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Rate condominiali. Sono applicabili sanzioni e interessi moratori per ritardato pagamento?

Può ritenersi legittima una clausola regolamentare che preveda l'applicazione di una penale o di interessi moratori, in caso di ritardo nel pagamento delle rate condominiali?
Avv. Michele Orefice - Foro di Catanzaro 
11 Giu, 2018

In tema di delibere si discute spesso della legittimità del potere assembleare di autodisciplinare la vita condominiale attraverso la predisposizione di norme regolamentari impositive, che prevedono l'applicazione di penali "private" a carico dei trasgressori.

In particolare, si discute dell'applicabilità dell'art. 70 disp. att. c.c., che prevede la possibilità per l'assemblea condominiale di erogare sanzioni pecuniarie, fino ad un massimo di 800,00 euro, per infrazioni al regolamento di condominio.

Con riferimento a tale norma è utile evidenziare che il potere sanzinatorio in questione spetta soltanto all'assemblea condominiale e non all'amministratore, che per legge non ha competenze in merito, se non quella di riscuotere le somme delle sanzioni comminate, per devolverle al fondo destinato alle spese ordinarie.

La norma in questione, infatti, non prevede che l'amministratore possa agire direttamente contro il trasgressore, per ottenere il pagamento della sanzione, né tantomeno specifica a chi, tra coloro che fanno parte del condominio, possono essere applicate tali sanzioni pecuniarie.

Interessi moratori in caso di ritardato pagamento delle rate condominiali. Istruzioni per una corretta esazione

Ma allora a chi sono rivolte le sanzioni pecuniarie condominiali?

Secondo un'interpretazione, il fatto di non aver specificato i destinatari, da parte del legislatore, lascerebbe presumere che le sanzioni per la violazione del regolamento potrebbero interessare non soltanto i condòmini ma anche i titolari di diritti reali e personali di godimento sugli immobili, come gli usufruttuari, i comodatari e gli inquilini.

I sostenitori di siffatta tesi "estensiva" argomentano osservando che, le norme regolamentari del condominio vanno rispettate non soltanto dai condòmini, ma anche dai loro aventi diritto.

Peraltro, gli aventi diritto dei condòmini sono già noti all'amministratore perché censiti, ex art. 1130 sesto punto c.c., nell'ambito del registro di anagrafe condominiale.

In effetti tale tesi potrebbe essere fondata, se non fosse che l'art. 70 disp. att. c.c. riveste carattere di norma eccezionale e di conseguenza può interessare soltanto i condòmini, non potendosi applicare, per esempio, ai conduttori degli alloggi condominiali, i quali, ancorché si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio, in base ad un rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale (Cass. n. 10837/1995). D'altronde, al di là del limite rappresentato dal carattere eccezionale della norma, la tesi estensiva incontra un altro limite pratico, rappresentato dal fatto che l'importo della sanzione in questione può essere riscosso soltanto se contabilizzato, come spesa individuale di un condomino, nello stato di riparto del rendiconto condominiale approvato dall'assemblea.

Si ricorda che il titolo di credito del condominio è costituito proprio dalla delibera di approvazione della spesa e della ripartizione del relativo onere, che legittima non soltanto la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio di opposizione, che lo stesso condomino proponga contro tale decreto (Cass. n. 26629/2016).

Ad ogni modo non deve neanche trarre in inganno il dispositivo dell'art 67 disp. att. c.c., che prevede la possibilità di agire contro l'usufruttuario "per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale", in quanto il legislatore si riferisce soltanto alle spese ordinarie e non a quelle straordinarie o addirittura eccezionali, che restano di competenza del condomino-nudo proprietario.

Ma quali sono i presupposti e le motivazioni dell'applicazione delle sanzioni pecuniarie?

Innanzitutto, occorre evidenziare che la sanzione è una restrizione privatistica e pertanto, per essere applicata, deve essere espressamente prevista da una norma inclusa nel regolamento di condominio approvato dai condòmini, all'unanimità, oppure già predisposto e trascritto dal costruttore.

In entrambi i casi, comunque, il regolamento di condominio deve essere richiamato nei singoli atti di acquisto dei condòmini e allegato in copia agli stessi.

