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Atti contrari alla pubblica decenza in condominio. Quando l'impellente bisogno di far pipì può anche essere scusato?

Pubblica decenza in condominio: quando il bisogno di urinare in luogo pubblico può anche essere scusato?
Avv. Mauro Blonda 

L'art. 726 cod. pen. ed il concetto di pubblica decenza. L'art. 726 del cod. pen., che punisce il compimento di atti contrari alla pubblica decenza è, al pari di molti altri precetti contenuti nello stesso codice (come, ad esempio, l'affine art. 527, riguardante invece specificamente gli atti osceni), fonte di dubbi interpretativi e difficoltà applicative: non sempre, infatti, è agevole capire se un'azione integri o meno gli estremi della condotta sanzionata dalla norma in questione.

Ciò perché tale precetto, come naturale che sia, non indica una casistica di comportamenti vietati ma si limita ad individuare il punto di riferimento da tenere a mente ed al quale attenersi per non sconfinare nell'illecito.

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Orbene, tale punto di riferimento nel caso dell'art. 726 cod. pen. è dato proprio dalla pubblica decenza, concetto che col passare degli anni ha ovviamente subito modifiche con il mutare della mentalità e della cultura ed il cui contenuto semantico si è così andato man mano restringendosi, inglobando sempre meno comportamenti: col mutare dei costumi e degli usi, infatti, quello che per il comune sentire era indecoroso ed addirittura indecente 40-50 anni fa, non lo è più oggi. Si pensi, ad esempio, all'uso di taluni capi di abbigliamento (delle gonne più corte di altre) od anche solo il baciarsi in pubblico: questi come altri comportamenti che erano ritenuti biasimevoli negli anni passati non lo sono più oggi e pertanto, poiché ora socialmente accettati, non possono più definirsi tali da provocare disgusto o disapprovazione nei consociati, quindi non più contrari alla pubblica decenza.

Questa, come più volte rimarcato dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (da ultimo in una recentissima pronuncia della III Sez. Penale, la n. 37823 del 15/09/2013), altro non è che la rappresentazione del comune sentire, dovendovi includere tutto ciò che per la generalità dei consociati non è offensivo, non costituisce oltraggio alla pubblica morale: "sono atti contrari alla pubblica decenza tutti quelli che, in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che devono essere osservati nei rapporti tra i consociati, provocano in questi ultimi disgusto o disapprovazione come l'urinare in luogo pubblico"(Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 15678 del 25/03/2010; Sez. III, sent n. 45284 del 25/10/2005; Sez. V, sent. n. 3254 del 28/04/1986).

Importante è inoltre la distinzione tra gli atti contrari alla pubblica decenza e quelli osceni, puniti dal ben più grave art. 527 cod. pen.: questi, a differenza dei primi, "offendono in modo intenso e grave il pudore sessuale, suscitando nell'osservatore sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri erotici" (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 2447 del 14/03/1985).

L'orinare in pubblico è atto contrario alla pubblica decenza? La risposta a tale domanda è sì e non può che essere sì: compiere questa attività in un luogo aperto al pubblico (nell'accezione di "luogo non privato"), quale è la recinzione di un palazzo condominiale, non può che provocare un senso di disgusto nel comune sentire, generando disapprovazione ed offendendo il comune sentire.

Si badi bene che il reato si configura indipendentemente dal fatto che alla minzione abbia assistito o meno qualcuno: infatti "la norma dell'art. 726 Cp esige che l'atto abbia effettivamente offeso in qualcuno la pubblica decenza e neppure che sia stato percepito da alcuno, quando si sia verificata la condizione di luogo, cioè la possibilità che qualcuno potesse percepire l'atto (cit. Cass. Pen. III Sez. Penale, sent. n. 37823/2013).

Quello che la legge punisce, infatti, non è l'offesa in concreto arrecata al comune senso del sentire ma la potenzialità offensiva dell'atto compiuto.

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Pertanto, il nascondere le parti intime non salva certo dal compimento di questo reato, punito addirittura con l'arresto fino a un mese oppure con un'ammenda dell'importo da 10 a 206 euro.

La particolare tenuità del fatto quale speciale causa di giustificazione ex art. 34 D. L.vo 274/2000.
Tuttavia, una norma speciale soccorre colui che sia colto da un'improvvisa ed impellente necessità di orinare tale da impedirgli di farlo in luoghi più consoni: l'art. 34 del D. L.vo n. 274 del 28/08/2000 (Disposizioni sulla competenza del Giudice di Pace).

Ed invero, poiché il processo a carico di chi sia accusato del reato in oggetto non si svolge dinanzi al Tribunale ma davanti al Giudice di Pace, sarà possibile, se del caso, applicare la particolare causa di non punibilità prevista dal citato art. 34 delle norme riguardanti proprio i reati di competenza del Giudice di Pace: tale esimente, in sostanza, esclude la procedibilità (e di conseguenza la punibilità), tra le altre, per quelle condotte che, benché costituenti reato (come l'orinare in luogo aperto al pubblico), tuttavia, rispetto all'interesse tutelato, abbiano arrecato un danno esiguo o procurato un pericolo pressoché inesistente.

Pertanto, seppur orinare in luogo pubblico integri gli estremi del reato di cui all'art. 726 cod. pen., la procedibilità per tale azione sarà tuttavia esclusa, in applicazione dei principi dettati dall'art. 34 del D. L.vo 274/2000, tutte le volte in cui la condotta illecita sarà stata posta in essere in modo da arrecare un offesa minima o quasi nulla alla pubblica decenza: è il caso, d esempio, di chi, oltre a nascondere le parti intime, avrà comunque cura di non essere visto, ponendo in essere una condotta occasionale e scarsamente lesiva del comune sentire.

Orinare in luogo pubblico, quindi, non rappresenta automaticamente una violazione dell'art. 726 cod. pen., dovendosi esaminare caso per caso le modalità dell'azione per verificare l'eventuale presenza di cause di non punibilità della condotta.

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