È definito "contrattuale" il regolamento adottato all'unanimità dai condòmini. Tale risultato può essere conseguito in due modi differenti: 1. al momento della costituzione del condominio, mediante recepimento del documento redatto unilateralmente dal proprietario originario del fabbricato all'interno dell'atto di acquisto delle singole unità immobiliari; 2. con deliberazione adottata con il voto favorevole di tutti i proprietari (1000/1000).
Il regolamento contrattuale - a differenza di quello adottato a maggioranza - consente di incidere enormemente sui diritti dei condòmini, i quali possono subire limitazioni tanto nel godimento delle parti comuni quanto in quello delle proprie unità abitative.
Quello contrattuale, dunque, è una sorta di "super regolamento" a cui è concesso (quasi) tutto: resta ferma infatti l'inderogabilità alle norme imperative, come ad esempio a quelle che determinano il funzionamento dell'organo collegiale.
Il regolamento contrattuale può derogare ai criteri di ripartizione delle spese statuiti dall'art. 1123 c.c., costituendo quella "convenzione" cui la norma si riferisce.
Il regolamento contrattuale può dunque contemplare criteri di divisione differenti, come ad esempio imporre che ogni spesa sia sempre ripartita equamente tra i condòmini, a prescindere dai millesimi posseduti.
La giurisprudenza (Cass., 21 giugno 2022 n. 20007) ritiene che la clausola con cui il costruttore stabilisca unilateralmente di esonerarsi dalle spese condominiali sia nulla in quanto vessatoria ai sensi del Codice del Consumo, sempreché l'acquirente possa definirsi un "consumatore", cioè un soggetto che agisce per scopi diversi da quelli professionali o imprenditoriali.
Secondo l'ordinamento (art. 33, d. lgs. n. 206/2005), sono vessatorie tutte le clausole che, nonostante la buona fede della parte, creano uno squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto a svantaggio del consumatore
Il regolamento contrattuale può inoltre derogare all'elenco delle parti comuni indicate nell'art. 1117 c.c., stabilendone di nuove oppure sottraendo quelle ivi enucleate a favore del diritto esclusivo di uno o più condòmini.
Il regolamento contrattuale può anche vincolare le unità immobiliari private a una determinata destinazione d'uso, ponendo quindi una concreta limitazione al godimento del bene.
L'opponibilità a terzi delle clausole limitative della proprietà
Il regolamento convenzionale, per sua stessa natura, non è opponibile ai terzi perché è un contratto e, come tale, vincola le sole parti stipulanti; ciò implica che per rendere opponibile il regolamento è necessaria la trascrizione nei pubblici registri.
Nello specifico, il regolamento contrattuale può essere trascritto nei registri della conservatoria immobiliare affinché le limitazioni alle proprietà private in esso contenute siano opponibili anche ai terzi, cioè agli aventi causa dei proprietari che hanno prestato adesione diretta allo statuto condominiale (Cass., 25 febbraio 2022, n. 6357).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse, deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una "relatio perfecta" attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all'interno dell'atto di acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso (Cass., 9 agosto 2022, n. 24526).
Con la trascrizione, dunque, il regolamento contrattuale vige anche nei confronti di coloro che subentrano nella qualità di condòmini, i quali non possono ritenersi all'oscuro delle sue previsioni: essi si presumono sempre note, anche nel caso di effettiva ignoranza dell'acquirente.
La trascrizione, infatti, è una forma di pubblicità dichiarativa che assolve alla funzione di portare a conoscenza dei terzi le norme che limitano il diritto di disposizione e di godimento del diritto di proprietà.
Così la Suprema Corte a proposito della trascrizione del regolamento contrattuale: «In caso di regolamento di condominio c.d. contrattuale, non basta indicare il medesimo ma occorre indicare le clausole di esso incidenti in senso limitativo sui diritti dei condomini sui beni condominiali o sui beni di proprietà esclusiva» (Cass. 31 luglio 2014 n. 17493).
In assenza di trascrizione, le clausole che limitano la proprietà sono efficaci se espressamente riprodotte e accettate dagli acquirenti all'interno dell'atto di compravendita.