In caso contrario, così come previsto dal disposto dell'art. 1372 primo comma c.c., la sanzione pecuniaria non è opponibile ai terzi aventi causa dagli originari stipulanti, non potendosi prevedere ipotesi di pene private scaturenti dall'autonomia privata.

Per quanto attiene alle motivazioni che spingono i comproprietari a decidere di applicare penali gravose, si può dire che tali sanzioni sono dettate, per lo più, dalla paura di subire eventuali pregiudizi nel godimento dei servizi comuni "indivisibili" a causa della morosità nel pagamento dei contributi condominiali.

Da ciò deriva l'uso di prevedere nei regolamenti di condominio, soprattutto in quelli più datati, delle clausole penali, con le quali si conviene che, in caso di ritardato pagamento delle rate condominiali, il moroso debba corrispondere all'amministratore un importo ulteriore, definito nell'ammontare o calcolato a titolo di mora, in aggiunta alle quote scadute.

Ma può ritenersi legittima una clausola regolamentare che preveda l'applicazione di una penale o di interessi moratori, in caso di ritardo nel pagamento delle rate condominiali?

In primo luogo, va detto che, in caso di inadempimento, sia la clausola penale, cioè il patto con il quale si conviene che il debitore-condomino corrisponda una somma in favore del creditore-condominio, e sia gli interessi moratori applicati alle rate scadute rispondono ad una funzione risarcitoria e sanzionatoria.

Nel caso degli interessi di mora è noto che vengono calcolati con un tasso più alto rispetto a quelli legali.

Basti pensare che nel secondo semestre 2017 il saggio di interessi di mora era pari all'8% contro lo 0,1% degli interessi legali, che sono dovuti per legge dai condòmini morosi, dal momento della scadenza della rata condominiale.

Ebbene, sulla scorta delle considerazioni suddette, nel caso in cui gli interessi moratori, per ritardato pagamento delle quote condominiali, siano previsti da un regolamento contrattuale approvato all'unanimità nulla osterebbe alla riscossione della penale.

Infatti, è da considerarsi nulla soltanto la delibera dell'assemblea con la quale sia stato deciso a maggioranza dei presenti di applicare interessi moratori a carico dei condòmini in ritardo con i pagamenti condominiali, in quanto tale facoltà non rientra nel novero dei poteri assembleari (Cass. n. 10196/2013).

Peraltro, la nullità di tale delibera, che approva a maggioranza la ripartizione annuale delle spese di gestione tra i condòmini, con l'applicazione del tasso di mora, inficia anche le delibere successive e può essere fatta valere dall'interessato al di là del termine di cui all'art. 1137 c.c. (Cass. n. 10196/2013).

In pratica, per applicare una penale o gli interessi moratori, attraverso una delibera assembleare, occorre il consenso di tutti i condòmini, altrimenti la clausola è nulla.

Tuttavia, sebbene il ritardo nel pagamento delle rate condominiali possa implicare effetti pregiudizievoli per tutti i condòmini, non è pensabile che l'assemblea condominiale deliberi di applicare un tasso di interessi superiore rispetto al tasso soglia anti usura.

Infatti, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, il condomino potrebbe contestare l'ammontare della sanzione pecuniaria applicata nel rendiconto condominiale, con la conseguenza che il giudice potrebbe, d'ufficio, decidere di diminuirla se smisurata rispetto all'interesse da tutelare.

In altri termini i tassi soglia, che il Ministero dell'Economia e Finanze (MEF) comunica, con cadenza trimestrale, a partire dal primo gennaio, rappresentano un limite invalicabile anche in condominio.

Ciò in quanto non sussistono differenze tra la clausola del contratto stipulato tra i privati, che è affetta da nullità ex art. 1815 c.c., nel caso di applicazione di interessi oltre il tasso soglia, ed il contratto stipulato dai condòmini, all'unanimità, con l'approvazione della stessa clausola in seno ad una norma contenuta nel regolamento di condominio. L'art. 1815 c.c.

è una norma posta a tutela di un interesse pubblico e pertanto non è nella disponibilità delle parti e quindi dei condòmini.

Le sanzioni pecuniarie contenute nel regolamento condominiale

Avv. Michele Orefice

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