodo di tempo.

Per usucapire bisogna comportarsi in modo pacifico e per lungo tempo come se si fosse il proprietario.

Possedere, giuridicamente parlando, vuol dire comportarsi da proprietario o titolare d'altro diritto reale.

Per la configurabilità del possesso "ad usucapionem", è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all'uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno "'ius in re aliena" ("ex plurimis" Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di alti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all'inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994n. 10652) (Cass. 23 maggio 2012 n. 8158).

Chi si comporta in questo modo senza che il proprietario sollevi obiezioni, passati solitamente vent'anni ha diritto, se lo chiede, d'essere dichiarato (dal Tribunale) proprietario (o usufruttuario o titolare di una servitù) di quel bene.

Come sempre c'è un "però". Il tutto può essere vanificato dai così detti atti di tolleranza.

L'art. 1144 c.c. ricorda che " gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso".

Che cosa s'intende esattamente con atti di tolleranza?

La Cassazione, in più occasioni, ha specificato che " gli atti di tolleranza, che secondo l'art. 1144 c.c., non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso, sono quelli che implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà comportano un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull'esercizio del diritto da parte dell'effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità - come nella specie - (o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine), i quali mentre a priori ingenerano e giustificano la "permissio", conducono per converso ad escludere nella valutazione "a posteriori" la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone.

Pertanto nell'indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza, e quindi sia inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell'esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sè labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 04631 del 1990, 08194 del 18/06/2001)" (Cass. 20 febbraio 2008 n. 4327).

Chi decide se un determinato comportamento è equiparabile ad esercizio del possesso o se, invece, dev'essere considerato tollerato?

Di recente la Corte di Cassazione, tornata sull'argomento, ha ribadito che " l'indagine volta a stabilire se determinate attività pongano in essere una situazione di possesso, utile ai fini di usucapione, ovvero siano dovute a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, così da non poter servire di fondamento all'acquisto del possesso, ai sensi dell'art. 1144 cc, è indagine riservata al giudice di merito ed implica un apprezzamento di fatto, che, per l'appunto, diversamente da quanto raffigurato dal ricorrente, la Corte di merito risulta avere operato nella specie, dandone specifica ed in sé coerente motivazione, come innanzi riassunta in narrativa" (Cass. 18 luglio 2013 n. 17630).

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