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Condanna per rumori e odori molesti: tenere troppi animali in casa può costare caro

Condizioni igieniche precarie e numero eccessivo di animali domestici possono portare a gravi conseguenze giudiziarie: ecco cosa rischia un condomino per disturbo e immissioni moleste.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 
22 Feb, 2025

La presenza in un'abitazione (spesso con giardino) di un numero elevato di cani e gatti e dei conseguenti rumori e cattivi odori costituisce inevitabilmente motivo di scontro con la restante parte della collettività.

Il rischio è che uno o più condomini si rivolgano all'Autorità Giudiziaria pretendendo la condanna del condomino disturbatore per disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (659 c.p.) e/o per il reato di "getto pericoloso di cose", di cui all'art. 674 c.p., che è configurabile anche in presenza di immissioni olfattive, rientrando tra le emissioni di gas, vapore o fumo atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, tutte le sostanze volatili che emanino odori provocanti disturbo, disagio o fastidio alle persone.

A tale proposito si segnala una decisione della Cassazione penale che ha punito severamente una condomina che teneva in casa diversi cani e numerosissimi gatti (Cass. pen., sez. III, 23/01/2025, n. 2795).

Vicenda e decisione

Il Tribunale condannava una condomina alla pena di € 200 di ammenda, ritenendola responsabile dei reati, tra loro unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 659 e 674 c.p. per detenzione (fino al 7.7.2014) all'interno del proprio appartamento di sette cani e ventisei gatti.

Quest'ultimi, a causa del continuo abbaiare e strepitare in tutte le ore del giorno e della notte, disturbavano gli altri condomini.

A questo problema si aggiungeva quello delle insopportabili immissioni odorose causate dall'incuria e dalle precarie condizioni igieniche in cui venivano tenuti gli animali, lasciati liberi di circolare anche nel condominio. Gli odori nauseabondi e l'ululato degli animali venivano costantemente avvertiti dai residenti nello stabile e dagli abitanti degli immobili limitrofi. La condomina ricorreva in cassazione.

I giudici supremi hanno notato però come, a seguito di sopralluoghi e delle numerose deposizioni dei testimoni, sia emersa la condizione di incuria dell'immobile della ricorrente, con presenza di escrementi dell'ingente numero di cani e gatti che l'imputata teneva nella sua abitazione, senza provvedere alle necessarie operazioni di pulizia. Di conseguenza la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Avv. eliana messineo Gatti in condominio, le sentenze in materia

Considerazioni conclusive

La Cassazione ha ritenuto condivisibile la sentenza del Tribunale rilevando che, quanto al reato previsto dall'art. 674 c.p., la configurabilità della fattispecie deve ritenersi integrata sia per l'entità delle esalazioni maleodoranti degli animali detenuti dalla condomina senza l'adozione delle cautele idonee ad evitare disturbi e molestie ai vicini, sia per l'evidente superamento della normale tollerabilità di tali esalazioni, così come previsto dall'art. 844 c.c. (Cass. pen., sez. III, 22/11/2016, n. 14467; Cass. pen., sez. III, 03/07/2014, n. 45230).

Si ricorda che secondo la Cassazione il ricovero di un numero elevato di esemplari di animali causa un'immissione che non è generata da un uso ordinario per civile abitazione, bensì è un'attività di custodia e cura degli animali di competenza del Tribunale e non del Giudice di pace. Pertanto è irrilevante il carattere non commerciale dell'attività, desumibile dall'assenza dello scopo di lucro.

Secondo la Suprema Corte perciò, qualora l'immobile, seppure a prevalente destinazione abitativa, sia utilizzato anche per scopi diversi e le relative attività siano all'origine delle immissioni illecite, deve conferirsi rilievo alla destinazione prevalente dell'immobile e alla fonte dei fenomeni denunciati, nel senso che se questi siano dedotti come effetto di attività non connesse all'utilizzo dell'immobile come abitazione civile da parte degli occupanti (proprietari o detentori), è esclusa l'applicazione dell'art. 7, comma terzo, n. 3 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 20/01/2023, n. 1823). Quanto alla contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. è necessario che l'evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, costituito nella specie non solo dai condomini residenti nello stesso stabile, ma altresì dagli abitanti dell'edificio limitrofo.

In particolare perché ricorra tale figura di reato è necessario che le immissioni rumorose abbiano la capacità di propagarsi all'interno dell'intero stabile condominiale, arrecando così potenziale disturbo ad un numero indeterminato di persone, costituite dai condomini residenti e da chiunque altro si trovasse in quel frangente nell'immobile, e non soltanto agli occupanti degli appartamenti ubicati in prossimità dell'immobile da cui provengono i rumori (Cass. pen., sez. I, 01/03/2018, n. 9361).

La circostanza che sono alcuni dei soggetti potenzialmente lesi dalle emissioni sonore se ne siano lamentati non esclude la configurabilità del reato, quando sia stata accertata l'idoneità delle stesse ad arrecare disturbo a un gruppo indeterminato di persone, con la conseguente incidenza della condotta sulla tranquillità pubblica e la lesione dell'interesse protetto dalla disposizione, che è costituito, appunto, dalla quiete e dalla tranquillità pubblica.

In materia, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza quello secondo cui l'effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull'espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete (Cass. pen., sez. III, 5 febbraio 2015, n. 11031).

Sentenza
Scarica Cass. pen. 23 gennaio 2025 n. 2795
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