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Nullità delle delibere della comunione e impugnazione: il conflitto tra coeredi e comproprietari

Forma e termine dell'impugnazione delle delibere, vizi, violazione del quorum, e conflitto di interessi.
Avv. Caterina Tosatti 

La sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria n. 8 del 3 gennaio 2022 ci permette di passare in rassegna alcune delle questioni meno soventi nell'ambito della proprietà immobiliare, cioè la gestione della comunione e l'impugnazione delle relative delibere.

La delibera della comunione e impugnazione

Tizia, comproprietaria per ¼ di un immobile, pervenutole per via ereditaria, insieme a Caio (comproprietario di ¼) e Sempronia (comproprietaria di ½), impugna con ricorso la delibera adottata dall'assemblea della comunione ereditaria, con la quale era stato:

  • attribuito a Caio l'uso esclusivo dell'immobile oggetto di comunione
  • approvato il rendiconto relativo alle spese sostenute da Caio
  • nominato Caio quale amministratore della comunione
  • deciso come regolare beni non presenti nell'immobile - si trattava di un inventario di beni mobili, che però non erano nemmeno all'interno dell'immobile

Tizia ritiene che la delibera sia nulla e/o annullabile in quanto adottata in spregio del combinato disposto degli artt. 1102 e 1108 c.c., posto che non è possibile attribuire il bene oggetto di comunione ad uno solo dei comproprietari, escludendo totalmente gli altri dall'uso e dal possesso; inoltre, quanto agli altri punti, il rendiconto non poteva essere approvato in quanto le spese erano state sostenute spontaneamente da Caio senza costituire in mora gli altri comproprietari e, pertanto, non rientravano tra quelle dovute ai sensi dell'art. 1110 c.c., la nomina di Caio quale amministratore della comunione era stata adottata con il voto dello stesso che era in conflitto di interessi ed i beni di cui si era discusso e deliberato non erano nemmeno presenti nell'immobile.

Caio e Sempronia, costituitisi in giudizio, eccepiscono innanzitutto l'improcedibilità e la tardività del ricorso di Tizia, in quanto impugnativa proposta con ricorso e non atto di citazione e, pertanto, notificata ad essi oltre il termine dei 30 giorni previsto dall'art. 1109 c.c.; nel merito si difendevano chiedendo il rigetto delle opposte domande.

Il Tribunale di Palmi accoglie il ricorso di Tizia ed annulla la delibera.

Avverso tale pronuncia propongono appello Caio e Sempronia; la Corte d'Appello di Reggio Calabria respinge l'appello e conferma in pieno la sentenza di primo grado.

Vediamo, punto per punto, il ragionamento del Giudice di primo grado poi confermato dalla Corte d'Appello.

Termine per impugnare e forma dell'impugnazione

L'art. 1109 c.c. prevede che «ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente può impugnare davanti all'autorità giudiziaria le deliberazioni della maggioranza» e che detta impugnativa vada promossa «sotto pena di decadenza entro trenta giorni dalla deliberazione» per i presenti, mentre gli assenti possono impugnare nei 30 giorni da quello in cui hanno ricevuto la comunicazione della delibera.

A differenza di quanto accade nella materia condominiale, l'art. 1109 c.c. non ha mai recato nella propria formulazione la parola «ricorso», come invece era dato rintracciare nell'art. 1137 c.c. ante riforma del 2012.

Rammentiamo al lettore che l'intera diatriba circa la proponibilità dell'impugnativa condominiale tramite atto di citazione o ricorso nasceva dal fatto che il Legislatore, laddove non indichi espressamente la predilezione per un determinato rito processuale, fa sempre e di default riferimento al procedimento ordinario di cognizione che si introduce con un atto di citazione.

Di qui la disputa tra chi sosteneva che, avendo il Legislatore dell'art. 1137 c.c. indicato il termine «ricorso» egli aveva anche voluto scegliere il rito processuale che viene introdotto con il ricorso, che si deposita in cancelleria, determinando la pendenza della lite, mentre la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza sono attività integrative.

