Tra i tanti aspetti che sono regolamentati dalla normativa urbanistica, c'è anche quello relativo all'altezza di un edificio. Quest'ultimo, infatti, non può essere innalzato senza considerare la quota dei fabbricati preesistenti e circostanti.
Qualora dovesse capitare il contrario, potrebbe scattare la reazione del vicino, interessato a proteggersi dal predetto abuso, con tanto di azione legale di natura civilistica. Ci si chiede, però, in cosa consista la citata tutela.
Secondo una tesi, il proprietario dell'edificio precedente potrebbe chiedere la riduzione in pristino. Quindi, una volta accolta la domanda, il titolare del fabbricato successivo e troppo alto sarebbe condannato ad abbassarne l'altezza in conformità alla legge.
Per un'altra interpretazione, invece, la tutela invocabile sarebbe, soltanto, di natura risarcitoria. In altri termini, dinanzi alla descritta violazione, il proprietario del fabbricato preesistente potrebbe, al massimo, chiedere il risarcimento del danno subito, ma l'altro edificio resterebbe alto ed immutato, così com'è.
Ha offerto il proprio contributo al descritto dilemma, la recente ordinanza della Cassazione n. 18581 del 9 giugno 2022, con la quale ha cassato una sentenza della Corte di Appello di Milano, rinviando alla medesima in diversa composizione.
Non mi resta, perciò, che approfondire il caso concreto.
Edificio nuovo troppo alto: il proprietario può chiedere risarcimento?
Il proprietario di un fondo, su cui era presente un capannone industriale, aveva provveduto a demolire questa costruzione per edificare un fabbricato di natura residenziale. Tale iniziativa era, però, contrastata dal proprietario di un edificio vicino.
Secondo questi, la nuova edificazione era stata innalzata troppo e non aveva rispettato i limiti di legge. In particolate era stata violata quella norma per la quale «l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti (art. 7 del D.M. n. 1444/1968)».
Non essendo intervenuto alcun accordo tra le parti, la lite era stata inevitabile.
Si finiva, perciò, dinanzi al Tribunale di Vigevano, successivamente confluito in quello di Pavia e poi di fronte alla Corte di Appello di Milano. Entrambe i citati uffici confermavano la legittimità della domanda proposta. La nuova costruzione era troppo alta rispetto al fabbricato dell'attore, poi appellato.
Per questa ragione, bisognava procedere alla riduzione in pristino del suddetto edificio e, per l'effetto, portarlo ad un'altezza inferiore rispetto a quella originaria.
Era, dunque, per questo motivo che si ricorreva in Cassazione.
In tale sede, gli Ermellini, si sono discostati, nettamente, dai verdetti precedenti, accogliendo il ricorso.
Violazione delle norme di edilizia: quali conseguenze?
Secondo il codice civile, chi viene danneggiato dalla violazione delle norme amministrative che disciplinano le costruzioni, oltre al diritto al risarcimento del danno, può chiedere la cosiddetta riduzione in pristino.
In pratica può pretendere che l'opera sia eliminata oppure che sia resa conforme alla legge «Le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate dall'articolo precedente sono stabilite da leggi speciali.
Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate (art. 872 cod. civ.)».
Nel caso in commento, è stato accertato che un edificio era troppo alto o, meglio, che era stato elevato al di sopra di quello preesistente è già presente in un fondo circostante. Tale circostanza contrastava con l'art. 7 del D.M. n. 1444/1968. In ragione di ciò era chiesta e ottenuta la riduzione in pristino del fabbricato de quo che si sarebbe dovuto abbassare ad una certa altezza.
Ebbene, la conclusione raggiunta era stata corretta?
Per la Cassazione in commento, la risposta è stata negativa.
Altezza edificio oltre i limiti di legge: è possibile la riduzione in pristino?
Per la Cassazione, il proprietario di un edificio già esistente, rispetto ad un nuovo fabbricato, ubicato in un fondo attiguo ed elevato ad un'altezza maggiore, ha diritto solo al risarcimento del danno.
Secondo, infatti, l'interpretazione della giurisprudenza, le norme che regolano l'altezza dei fabbricati hanno, esclusivamente, lo scopo di preservare degli interessi di carattere urbanistico, proteggendo, da un punto di vista privatistico, solo il valore economico delle proprietà coinvolte «in tema di distanze legali, sono da ritenere integrative del codice civile le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino, con qualsiasi criterio o modalità, la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela d'interessi generali urbanistici, disciplinano solo l'altezza in sé degli edifici, senza nessuna relazione con le distanze intercorrenti tra gli stessi, proteggono, nell'ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini, con la conseguenza che, nel primo caso, sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo, invece, è ammessa unicamente la tutela risarcitoria (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 5142 del 21/02/2019 - P.v. 652699 e 01; precedentemente, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1073 del -16/01/2009 - Rv. 606225 - 01)».
Per questa ragione, il titolare del fabbricato preesistente non può pretendere la riduzione in pristino dell'immobile edificato successivamente e più alto.