Con l'articolo 33-quater del D.L. 9 agosto 2022 n. 115, poi convertito in legge 21 settembre 2022, n. 142 , il Legislatore statale ha integrato gli interventi in regime di edilizia libera da eseguirsi senza titolo abilitativo ed esonerati dal contributo di costruzione, includendo la "realizzazione e installazione di vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti, cosiddette VEPA, dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche dei balconi aggettanti dal corpo dell'edificio, di logge rientranti all'interno dell'edificio (lett. b-bis) del comma 1 dell'art. 6 del d.P.R. n. 380/2001).
Recentemente, il D.L. 69/2024 (cosiddetto "Salva Casa", convertito in L. 105/2024) ha modificato la lett. b-bis) citata, consentendo l'installazione delle VEPA anche nei "...porticati, a eccezione dei porticati gravati, in tutto o in parte, da diritti di uso pubblico o collocati nei fronti esterni dell'edificio prospicienti aree pubbliche.
Alla luce di quanto sopra, è possibile affermare che l'installazione di questi manufatti da parte di un condomino è notevolmente semplificata dal punto di vista urbanistico ma può generare un conflitto con gli altri condomini per lesione del decoro del condominio.
A tale proposito si segnala una recente decisione del Tribunale di Milano (sentenza del 25 febbraio 2025 n. 1574).
Controversia sull'installazione di vetrate frangivento in condominio
I proprietari di un appartamento all'ottavo piano di un condominio, in assenza di autorizzazione dell'assemblea, installavano sul parapetto delle logge dell'appartamento di loro proprietà delle vetrate frangivento pieghevoli ad impacchettamento laterale. Questa iniziativa veniva contestata dagli altri partecipanti al condominio con diverse lettere che non sortivano alcun effetto.
Il condominio era costretto allora a rivolgersi al Tribunale sostenendo che dette vetrate rappresentavano un'innovazione illecita, in quanto contraria alle norme del regolamento e lesiva dell'estetica del prospetto, dell'armonia e del decoro architettonico del palazzo, creando un'alterazione della percezione visiva della facciata.
Per l'attore l'installazione delle vetrate era stata realizzata anche in violazione dell'art. 1122 c.c. e senza il rispetto delle norme in materia edilizia (veniva presentato al Comune e al Comando di Polizia municipale un esposto).
In considerazione di quanto sopra, il condominio richiedeva la condanna dei convenuti all'immediata rimozione dei manufatti contestati, a loro cura e spese, compreso ogni intervento necessario al fine di ripristinare lo stato preesistente dei luoghi. Il Tribunale ha dato torto ai convenuti.
Sulla base delle foto depositate il giudicante ha osservato sia che l'installazione di tali vetrate è palesemente visibile dall'esterno, sia l'evidente differenza tra il balcone dei convenuti e le altre parti della facciata e degli altri balconi.
Secondo il Tribunale non è rilevante che il decoro sia stato già leso in precedenza da altri condomini ed eventualmente anche con il consenso della assemblea condominiale, atteso che l'eventuale contrasto con il regolamento condominiale e con le disposizioni di legge potrà sempre essere fatto valere nelle sedi competenti avverso tali presunte lesioni.
Allo stesso modo, il giudicante ha considerato irrilevante la tesi dei convenuti secondo cui le vetrate in esame erano necessarie per una migliore fruizione dell'appartamento, al fine di proteggerli dagli eventi meteorologici e dalla formazione di muffe.
Implicazioni legali delle modifiche estetiche nei condomini
Nella vicenda esaminata, sulla base delle foto depositate in giudizio, il Tribunale ha potuto constatare che la modificazione della facciata dei convenuti ha determinato una alterazione della unitarietà di linee e di stile della stessa, con conseguente pregiudizio estetico non modesto e, dunque, non trascurabile.
L'installazione delle vetrate è avvenuta in violazione dei limiti posti dall'artt.1122 c.c. e dalle norme del regolamento che sono risultate una specificazione dei divieti già previsti dall'art.1122 c.c. Tale norma pone un generale divieto di esecuzione di opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio; divieto che non è esteso solo agli interventi eseguiti sulle parti comuni, ma anche su quelle che siano di proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale del condomino.
Il danno alle parti comuni che, ai sensi dell'art. 1122 c.c., deve evitare il condomino che esegue opere sulle parti dell'edificio di sua proprietà esclusiva non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili della cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (Cass. civ., sez. II, 03/01/2014, n. 53). Tale norma sembra imporre a chi esegue opere sulla proprietà privata - anche quelle non travalicanti i limiti di cui all'art.1122 c.c. - di darne comunicazione all'amministratore di condominio il quale, a sua volta, sarà tenuto a riferirne subito all'assemblea.
Ne consegue che i convenuti non potevano operare la modifica contestata autonomamente, senza darne informativa all'amministratore e contrariamente alla volontà della assemblea condominiale che non li ha mai autorizzata espressamente.
In ogni caso si ricorda che il regolamento condominiale, può ben contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale e che, a tal fine, sono suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti. Per tale ragione il regolamento condominiale può vietare interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto (Cass. civ., sez. II, 03/09/1998, n. 8731).