Non è sufficiente un generico richiamo, all'interno del rogito, al regolamento contrattuale e alle sue condizioni: in assenza di trascrizione, affinché siano efficaci anche nei confronti dei successivi acquirenti occorre che questi ultimi le abbiano esplicitamente accettate al momento del rogito.
In sostanza, per ritenere opponibili le parti del regolamento aventi natura negoziale ed effetto limitativo della proprietà singola, occorre l'inserimento, all'interno dell'atto d'acquisto dell'unità immobiliare individuale, delle parti del regolamento aventi natura negoziale, non bastando, per contro, il solo rinvio al regolamento stesso (Trib. Roma, 17 gennaio 2024, n. 921).
L'opponibilità a terzi della clausola che deroga all'art. 1123 c.c.
Per quanto concerne la clausola del regolamento contrattuale che deroga all'art. 1123 c.c., la trascrizione nei registri pubblici della conservatoria non può ritenersi adeguata: il ricorso a tale forma di pubblicità è consentita solo per gli atti e le sentenze specificamente indicati negli articoli 2643 e 2645 c.c. (contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili oppure che costituiscono diritti reali di godimento, ecc.).
«Funzione della trascrizione, del resto, è quella non di fornire notizie sulle vicende riguardanti il patrimonio immobiliare, ma di risolvere eventuali conflitti fra più aventi causa; e la tipicità degli effetti della trascrizione e dei diritti reali non fa acquisire carattere reale ad un'obbligazione solo perché essa sia stata annotata nei registri immobiliari» (Cass., 4 luglio 2022, n. 21086).
Secondo questo orientamento giurisprudenziale, dunque, affinché le clausole che derogano all'art. 1123 c.c. possano essere opposte anche ai terzi occorre inserirle espressamente all'interno del rogito notarile, cosicché possano essere accettate dagli acquirenti.
Così testualmente l'appena citata sentenza della Corte di Cassazione: «L'efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell'articolo 1123 c.c., comma 1, si deroga al regime legale di ripartizione delle spese è perciò soggetta alla regola della relatività degli effetti del contratto, di cui all'articolo 1372 c.c., sicché essa è limitata alle parti che la stipulano e non si estende ai loro aventi causa a titolo particolare, se non attraverso uno degli strumenti negoziali all'uopo predisposti dall'ordinamento (delegazione, espromissione, accollo e cessione del contratto).
Occorre, altrimenti, che gli aventi causa abbiano preso conoscenza della preesistente convenzione ex articolo 1123 c.c., comma 1, al momento dell'acquisto ed abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini (e non quindi soltanto nei confronti di chi abbia loro alienato la proprietà dell'immobile)».
Orbene, secondo la giurisprudenza, la trascrizione non è lo strumento adeguato a rendere opponibile la clausola che deroga all'art. 1123 c.c.; per ottenere questo risultato, è necessario che i terzi acquirenti accettino la condizione espressamente riproposta all'interno del rogito oppure decidano di aderirvi con altro strumento negoziale: nello specifico, con uno degli istituti che determinano il mutamento del soggetto passivo del rapporto obbligatorio - delegazione, espromissione e accollo - portando al risultato pratico di liberare il debitore originario.
Insomma: i futuri acquirenti non possono essere vincolati dalla mera trascrizione del criterio di ripartizione in deroga alla legge, occorrendo al contrario un'espressa manifestazione di adesione alla convenzione.
La soluzione prospettata dalla giurisprudenza, seppur formalmente ineccepibile, escludendo il ricorso alla trascrizione (che renderebbe opponibile una volta per tutte il regolamento) impone di prestare attenzione al subentro nella qualità di condomino: l'acquirente infatti, in assenza di espresso richiamo, potrebbe sottrarsi all'obbligo di rispettare la clausola contraria all'art. 1123 c.c.
Peraltro, non può sottacersi come, a sommesso avviso dello scrivente, a suo modo anche la deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese può costituire una limitazione dei diritti dei singoli condòmini, al pari delle servitù reciproche: pertanto, avallando questa tesi, la trascrizione dovrebbe ritenersi sufficiente. Ad ogni modo, l'orientamento della Suprema Corte è di senso contrario, come appena illustrato.