La vicenda. La Corte d'Appello confermava la decisione del locale Tribunale che aveva riconosciuto l'imputata colpevole del delitto di occupazione abusiva di un immobile di proprietà del Comune di Firenze, condannandola per l'effetto alla pena di euro 500,00 di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Avverso tale pronuncia, l'imputato ha proposto ricorso in Cassazione eccependo l'erronea applicazione della legge penale con riguardo alla qualificazione dell'Immobile come edificio pubblico, non essendo stata acquisita in atti prova certa dell'appartenenza dell'immobile al demanio comunale in difetto dell'allegazione del titolo di proprietà; la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo al comprovato rapporto instaurato tra l'imputato e l'ente supposto proprietario che ha riscosso l'indennità a titolo di occupazione e ha rilasciato certificato di residenza della prevenuta.
Secondo la difesa, il pagamento delle utenze domestiche unitamente alla indennità di occupazione e il rilascio all'imputata di certificato di residenza indicante quale luogo d'abitazione l'immobile occupato erano circostanze che attesterebbero la successiva regolarizzazione del rapporto locativo, del quale la Corte territoriale non ha preso atto.
Infine, la violazione di legge e il vizio della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la sentenza impugnata considerato che l'occupazione era avvenuta in stato di necessità da parte di soggetto incensurato.
Il ragionamento della Cassazione. Secondo la S.C., in ordine alla proprietà dell'unità immobiliare occupata, la sentenza impugnata aveva dato conto che, sulla scorta delle prove orali e documentali acquisite, nonché delle stesse dichiarazioni della ricorrente, l'appartamento era di proprietà del Comune di Firenze e destinato ad alloggio popolare dalla società partecipata beta, ente gestore del patrimonio di edilizia residenziale pubblica comunale.
Premesso ciò, non avevano pregio le censure difensive in relazione alla pretesa regolarizzazione del rapporto di locazione, desumibile dal versamento dell'Indennità di occupazione, dall'allaccio delle utenze domestiche e dal rilascio di documenti indicanti la residenza della prevenuta nell'Immobile occupato.
Difatti, la Corte territoriale aveva esattamente rilevato che siffatte circostanze, lungi dal costituire un titolo idoneo a scriminare la condotta delittuosa, dimostravano esclusivamente il perdurare della stessa.
Infatti, in proposito, "deve escludersi che l'unilaterale attività costituita dal versamento di un'indennità ovvero il recepimento di una situazione di fatto quale l'indicazione della residenza o la voltura delle utenze abbiano efficacia sanante di un delitto già perfezionato con l'abusiva introduzione nell'Immobile e la destinazione del medesimo a propria stabile dimora.
Si è in presenza, dunque, di situazioni che non implicano alcuna regolarizzazione amministrativa dell'avvenuto abuso, comunque insuscettibile di incidere, anche ove sussistente, sulla configurabilità del delitto ex art. 633 cod. pen. e sulla responsabilità dell'agente (Cass. pen.,Sez. 2, n. 269 del 30/04/1986 - dep. 1987). Ed ancora, è stato escluso come motivo di apprezzamento lo stato di necessità della ricorrente, già motivatamente escluso dai giudici di merito, non potendosi legittimare - pur nelle ipotesi di disagio sociale e difficoltà economica- una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell'occupante e della sua famiglia quale quella nella specie perseguita (Cass. pen. Sez. 2, n. 28067 del 26/03/2015).
Infine, privo di pregio era la conclusiva eccezione di prescrizione in quanto il delitto di invasione di terreni o edifici, nel caso in cui l'occupazione abusiva si protragga nel tempo, ha natura permanente e cessa soltanto con l'allontanamento dell'occupante o con la sentenza di condanna di primo grado, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell'invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell'occupazione e il relativo termine di prescrizione inizia a decorrere dalla pronunzia di condanna (Cass. pen. Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018; Cass. pen. n. 35419 del 11/06/2010).
In conclusione, il ricorso è stato rigettato.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | OCCUPAZIONE ABUSIVA |
RIFERIMENTI NORMATIVI | Art. 633 c.p. |
PROBLEMA | Secondo l'imputata, il pagamento delle utenze domestiche unitamente alla indennità di occupazione e il rilascio all'imputata di certificato di residenza indicante quale luogo d'abitazione l'immobile occupato erano circostanze che attesterebbero la successiva regolarizzazione del rapporto locativo, del quale la Corte territoriale non ha preso atto. Infine, secondo la ricorrente, l'occupazione era avvenuta in stato di necessità da parte di soggetto incensurato. |
LA SOLUZIONE | Secondo la Cassazione, deve escludersi che l'unilaterale attività costituita dal versamento di un'indennità ovvero il recepimento di una situazione di fatto quale l'indicazione della residenza o la voltura delle utenze abbiano efficacia sanante di un delitto già perfezionato con l'abusiva introduzione nell'Immobile e la destinazione del medesimo a propria stabile dimora. Si è in presenza, dunque, di situazioni che non implicano alcuna regolarizzazione amministrativa dell'avvenuto abuso, comunque insuscettibile di incidere, anche ove sussistente, sulla configurabilità del delitto ex art. 633 cod. pen. e sulla responsabilità dell'agente. |
RICHIAMI/PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI | Cass. pen., Sez. 2, n. 269 del 30/04/1987; Cass. pen. Sez. 2, n. 28067 del 26/03/2015; Cass. pen. Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018; Cass. pen. n. 35419 del 11/06/2010 |
LA MASSIMA | L'illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare - nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo - una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell'occupante e della sua famiglia. Così come l'indicazione della residenza o la voltura delle utenze non sanano il delitto già perfezionato con l'occupazione abusiva dell'immobile. Cass. pen., sez. II, 28 gennaio 2020, n. 3436 |