Per stabilire la legittimità o meno della piscina costruita su un'area non edificata rispetto al regolamento condominiale – che prevede che “il terreno non occupato dalla costruzione civile dovrà essere tenuto a giardino” – occorre verificare in concreto le caratteristiche specifiche del manufatto.Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 822 del 30.4.2015, con la quale i supremi giudici hanno rinviato la causa alla corte d'appello che dovrà stabilire se la piscina in questione costituisce un manufatto “compatibile” con il concetto di giardino e, quindi, consentito dal regolamento condominiale.
Il fatto. Il titolare di un hotel in un edificio in condominio realizzava una piscina con sauna e spogliatoio su un lotto scoperto, divenuta pertinenza dell'albergo. Gli altri condomini agivano in giudizio per la rimozione del manufatto, poiché realizzato in violazione della clausola del regolamento condominiale (risalente al 1952) che espressamente prevede: “il terreno non occupato dalla costruzione civile dovrà essere tenuto a giardino.
È assolutamente vietato anche in via provvisoria la costruzione, in qualsiasi materiale, di pollaio, conigliere e simili visibili dal passaggio comune”.
In primo grado, il tribunale rigettava la domanda qualificando la disposizione del regolamento come una “servitù reciproca di non edificare” a carico di tutti i condomini. Poiché erano decorsi oltre 20 anni dalla costruzione della piscina, la servitù si era estinta e, dunque, la piscina doveva considerarsi perfettamente legittima.La sentenza d'appello, al contrario, affermava l'illegittimità della piscina, atteso che, da un lato, la disposizione regolamentare configura “un'obbligazione propter rem”, come tale non soggetta a termini di prescrizione, e non una servitù e che, dall'altro, “la realizzazione della piscina non fosse in alcun modo riconducibile alla previsione di mantenere il terreno a giardino, da intendersi come destinazione a relax, passeggio, coltivazione di piante ornamentali e fioriere”.
Di tutt'altro avviso è la Cassazione, che critica la decisione dei giudici distrettuali sotto diversi aspetti.
“La Corte d'appello – osservano gli Ermellini – “dopo aver affermato che, per il suo contenuto di facere, la previsione costituisce obbligazione propter rem a carico dei proprietari dei lotti e non servitù reciproca, ha ritenuto l'estraneità della piscina al concetto di giardino, inteso come terreno destinato a relax o passeggio, coltivato a piante ornamentali e fioriere, senza ulteriori precisazioni”.
Tuttavia, continua la suprema Corte, se è vero che in astratto la definizione di giardino non contempla la piscina (mentre prevede, in alcune varianti, fontane, cascate e specchi d'acqua), la questione non è nominalistica occorrendo – ai fini della risoluzione del caso di specie – “la verifica in concreto delle caratteristiche specifiche del manufatto e del contesto in cui si inserisce”
In altri termini, lo sforzo che si richiede al giudice è quello di valutare se, in base alla caratteristiche del caso concreto, la piscina in questione sia o meno compatibile con la destinazione a giardino dell'area.
Una soluzione, questa, suggerita peraltro proprio dal regolamento condominiale, in cui l'obbligo di “mantenere a giardino” il terreno non edificato viene poi meglio specificato, in via esemplificativa, con il divieto di costruire ricoveri per animali da cortile, e cioè manufatti che per definizione non rientrano nel concetto di giardino.