Siamo soliti parlare, nel linguaggio comune, di residenza e dimora in modo indifferenziato, come se si trattasse di sinonimi.
Così non è. Anzi numerose e importanti sono le differenze in ambito giuridico
Parecchi sono i riferimenti normativi in termini di residenza, si pensi ad esempio alla competenza territoriale del giudice quando si radica una vertenza ed al luogo in cui cercare il destinatario di un atto giudiziario ai fini della sua notifica.
Coincidente tra residenza e dimora abituale
Il codice civile fornisce la definizione di residenza. La norma di riferimento è l'art. 43 comma 2 c.c., che la definisce come "luogo in cui la persona ha la dimora abituale". Sotto questo profilo paiono termini sostituibili tra loro.
È stato affermato che l'indicazione "residenza" si riferisce al luogo con cui il soggetto ha una relazione di fatto, data da consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali (così Cass. n. 13241/2018).
Residenza anagrafica
La residenza anagrafica, proprio in ragione dell'aggettivo che accompagna il termine "residenza", è ciò che risulta presso l'anagrafe del Comune di riferimento, ai sensi dell'art. 1 L. 1228/54.
Si tratta cioè di un atto che individua la residenza in un determinato momento, quello in cui è stata effettuata la registrazione. Non è detto quindi che coincida con la realtà perché se si cambia residenza senza darne comunicazione all'anagrafe, l'ufficio è come se restasse indietro, sulla registrazione precedente.
Com'è noto, la residenza anagrafica assume rilievo sotto il profilo della presunzione di coincidenza della stessa con la dimora abituale.
Importante è poi ai fini della notifica degli atti perché, se all'indirizzo a noi noto, il destinatario risulta irreperibile può essere utile chiedere un aggiornamento all'anagrafe, domandando un certificato anagrafico del soggetto.
Quanto detto è anche in ragione della presunzione offerta dall'art. 44 c.c., sulla cui base il trasferimento della residenza "non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge", cioè per mezzo di apposita dichiarazione all'anagrafe del Comune che si lascia e a quella del Comune dove si sposta la nuova residenza (art. 2 della L. 1228/54).
Chi ha cambiato la residenza ex art. 43 c.c. senza darne comunicazione all'anagrafe può sempre essere ammesso a provare la conoscenza, da parte dei terzi, della dimora abituale.
La giurisprudenza non sempre si esprime in modo unisono perché affianco alle decisioni che ritengono che la residenza abituale sia accertabile con qualunque mezzo di prova (così Cass. n. 9373/2014) vi sono altre sentenze che affermano che le risultanze della residenza anagrafica possano essere superate solo con elementi gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 8554/1996).
La residenza anagrafica è importante anche sotto altri profili, ad esempio ai fini dell'agevolazione prima casa perché la previa residenza anagrafica (ovvero il previo svolgimento di attività lavorativa) nel Comune dove si intende acquistare un immobile costituisce presupposto necessario ai fini del godimento dei benefici fiscali per l'acquisto della prima casa (Cass. 17 marzo 2020, n. 7352).
"Infatti l'art. 1 della tariffa, parte I, allegato A al DPR n. 131 del 1986 stabilisce che requisito necessario per poter usufruire dell'agevolazione prima casa è che l'immobile sia ubicato nel Comune in cui l'acquirente abbia già la propria residenza o, in alternativa, che ivi si stabilisca entro 18 mesi dall'acquisto.
Ne deriva che condizione indispensabile per non decadere dal beneficio fiscale è che l'acquirente, a meno che non sia già residente nel territorio del comune ove è ubicato l'immobile, provveda a trasferirsi in detto comune entro il termine, di natura perentoria, di 18 mesi dall'acquisto. (Cass. 17 marzo 2020, n. 7352).
Dimora abituale
La dimora può essere occasionale e transitoria (ad esempio un albergo, una casa vacanze) oppure abituale (ad esempio l'abitazione di proprietà).
La Suprema Corte ha rilevato che la prova della dimora abituale può essere fornita senza limiti, con qualsiasi indizio come, ad esempio, le bollette per le varie utenze (Cass. sent. n. 8627/19 del 28.03.2019.).
Anche la dimora abituale assume rilievo in ambito agevolazioni.
Con l'ordinanza 12050/2018 la Suprema Corte ha asserito che nessuno dei coniugi ha diritto a fruire dell'esenzione Ici, in assenza della destinazione dell'immobile a dimora abituale della famiglia
"In tema d'imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), dall'art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 (come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b), della I. n. 296 del 2006, con decorrenza dall'1 gennaio 2007), occorre che il contribuente provi che l'abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell'accertamento che l'immobile "de quo" costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie)."
Allo stesso modo per la detrazione IMU: il contribuente deve provare che l'abitazione costituisce dimora abituale sua e dei suoi familiari. (Cass. 7 marzo 2019 n. 6634).
Lo stesso dicasi per l'ICI: La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 15444/2017 ha affermato che, ai fini Ici, la detrazione per l'abitazione principale spetta solo per l'immobile nel quale il nucleo famigliare dimora abitualmente a prescindere dalla residenza anagrafica dei coniugi.
Reato di falso in atto pubblico.
Infine occorre prestare attenzione che le dichiarazioni di residenza possono avere anche risvolti penali di rilievo.
Può capitare che si fissi una residenza di comodo per motivi fiscali o per ottenere altre agevolazioni sociali. In questi casi si può incorrere in reato di falso in atto pubblico, perché si è rilasciato all'ufficio pubblico dell'anagrafe un dato non vero.
Da ciò si ha anche una non coincidenza della residenza che risulta formalmente all'anagrafe in un certo luogo quando invece la dimora abituale è in luogo diverso, dove effettivamente la persona vive in modo abituale...
Secondo la Cassazione si ha il reato di falso tutte le volte in cui la falsità risulti sia dovuta anche solo da leggerezza o da negligenza né ha rilievo se la dichiarazione sia fatta non in un atto pubblico ma in un'autocertificazione visto che quest'ultima confluisce in un atto pubblico quale i registri anagrafici (Cass. pen. n. 15485/2009).