Che lavoro fai? Sono medico. Sono psicologo. Sono avvocato. Sono casalinga.
Avete mai fatto caso a questa sfumatura? Una piccolissima differenza verbale che sembra non modificare il contenuto della risposta ma che ne caratterizza fortemente le sfumature psicologiche.
La domanda può essere posta anche in questo modo: di cosa ti occupi? La risposta quasi sicuramente sarà la stessa: Sono avvocato. Sono psicologo. Sono casalinga.
Perché diciamo sempre più spesso che " siamo" il lavoro che facciamo e non più semplicemente "faccio il medico", ad esempio?
Uno dei motivi principali è che nella nostra modernissima società il lavoro che svolgiamo tende sempre ad essere una sorta di badge per uno status sociale.
Chi fa il medico e ti dice "Sono Alberto e sono medico" in realtà ti sta dicendo: "Sono molto appassionato al mio lavoro.
Ho studiato per anni nelle scuole migliori ed ora il mio stipendio rientra nelle categorie più alte.
Ovviamente salvo vite o faccio del mio meglio per fare questo per cui sono anche una brava persona.
Mi reco ogni mattina in ospedale, indosso il camice, faccio visite, opero, chiacchiero coi colleghi e quando torno a casa mi godo la mia famiglia.
A volte faccio studio privato presso la mia seconda abitazione sulla Riviera di Chiaia a Mergellina, fronte mare.
Ricevo un sacco di regali di riconoscenza dai miei pazienti, auguri sinceri a Natale che spesso trascorro sulla neve con mia moglie e le mie due bellissime gemelle.
Sono una persona appagata, felice, inquadrata, stabile, benestante, colta, istruita, riconosciuta.
E tutte queste cose disegnano ciò che io SONO, la mia identità e come io mi sento nel mondo."
Il nostro Dott.
Alberto trae molta parte della sua identità dal lavoro che svolge e da come questo lavoro cambia la sua vita.
Presentazioni a parte, facciamo un salto nel passato lontanissimo per capire l'importanza che ha sempre avuto il lavoro nelle nostre vite e nella costruzione della nostra identità psicologica.
Ai tempi di Elisa di Rivombrosa chi lavorava era considerato un poveraccio costretto a fatiche fisiche e a vendere il suo tempo in cambio di un pugno di dollari. Le donne nobili giravano con l'ombrellino sotto braccio dei galantuomini eriditieri.
Poi c'erano gli schiavi, gli inservienti e chi doveva lavorare perche non-nobile o non-ereditiero.
Nel tempo però dopo il '700 il lavoro è andato ''nobilitandosi''.
Sempre più persone erano orientate all'obiettivo e nell'immaginario collettivo il lavoro iniziava a diventare uno status sociale.
Oggi chi non lavora è considerato un nullafacente o uno sfigato, se disoccupato non proveniente da famiglia ricca, un bamboccione se proveniente da famiglia benestante e dipendente dalle facoltà economiche dei genitori.
Una persona che nel 600 lavorava era complessata, probabilmente.
E vittima di pregiudizi e scherno.
Una persona nel 2019 che non lavora è complessato, sicuramente ed è vittima di altrettanti pregiudizi.
Esiste anche l'estremo opposto alla mancanza di occupazione, quello che oltreoceano chiamano "workhaolism", dipendenza da lavoro.
Ci sono degli indicatori più o meno precisi che ci possono portare ad intendere che una persona soffra di questa dipendenza:
- Compulsione lavorativa, manifestata con persistente e ripetuto abuso lavorativo con dedizione abituale superiore alle 8 ore quotidiane, spesso anche nei fine settimana o nei periodi di vacanza.
- Tendenza a non assentarsi mai dal lavoro, né per necessità e raramente anche per malattia.
- Crisi di astinenza, con sensazione di vuoto, angoscia o irritazione quando si è lontani dal lavoro, come accade nei periodi festivi.
- Manifestazioni o vissuti di paura di perdere il lavoro.
- Preoccupazioni ricorrenti riferite a temi lavorativi.
