Quali sono i poteri dell'amministratore di condominio davanti ai condòmini (o a terzi) che si appropriano di parti dell'edificio considerate di proprietà comune?
Alla domanda ha risposto – nuovamente e conformandosi al proprio consolidato orientamento in merito – la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2570 depositata in cancelleria il 9 febbraio 2016.
Il fatto in breve. L'amministratore fa causa ad un condomino che a suo modo di vedere s'è appropriato di una parte di terrazza comune. Quest'ultimo, nel resistere alla domanda del condominio, si difende deducendo, tra le altre cose, l'impossibilità per l'amministratore condominiale di agire in giudizio per la rivendicazione dei beni comuni.
L'amministratore di condominio, in corso di giudizio, sana l'assenza di autorizzazione assembleare rispetto all'azione proposta depositando delibera di ratifica a stare in giudizio. Se questo è bastato ai giudici di primo grado, così non è stato per quelli d'appello che hanno considerato l'amministratore carente di legittimazione attiva.
Motivazione? Le azioni con le quali si rivendica la proprietà non rientrano nel novero di quelle esperibili dall'amministratore, nemmeno con il consenso dell'assemblea. La questione è quindi arrivata davanti ai giudici di piazza Cavour, che non si sono mostrati d'accordo con questa statuizione.
Azioni conservative e di rivendicazione
L'amministratore, recita l'art. 1130 n. 4 c.c., deve porre in essere gli atti conservativi delle parti comuni dell'edificio. La dottrina (cfr. su tutti Branca, Comunione Condominio negli edifici, Zanichelli, 1982) ha sempre affermato che nel novero di questa nozione devono essere ricomprese tanto le azioni materiali volte a mantenere il valore economico e l'integrità dei beni comuni, quanto le azioni giudiziarie volte a eliminare turbative nella condizioni giuridica di quei beni.
Gli atti conservativi giudiziari possono essere esperiti d'ufficio dall'amministratore in ragione di quanto combinatamente disposto dagli artt. 1130 n. 4 e 1131 c.c. (un po' come accade per l'azione di recupero del credito, per intendersi). Così, ad esempio, non si pongono dubbi in merito alla legittimazione dell'amministratore a proporre, autonomamente, azioni di manutenzione nel possesso.
E per le azioni di rivendicazione? Queste sono iniziative giudiziarie tese non a difendere qualcosa che si ritiene proprio, ma a sollecitare il giudice adito ad accertare che il bene conteso sia di chi lo reclama.
Le azioni di rivendicazione, afferma un consolidato orientamento della Corte di Cassazione (cfr. su tutte Cass. 08 gennaio 2015 n. 40, Cass. 6 febbraio 2009 n. 3044, Cass. 3 aprile 2003 n. 5147), non rientrano nel novero degli atti conservativi.
Ciò nonostante – sono sempre gli ermellini a parlare – l'amministratore può agire al fine di rivendicare la proprietà comune dei beni purché sia munito di apposita delibera di autorizzazione.
In tal senso – conformandosi all'orientamento appena citato – nella sentenza n. 2570 è stato affermato che “le azioni reali da esperirsi contro singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130, n. 4, cod. civ.) possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art.1131, primo comma, cod. civ., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 stesso codice” (Cass. 9 febbraio 2016 n. 2570).