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Ostacolo al godimento della cosa comune. Quando scatta il risarcimento del danno?

Ostacolo al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari: quali conseguenze?
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro Bari 
L'ostacolo al godimento delle parti comuni quale condotta preclusiva dell'utilizzo dell'unità immobiliare derivata dal frazionamento dell'originaria unità abitativa deve qualificarsi come illecito permanente; pertanto fa sorgere, a carico di chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva dei godimento non fruito

In tema di condominio, l'ostacolo al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari frapposto dagli altri fa sorgere, a carico di chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva dei godimento non fruito.

Tuttavia, il danno inerente al "godimento non fruito" non può ritenersi sussistente "in re ipsa" e coincidente con l'evento, "che é viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio.

Così si è pronunciato il Tribunale di Modena nella sentenza n. 43 dell'8 gennaio 2016.


=> Spazio comune in comproprietà.

L'uso, da parte di uno dei comproprietari, non può essere pregiudicato.

Questi i fatti di causa.

Alcuni condomini, in qualità di comproprietari di una porzione di fabbricato, assumendo che, dopo aver ottenuto dal Comune il rilascio dell'autorizzazione edilizia per il frazionamento del predetto bene in due unità immobiliari, ed dopo aver ottenuto una sentenza passata in giudicato, a seguito di impugnativa a delibera, convenivano in giudizio gli altri condomini del medesimo fabbricato, chiedendo il risarcimento del danno da lucro cessante subito per non aver potuto utilizzare il proprio appartamento per nove anni a causa dell'illegittimo diniego alla realizzazione degli allacciamenti di acqua, luce, gas e scarichi come stabilito dalla precedente sentenza; altresì, chiedevano il risarcimento del danno emergente derivante dai maggiori costi sostenuti per la realizzazione dell'intervento e dilizio.

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Costituendosi in giudizio, i condomini convenuti, dopo aver contestato le domande attoree, in via preliminare, chiedevano la prescrizione dell'azione risarcitoria, in riconvenzionale il ripristino delle condizioni di sicurezza del fabbricato pregiudicate in occasione dei lavori di frazionamento dell'immobile.

Il Giudice adito, nella pronuncia in commento, richiamando un principio consolidato in giurisprudenza, preliminarmente precisava che quanto alla prescrizione, questa ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23763 del 14/11/2011).

Nel caso di specie, l'ostacolo al godimento delle parti comuni, dedotto dagli attori quale condotta preclusiva per nove anni dell'utilizzo dell'unità immobiliare derivata dal frazionamento dell'originaria unità abitativa di loro proprietà facente parte del Condominio, deve qualificarsi come illecito permanente, atteso che i condomini hanno manifestato espressamente il loro dissenso non solo in occasione delle assemblee, ma anche nel corso del precedente giudizio.

Quindi trattandosi di illecito permanente ed in applicazione del principio giurisprudenziale esposto, è stata rigettata l'eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti, avendo gli attori proposto l'azione risarcitoria con atto di citazione entro il termine previsto dall'art.2947 comma 1 c.c. dalla cessazione della condotta dannosa, avvenuta precedentemente.

Nel merito, invece, è stato osservato che l'ostacolo al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari frapposto dagli altri fa sorgere, a carico di chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva dei godimento non fruito, atteso che, a norma dell'art. 1102 cod. civ., ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Tuttavia, il danno inerente al "godimento non fruito" non può ritenersi sussistente "in re ipsa" e coincidente con l'evento, che é viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli arti. 1223 e 2056 cod. civ, trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti. (Cass. Sez. 3, n. 15111 del 17/06/2013).

Orbene, a seguito dell'istruttoria, è risultato del tutto pacifico e documentale che gli attori avevano inteso frazionare in due porzioni l'originaria unità abitativa di loro proprietà, in forza dell'autorizzazione edilizia, e che hanno subito a causa dell'illecito ostacolo frapposto dagli altri condomini, un danno per non aver potuto godere, dell'appartamento, in quanto il medesimo era rimasto privo dei necessari collegamenti delle utenze di acqua, luce, gas e degli scarichi di acque nere e, come tale, inservibile all'uso cui era stato destinato.

Quindi, sussiste il primo presupposto oggettivo dell'illecito aquiliano extracontrattuale costituito dal fatto ingiusto dei convenuti, ossia dall'ostacolo da essi frapposto al godimento delle parti comuni da parte degli attori ma non essendo stato dimostrato in giudizio il relativo danno, la prima domanda attorea di risarcimento del danno da lucro cessante è stata rigettata; mentre è stata accolta la seconda domanda avendo gli attori provato di aver subito, a causa della condotta illecita dei convenuti, un maggior esborso per non aver potuto realizzare le opere indicate nella precedente sentenza.

Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, conformemente al citato orientamento, i condomini convenuti sono stati condannati in solido tra loro al risarcimento del danno emergente derivante dai maggiori costi sostenuti per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Sentenza
Scarica Tribunale di Modena n. 43 dell'8 gennaio 2016.
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