- Pensieri e fantasie costanti su nuovi modi di risolvere dei problemi sul lavoro o di ottenere successi in tale campo.
- Incapacità di staccare, con rarefazione degli svaghi e degli hobbies e tendenza ad occupare i week-end e i momenti liberi con l'aggiornamento o con letture e piccoli lavori.
Spesso questo atteggiamento è accompagnato da disprezzo nell'osservare gli altri divertirsi e dedicarsi ad attività di svago abituali.
- Incubi relativi a errori o insuccessi sul lavoro.
Questa dipendenza può configurarsi in vari modi, in quanto non sempre una persona che lavora 20 ore al giorno lo fa perchè ne trae una soddisfazione, anche indiretta. Spesso lo fa perchè parte del suo lavoro è proprio lo stare continuamente in allerta.
Indovinate un pò quale categoria rientra in questo ultimo scenario? Esatto. Il nostro amministratore di condominio. Analizziamo però il lavoro di questo professionista.
Ha sicuramente delle attività da fare durante il giorno, che possiamo considerare attività di routine: assicurarsi che gli immobili siano in buono stato e che tutto funzioni, contattare I fornitori, pagare le fatture, rispondere alle istanze dei condomini, rispondere alle richieste dei professionisti che lavorano in condominio, redigere bilanci, preparare le quietanze di pagamento, ritirare le quote economiche del rateo condominale etc.
Oltre questo però ha anche un altro bel pò di cose da fare che non sempre rientrano nell'abito della formazione che lo ha preparato.
Deve sapere valutare un preventivo idraulico, elettrico, ingegneristico. Deve conoscere di legge. Deve Conoscere di contabilità, di bilanci, di automazione di cancelli.
Deve essere aggiornato con I movimenti di governo, al passo con le leggi e le delibere comunali, regionali, statali, deve capirne di edilizia ed altro ancora.
Mettiamo caso che il nostro amministratore si chiami Mario.
Mario e Alberto, il fortunato medico di qualche riga sopra, non hanno condividono proprio lo stesso destino.
Alberto la mattina si sveglia e sa che dovrà andare in ospedale, dopo aver compitamente accorciato al barba, indossato pantaloni classici e polo, preso il suo bel caffè e sceso in garage a prendere la sua Twin Spark.
Mario la mattina si sveglia, probabilmente coadiuvato dalla terza telefonata della signora Ranieri, amareggiata perchè non riesce a sentire Radio Maria ed è sicura che sia dovuto all'antenna sul palazzo (!).
Probabilmente Mario scenderà di corsa per recarsi su un cantiere problematico in un condominio, dove stanno smaltendo l'amianto.
Forse il caffè, se tutto va bene, lo prenderà alle 12.30 e scenderà di casa con lo scooter perchè appena dopo il cantiere dovrà correre in banca, poi presso un altro condominio, poi dal commercialista, poi a ritirare finalmente delle quote di alcuni morosi che chicca come si sono decisi a pagare e poi ancora dall'avvocato per alcuni contenziosi.
Ovviamente, scenari fantozziani a parte, è più che chiaro che l'identità di Mario e il rimando di se stesso che il suo lavoro gli conferisce non è definita e lineare come quella di Alberto, il medico.
Qualcuno mi ha chiesto: è possibile che un amministratore soffra psicologicamente o emotivamente per la varietà di cose che deve fare? La mia risposta è: si, molto probabile.
Molto di ciò che siamo dipende dal lavoro che facciamo, come dimostrato dalle risposte che siamo soliti dare sul nostro lavoro, definendo di fatto noi stessi.
Il lavoro che facciamo ha vari versanti da valutare.
Primo tra tutti, è importante capire se ci fa sentire appagati come persone, se " ci piace" semplicemente.
Se le attività che svolgiamo ogni giorno sono in linea con il nostro carattere e la nostra indole nessun lavoro sarà molto pesante e non staremo certo a contare le ore di lavoro che facciamo.
Perché quelle attività le faremmo volentieri anche se non fossero remunerate, per il solo fatto che ''ci piace fare quella cosa''.