Il procedimento ordinario di cognizione introdotto con atto di citazione, invece, contiene direttamente la data dell'udienza e gli avvertimenti di legge al convenuto, perché l'art. 163 c.p.c. prevede che spetti all'attore scegliere la data (rispettando termini fissati dalla legge), che poi il Giudice potrà posticipare a seconda del proprio calendario delle udienze.

Quindi, le due procedure (con atto di citazione e con ricorso) hanno modalità di 'chiamato in giudizio' (vocatio in ius) del convenuto differenti e tempistiche differenti.

A risolvere quella querelle sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 8491 del 14 aprile 2011, chiarendo che: «l'adozione della forma del ricorso non esclude l'idoneità al raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale, che sorge già mediante il tempestivo deposito in cancelleria, mentre estendere alla notificazione la necessità del rispetto del termine non risponde ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto, mentre grava l'attore di un incombente il cui inadempimento può non dipendere da una sua inerzia, ma dai tempi impiegati dall'ufficio giudiziario per la pronuncia del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione».

Secondo le Sezioni Unite, insomma, non si può addossare a chi impugna con ricorso l'onere di notificare nei 30 giorni previsti a pena di decadenza, per il semplice fatto che la fissazione dell'udienza che egli dovrà notificare non dipende da lui, ma dall'ufficio giudiziario adito.

Più recentemente, il Tribunale di Roma si è espresso ritenendo che «a seguito della riformulazione dell'art. 1137 c.c., il giudiziale gravame dei deliberati assembleari condominiali deve essere introdotto con le forme processuali ordinarie, laddove promosso con ricorso, soltanto la notificazione produce la litispendenza e vale ad interrompere il corso del termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c.» (sentenza 11 giugno 2019, n. 12283).

Altri Giudici di merito (come Cremona e Milano) hanno invece ritenuto che l'introduzione dell'impugnativa di delibera condominiale con ricorso anziché con citazione sia nulla in quanto l'atto introduttivo manca degli elementi essenziali indicati dall'art. 163 c.p.c., in particolare della data dell'udienza e del termine a comparire per il convenuto.

Ora, per analogia, potremmo dire che stesso discorso dovrebbe essere applicabile all'art. 1109 c.c., visto che anche tale norma prevede un termine decadenziale.

E così hanno fatto il Tribunale di Palmi così come la Corte d'Appello di Reggio Calabria, aderendo all'orientamento delle Sezioni Unite, che non richiede che il ricorso sia non solamente depositato, ma anche notificato nei 30 giorni a disposizione di chi impugna la delibera.

Infatti, nel caso di specie, Tizia aveva tempestivamente depositato il ricorso in impugnativa nei 30 giorni previsti, ma la notifica dello stesso unitamente al decreto che fissava l'udienza era avvenuta ben oltre detto termine, avendo dovuto Tizia attendere che il Giudice istruttore emettesse il decreto e fissasse, appunto, l'udienza.

Peraltro, l'atto aveva raggiunto il suo scopo, essendo stato ricevuto dai convenuti Caio e Sempronia e gli stessi si erano anche costituiti, sanando così ogni eventuale lesione del contraddittorio.

Attribuzione di un bene comune in uso esclusivo ad un comproprietario o coerede

La questione principale sui cui dibattono Tizia, Caio e Sempronia, comunisti dell'unico bene immobile del quale hanno diverse porzioni, è inerente la decisione, adottata con la delibera impugnata, di attribuire l'uso esclusivo dello stesso (per intero) ad uno solo di essi, cioè Caio.

In particolare, la delibera aveva deciso che: «l'immobile (…) viene destinato ad esclusiva abitazione del sottoscritto Caio (…) Egli ne acquisterà la piena ed esclusiva disponibilità rimanendo pertanto l'unico detentore delle chiavi di accessi, in attesa delle determinazioni di cui al giudizio di divisione».

Secondo il Tribunale, nonché come confermato dalla Corte d'Appello, «la delibera si pone, in tali termini, in evidente quanto insanabile contrasto con quanto prescritto dall'art. 1102 c.c. che disciplina in modo chiaro ed inequivocabile la facoltà di ciascun partecipante di servirsi della cosa comune "purché non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto».

