Quella dei parcheggi negli spazi comuni riservati è una delle questioni più frequenti e più discusse in ambito condominiale. La situazione si complica ulteriormente se a contendersi il "posto" auto sono il nudo proprietario e l'usufruttuario dell'appartamento in condominio. A chi spetta il diritto di utilizzare il cortile?
Il diritto di godere del bene oggetto di usufrutto, e di trarne le relative utilità, spetta all'usufruttuario, come previsto dall'articolo 981 del Codice civile.
Gli spazi condominiali destinati a parcheggio sono pertinenza delle unità immobiliari ubicate nell'edificio e in quanto tali possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici. In alcuni casi, può accadere che nudo proprietario e usufruttuario abbiano inteso limitare il diritto di usufrutto all'unità immobiliare, restando al nudo proprietario il diritto di parcheggio negli spazi comuni.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17844 del 9 settembre 2016, ha però stabilito che gli spazi in questione sono soggetti ad un vincolo di destinazione di natura pubblicistica, per cui devono intendersi riservati all'uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari delle quali si compone il fabbricato che ad esse abitualmente accedono.
In ogni caso un condomino non può occupare anche gli stalli destinati agli altri condomini.
Vale la pena soffermarsi sulla sentenza n. 17844/2016 citata, nella quale la Suprema Corte ripercorre la complessa disciplina dei parcheggi nelle aree comuni.
La vicenda riguardava la domanda presentata dagli acquirenti di un appartamento in condominio diretta a far dichiarare la nullità dell'atto di vendita, nella parte in cui era stato omesso il trasferimento della proprietà del box sito in area condominiale e destinato al parcheggio dell'autovettura.
La domanda veniva accolta dal Tribunale che dichiara il trasferimento del diritto reale d'uso sul box condannando gli acquirenti al versamento di un ulteriore corrispettivo. Decisione poi confermata dalla Corte d'appello e, da ultimo, dalla Cassazione.
La normativa. La normativa applicabile al caso di specie era, ratione temporis, la Legge n. 765/1967 - denominata "legge ponte" in quanto a regolamentazione transitoria tra l'antecedente (l. n. 1150/142) e la successiva normativa urbanistica (l. n. 10/1977) -in quanto il fabbricato era stato completato nel 1977, poco prima dell'entrata in vigore della riforma.
Segnatamente, l'art. 18 della l. 765/1967 aveva innovato la precedente disciplina introducendo l'art. 41-sexies ("…nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione") e stabilendo, in tale modo, un vincolo pertinenziale inderogabile fra l'unità immobiliare e l'area condominiale destinato a parcheggio, anche sotto forma di immobile (es. box auto), su cui il condomino poteva vantare, a seconda dei casi, il diritto dominicale, di usufrutto o di uso.
Vincolo di destinazione. Sul punto la giurisprudenza è sempre stata consolidata nell'affermare che la normativa urbanistica "…impone (…) un vincolo di destinazione, di natura pubblicistica, per il quale gli spazi in questione sono riservati all'uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari delle quali si compone il fabbricato o che ad esse abitualmente accedono: peraltro non ne è richiesta anche la cessione in proprietà da parte dell'originario proprietario dell'intero edificio, giacché - qualora sia rispettato il vincolo di destinazione - le finalità perseguite dal legislatore, di interesse collettivo e non individuale dei singoli acquirenti di porzioni del fabbricato, sono soddisfatte con il riconoscimento in favore dei medesimi del diritto di uso di natura reale. Pertanto, nel rispetto del vincolo di destinazione di cui si è detto, il proprietario può riservarsi la proprietà o cederla a terzi" (Cass. Civ. n. 26253/2013; ma si veda anche Cass. Civ. n. 341/2000).
Nel caso di specie, i venditori avevano acquistato direttamente dal costruttore il quale, tuttavia, non aveva operato alcuna riserva di proprietà rispetto al box, dal che lo stesso era venuto a ricadere, per effetto del vincolo pertinenziale con l'appartamento, fra le parti comuni di cui all'art. 1117 c.c. Peraltro, la natura condominiale dell'area adibita a parcheggio è ribadita dallo stesso art.1117 c.c. che espressamente afferma "sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo: 2) le aree destinate a parcheggio ".
Se il rogito non specifica nulla, permane il vincolo di destinazione a favore dell'acquirente (o usufruttuario) dell'appartamento. Con riferimento poi alla compravendita con gli odierni acquirenti, neppure in questo caso i venditori avevano manifestato alcuna volontà di riservare la proprietà del box - riserva che in ogni caso non sarebbe stata legittima poiché la normativa accorda tale facoltà unicamente al costruttore -, né tantomeno il bene poteva essere sottratto alla propria destinazione condominiale per volontà dei contraenti.
Secondo la Cassazione, il silenzio dell'atto di compravendita del 1991 circa la individuazione del box, o la sua variazione catastale, non rilevano a fronte della persistenza di vincoli urbanistici normativamente presidiati, che cagionano la nullità della eventuale riserva: il paradosso che si pretende è quello di voler far dire ad un atto notarile ciò che esso non potrebbe mai dire, cioè che vi era sottesa una clausola nulla, quelli sono le clausole degli atti privati, di disposizione degli spazi stessi, difformi dal contenuto vincolato".
La giurisprudenza successiva. Secondo la Suprema Corte, dunque, stante il vincolo di destinazione fra l'appartamento e il box e la natura condominiale ex art. 1117 c.c., non può sostenersi che l'omessa menzione dello stesso nel rogito sottendesse la volontà di escludere il box dalla vendita poiché una siffatta interpretazione dell'articolato contrattuale sarebbe contraria alla legge.
Un principio più volte confermato dalla giurisprudenza, anche amministrativa.
Tra le tante, citiamo la sentenza 8 marzo 2017 n. 5831 della Sezione VI civile della Corte Cassazione - recentemente confermata anche dal TAR Piemonte - Torino, sentenza 11 aprile 2018, n. 441: "L'area esterna di un edificio condominiale, della quale manchi un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio e sia stato omesso qualsiasi riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, può essere ritenuta di natura condominiale, ex art. 1117 c.c., in quanto soggetta alla speciale normativa urbanistica dettata dall'art. 41-sexies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della l. n. 765 del 1967, alla duplice condizione che venga accertato che essa sia destinata a parcheggio, secondo la prescrizione della concessione edilizia, originaria o in variante, e che, in corso di costruzione, sia stata riservata a tale fine e non impiegata, invece, per realizzarvi opere di altra natura.
Trattandosi di elementi costitutivi del relativo diritto, spetta a chi vanti il diritto di uso a parcheggio su tale area, l'onere di provare che la stessa è compresa nell'ambito dell'apposito spazio riservato".