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Il vicino eccepisce la servitù ma le finestre restano.

Agire in giudizio per ottenere la chiusura delle vedute aperte dai vicini in violazione delle norme sulle distanze.
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo 

Se nel corso di un giudizio riguardante l'apertura di vedute realizzate in violazione delle distanze legali, il vostro vicino si difende dichiarandosi titolare di una servitù di veduta, è ben possibile controbattere chiedendo la riduzione della servitù alla situazione preesistente. Soprattutto se, come nel caso di specie, le nuove finestre, da due, aumentano a nove. Ma bisogna farlo ritualmente nel termine perentorio previsto dall'art. 183 c.p.c.

Rispetto all'azione negatoria di servitù, infatti, costituisce domanda nuova quella diretta all'accertamento dell'avvenuto aggravamento della servitù stessa e al ripristino della precedente situazione ai sensi dell'art. 1067 c.c.

Applicando tale principio di diritto, la Corte d'Appello de L'Aquila, con la sentenza in commento, ha riformato la decisione di primo grado nella parte in cui tale pronuncia rappresenta l'accoglimento non della domanda originaria proposta dagli attori (chiusura delle vedute aperte a distanza inferiore a quella legale dal confine), ma della diversa domanda (prospettata indirettamente degli attori solo con la memoria istruttoria ed in comparsa conclusionale, ma non proposta nel termine preclusivo fissato dall'art. 183 c.p.c.) di riduzione della servitù di veduta - eccepita dai convenuti ed accertata in giudizio - nei limiti preesistenti al suo aggravamento.

Per comprendere appieno la questione è utile ripercorrere brevemente i fatti di causa e l'iter motivazionale seguito dai giudici aquilani.

Due coniugi agisce in giudizio per ottenere la chiusura delle vedute aperte dai vicini nella loro nuova costruzione in violazione delle norme sulle distanze delle vedute dal confine.

I convenuti eccepivano l'acquisto per usucapione del diritto di tenere vedute a distanza inferiore a quella legale.

Il loro fabbricato, infatti, era stato riedificato sul medesimo perimetro di quello preesistente, già dotato di vedute dirette verso la proprietà degli attori da oltre vent'anni.

A fronte di ciò, nella prima udienza di trattazione gli attori non modificavano la propria domanda, né proponevano ulteriori domande conseguenziali all'eccezione dei convenuti, ma si limitavano a formulare capitoli di prova in ordine al numero delle vedute preesistenti (due) e di quelle attuali (nove) e sostenendo, nella comparsa conclusionale, la sussistenza di un aggravio della servitù di veduta rispetto a quella preesistente.

Il giudice di primo grado condannava i convenuti a ridurre a due finestre vedute presenti sulla parete prospiciente la proprietà degli attori, ritenendo che la situazione in esame, pur conforme alla normativa sulle distanze dal confine, configurasse un aggravamento della servitù di veduta rispetto a quella usucapita dai convenuti (limitata a due sole finestre). (Vedi anche: Apertura di finestre in balconi sui muri perimetrali comuni)

I convenuti proponevano appello ritenendo il giudice di primo grado abbia accolto una domanda (riduzione di servitù) nuova e diversa rispetto a quella originariamente proposta dagli attori, in violazione del principio del contraddittorio ex art. 102 c.p.c.

La Corte ha accolto il motivo d'appello richiamando la giurisprudenza di legittimità che, in materia, ha già ritenuto che, rispetto all'azione negatoria di servitù, costituisce domanda nuova, per diversità di petitum e di causa petendi, quella diretta all'accertamento dell'avvenuto aggravamento della servitù stessa e al rispristino della precedente situazione ex art. 1067 c.c.

(Finestre in condominio, la limitazione del diritto di veduta)

Nel caso di specie, la domanda di riduzione della servitù è da ritenersi inammissibile in quanto non si è trattato di una modifica della domanda (emendatio libelli), pure consentita entro certi limiti, ma di una domanda nuova, basata su presupposti diversi da quelli sostenuti in primo grado, la quale può essere proposta nello stesso giudizio, ma entro il termine perentorio stabilito dall'art. 183 c.p.c., a garantire il principio del contraddittorio tra le parti.

La sentenza impugnata ha accolto non la domanda originaria proposta dagli attori, bensì la diversa domanda di riduzione della servitù di veduta, proposta irritualmente e oltre il termine preclusivo fissato dall'art. 183 c.p.c.

In tal modo, è stato violato l'art. 112 c.p.c., poiché non è stato garantito il principio del contraddittorio a favore dei convenuti con riguardo alla nuova domanda di riduzione della servitù.

Pertanto, la Corte ha ritenuto la pronuncia, nei termini in cui è stata resa, nulla e meritevole di riforma.

Sentenza
Scarica Corte d'Appello De l'Aquila, n. 820 del 4 settembre 2013
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