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Tra l'azione di rilascio della parte comune e la rivendica della proprietà esclusiva c'è di mezzo l'integrazione del contraddittorio...

L'integrazione del contraddittorio è fondamentale quando un condòmino contesta l'occupazione di una parte comune, richiedendo l'accertamento della propria proprietà esclusiva e coinvolgendo gli altri condòmini nel giudizio.
Avv. Valentina A. Papanice 

Occupazione (illegittima) di una parte comune o (legittimo) uso di una proprietà esclusiva?

Il caso è assai frequente, come dimostra la copiosità delle sentenze emesse sul punto, di cui la n.6649 della Corte di Cassazione, depositata il 15 marzo scorso, è tra le più recenti.

Il tutto sorge dall'occupazione, da parte di un condòmino, di una parte ritenuta comune dall'amministratore, il quale, adempiendo ai propri compiti, conviene in giudizio il condòmino per ottenerne il rilascio.

Il condòmino, a sua volta, costituitosi in giudizio, spiega domanda riconvenzionale per l'accertamento e la dichiarazione della sua proprietà esclusiva sulla parte.

A quel punto, il piano della controversia cambia: si passa ad una controversia che va ad incidere direttamente sulle proprietà dei singoli; ne consegue la necessità dell'integrazione del contraddittorio agli altri condòmini, per consentire anche loro l'esercizio del diritto di difesa.

Approfondiamo la questione citando anche alcuni precedenti giurisprudenziali.

Legittimazione ad agire dell'amministratore nella tutela delle parti comuni

Ci occupiamo dell'occupazione, di una parte (ritenuta dal condominio) comune, da parte di un condòmino, il quale, in definitiva, si comporta come se quella parte fosse di sua proprietà. A quel punto, l'amministratore è tenuto, nell'adempimento dei propri compiti, ad agire contro tale occupazione.

Tale compito gli deriva in primis dall'art.1130, co.l, n. 4) c.c., che gli prescrive di "compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio".

Può anche derivargli ad es. dall'obbligo di eseguire una delibera assembleare (ai sensi dell'art. 1130, co.1, n. 1), se il condominio ha deliberato sul punto o dal regolamento (ai sensi dell'art. 1130, co.1, n. 1), se contiene delle prescrizioni in materia.

Gli deriva anche dall'art. 1131 c.c., co.1, che lega la rappresentanza attiva (in sostanza quella con cui si attiva, e non si subisce, un giudizio) in giudizio dell'amministratore alle attribuzioni previste dall'art. 1130 c.c.

In questi casi l'amministratore, può (e deve) ricorrere al giudice "sostituirsi" al condominio; è cioè, tecnicamente, legittimato ad agire in nome e per conto del condominio, rappresentandolo nel giudizio.

Sottolineamo che la legittimazione è circoscritta all'ambito dell'atto conservativo: nel caso si verta di accertamento della titolarità del diritto la questione cambia: in tal caso l'amministratore, secondo la giurisprudenza prevalente, non è legittimato (v. ad es. Cass. 3044/2009).

Domanda riconvenzionale per l'accertamento del diritto

Nel caso giudicato dalla succitata recente sentenza n. 6649, l'amministratore aveva agito per ottenere il rilascio della parte comune.

Chiaramente, in tali casi è possibile (come è stato) che il condòmino, per giustificare la propria azione, vanti di avere un diritto esclusivo sulla cosa e chieda l'accertamento di tale diritto nel medesimo giudizio (quando possibile, v. art. 36 c.p.c.) tramite la cosiddetta domanda riconvenzionale, che è quella domanda giudiziale ulteriore rispetto a quella già chiesta da chi ha attivato la causa (qui, il condominio in persona dell'amministratore) volta all'accertamento del diritto vantato (dunque ad una decisione sul punto con efficacia di giudicato) e non semplicemente a paralizzare l'altrui domanda.

Così facendo, il condòmino sposterà la lite da un piano dove è sufficiente la presenza dell'amministratore, ad un piano dove invece è necessaria la citazione dei singoli condòmini, dovendo la domanda, "giacchè incidente sull'estensione del diritto dei singoli, svolgersi nei confronti di tutti i condomini, in quanto viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile su cui deve statuire la richiesta pronuncia giudiziale." (v. Cass. 6649/2017).

Sarà dunque a quel punto, secondo l'orientamento prevalente, necessaria l'integrazione del contraddittorio; sul punto si è anche espressa una sentenza a Sezioni Unite della Corte (n. 25454/2013; si registrano, però, anche casi di senso contrario (Cass. n. 28141/13).

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