L’amministratore di condominio è figura deputata alla gestione, in nome e per contro dei comproprietari delle unità immobiliari ubicate in un edificio, delle parti comuni dello stabile.
La legge pone delle soglie numeriche al di la delle quali tale figura è obbligatoria. Tale obbligatorietà è rafforzata dalla possibilità d’agire in sede giudiziale per ottenere la nomina dell’amministratore.
E’ chiaro in tal senso il primo comma dell’art. 1129 c.c. a mente del quale “ quando i condomini sono più di quattro, l'assemblea nomina un amministratore.
Se l'assemblea non provvede, la nomina è fatta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini”.
La giurisprudenza ha chiarito che “l'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato” (così Cass. SS.UU. n. 9148/08).
Alla fine di ogni anno di gestione, salvo che l’assemblea non decida di revocarlo durante lo svolgimento dell’incarico (art. 1129, secondo comma, c.c.), il mandatario decade dal proprio incarico rendendosi così necessaria una deliberazione di conferma o di revoca e susseguente nomina d’altro legale rappresentante.
In questo contesto è lecito domandarsi: che cosa accade in quel periodo di tempo che va dalla scadenza del mandato alla convocazione dell’assemblea o qualora la stessa assise non riesca a provvedere nei termini sopraesposti?
La figura cui dottrina e giurisprudenza fanno costante riferimento è quella della così detta prorogatio imperii, vale a dire quella continuazione provvisoria nella carica che consente una continuità di gestione del complesso condominiale. Dello stesso avviso la più recente giurisprudenza di legittimità che richiamando il proprio consolidato orientamento in materia ha avuto modo di specificare che “ là dove (condominii composti di almeno cinque condomini) assume la qualità di organo stabile e necessario, l'amministratore, anche quando sia scaduto, dimissionario o non rinnovato nell'incarico, continua a svolgere ad interim le sue funzioni, salvo che sia stato revocato per giusta causa, finché l'assemblea o l'autorità giudiziaria non ne nomini un altro al suo posto: e ciò non per l'ultrattività dell'investitura prodotta dal precedente atto di nomina, ma per l'esigenza di assicurare la continuità della funzione assicurata dall'organo (cfr. Cass., Sez. 1^, 21 ottobre 1961, n. 2293; Cass., Sez. 2^, 12 novembre 1968, n. 3727; Cass., Sez. Lav., 20 febbraio 1976, n. 572; Cass., Sez. 2^, 6 dicembre 1986, n. 7256; Cass., Sez. 2^, 21 dicembre 1987, n. 9501; Cass., Sez. 2^, 27 gennaio 1988, n. 739; Cass., Sez. 2^, 25 marzo 1993, n. 3588; Cass., Sez. 2^, 27 marzo 2003, n. 4531; Cass., Sez. 2^, 5 marzo 2006, n. 7619; Cass., Sez. 2^, 23 gennaio 2007, n. 1405)” (così Cass. n. 6555/10).
In sostanza laddove la nomina non è obbligatoria, per quanto è possibile desumere da questo passaggio della sentenza, l’amministratore decade automaticamente non essendo necessario dare una continuità di gestione alla compagine condominiale.