Un amministratore può serenamente accettare e trovare nelle sue corde la dinamicità di muoversi da una parte all'altra della città un giorno, per tutto il giorno, così come trascorrere tutto il tempo in ufficio tra le carte per altri giorni.
C'è da valutare se a livello umano questo lavoro porta delle gratificazioni.
Ad esempio se le persone riconoscono che tu faccia un buon lavoro o non sono contente del tuo lavoro gioca un ruolo molto importante nel come tu ti senti.
Un amministratore continuamente sottoposto alle sfuriate dei condomini e mai riconosciuto come un buon professionista capace di risolvere problemi non trarrà un buon vantaggio da quel lavoro, che anche se economicamente gratificante sarà altamente demoralizzante sul piano psicologico.
Oltre questi due fattori da valutare ne abbiamo un altro. Importantissimo. Riguarda le competenze.
Un medico deve avere competenze in medicina. Deve conoscere a menadito il corpo umano e sapere come questo funzioni e come si muova. Opera sul corpo e tratta ciò che riguarda il corpo.
Studia dieci anni per sentirsi preparato abbastanza ed il percorso formativo pensato per lui lo mette abbastanza al sicuro dall'impreparazione o da errori.
Ha un albo di riferimento che ne garantisce la professionalità e lo tutela e lo segue e ne delinea le basi formative, i diritti e I doveri.
L'amministratore di condominio ha una formazione obbligatoria di poche ore. Le competenze richieste sono molteplici e cambiano I parametri davvero molto spesso.
Il margine di errore che può avere è direttamente proporzionale al numero di condominii gestiti ed è di fatto incalcolabile dato che le competenze richieste sfiorano addirittura il legale.
Lui opera sull'edile, il fiscale, il legale, il burocratico, il bancario, il tecnico e talvolta… l'ambito psicologico! Non ha un albo che ne tuteli la categoria, che ne definisca I limiti dei doveri e ne sancisca I diritti.
Questa condizione lo espone ad una instabilità ed una insicurezza che non solo sfumano I confini della sua identità professionale ma si riflettono anche sulla sua identità personale.
Anche se non è il mio campo, trovo importantissimo e doveroso sottolineare il pericolo fisico derivante dallo stress da lavoro, fatto salvo che lo stress da lavoro non è solo dovuto allo sbattimento logistico e alle ore di lavoro effettivamente vissute ma anche e soprattutto alla condizione emotiva derivante dal lavoro stesso, per tipologia e qualità.
In Giappone, è stato osservato un fenomeno medico definito "Karoshi", che è stato collegato allo stress da lavoro; si tratta della tendenza di numerose persone, sottoposte a condizioni lavorative eccessive o nocive, a sviluppare patologie cerebrovascolari o cardiache gravi; alcune di esse sono decedute anche in modo inaspettato per problematiche di ischemiche o infartuarie.
La medicina giapponese ha riconosciuto nell'eccesso di lavoro la causa fondamentale dello stress che ha generato o aggravato le patologie in questione.
La mancanza delle ore di sonno necessarie per il benessere psicofisico sembra un fattore strettamente connesso all'eccesso lavorativo, che innesca profonde modificazioni nella chimica cerebrale e nel funzionamento della regolazione neurologica di tutte le funzioni vitali, un fattore che dovrebbe fare riflettere sull'assunzione di farmaci o altre sostanze volte a diminuire il sano bisogno di dormire, pur di terminare il proprio lavoro.
È vero che oggi noi viviamo del nostro lavoro e siamo il nostro lavoro. Ciò che però a volte ci sfugge è che siamo anche esseri umani.
Persone con una dignità umana che sconfina e trascende il lavoro.
Abbiamo bisogno di divertirci, di dormire, rilassarci, di godere di buoni amici e grasse risate, di trascorrere del tempo nella natura, di dare baci ai nostri figli e sorridere ai nostri partner.
Si parla di un albo, di cambiamento, di restituzione della dignità al lavoro di amministratore di condominio e alla sua professionalità.
Intanto che I piani alti decidono se prendere in esame queste opzioni cerchiamo di non dimenticarci mai che, come dicono molti vecchi detti, sempre saggi…
… "Prima la salute…"