Altresì precisa il Tribunale che, trattandosi di immobile in comunione pro-indiviso, cioè senza quote - quelle indicate di ¼ e ½ sono quote ideali che si applicano in relazione agli oneri ed alle spese, ma il godimento è unitario - il diritto di ciascuno investe l'immobile nella sua totalità. Pertanto, si deve individuare un criterio di utilizzazione del bene da parte dei comunisti, ma, nel disaccordo delle parti, il criterio deve essere quello dettato dall'art. 1102 c.c.

Inoltre, l'atto deliberato di affidamento esclusivo a Caio dell'immobile, viola anche l'art. 1109 c.c. in quanto pregiudizievole dell'interesse di Tizia che avrebbe visto irrimediabilmente compromesso il suo diritto di godimento senza peraltro trarre da detta compressione alcuna utilità.

Insomma, Caio si era sostanzialmente attribuito l'intero bene oggetto di comunione ottenendo, a costo zero, lo stesso effetto di una vendita delle quote di Caia e Sempronia, ove le quote avrebbero dovuto essere liquidate, quindi pagate - oppure di un'assegnazione in natura, parimenti accompagnata da liquidazione delle quote delle altre due comuniste, dato che si legge nella sentenza che i tre erano in causa per la divisione giudiziale della comunione ereditaria.

Precisa poi il Tribunale, seguito dalla Corte d'Appello, che «è quindi imposta al Giudice, ove sia denunciato il superamento dei limiti previsti dall'art. 1102 c.c. per l'occupazione della cosa comune fatta da un comproprietario, un'indagine diretta all'accertamento della duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione, e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l'unanimità dei consensi dei partecipanti».

Atti eccedenti l'ordinaria amministrazione e violazione dei quorum

La delibera adottata risulta nulla anche per contrasto con l'art. 1108 c.c., laddove l'assegnazione a Caio dell'intero bene oggetto di comunione in godimento esclusivo integra un atto eccedente l'ordinaria amministrazione per disporre del quale è necessaria la maggioranza qualificata dei 2/3 del valore complessivo della cosa comune e l'assenza di un pregiudizio per anche uno solo dei partecipanti.

Nel nostro caso, secondo il Tribunale, difettavano entrambe i presupposti.

Difettava il quorum della maggioranza qualificata, perché la delibera fu votata da Caio (con delega a Sempronia) e Sempronia, ed essendo Caio in conflitto di interessi, il suo voto va detratto dal conteggio dei voti per il raggiungimento del quorum, con conseguente insufficienza del solo voto di Sempronia.

Difettava il mancato pregiudizio, in quanto è evidente che Tizia sarebbe stata privata in toto dell'utilizzo del bene.

La Corte d'Appello, in parte riqualificando la fattispecie, ma non mutando l'essenza del giudizio di I°, ritiene che la delibera non potesse nemmeno essere adottata con maggioranza qualificata, bensì all'unanimità dei consensi di tutti i comunisti, ai sensi dell'art. 1108, 3° comma, c.c., intendendo quindi l'attribuzione del godimento al solo Caio come equiparabile ad un atto di alienazione o costituzione di diritti reali sul fondo comune.

Comunione pro diviso e pro indiviso

Anticipazione del comunista e rimborso

L'art. 1110 c.c. prevede che «il partecipante che, in caso di trascuranza degli altri o dell'amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso».

Requisito essenziale per fare luogo al rimborso è quindi la 'trascuranza' degli altri comunisti o dell'Amministratore della comunione, ove nominato.

Ebbene, il partecipante alla comunione che faccia spese per la conservazione della cosa comune non può pretendere il rimborso - e la relativa delibera è annullabile - se non dà la prova di aver precedentemente appellato o avvertito gli altri o l'amministratore di quanto è necessario fare, quindi di averli costituiti in mora comunicando che, laddove non si provveda, provvederà lui stesso con diritto al rimborso delle quote altrui.

Nel caso di specie, detta prova mancava e non poteva supplirsi con elementi presuntivi quale la vicinanza del luogo in cui si trovava l'immobile in comunione a quello ove Tizia abitava, così da ritenersi impossibile che la stessa non sapesse dei lavori che occorreva eseguire presso l'edificio.

Nomina dell'Amministratore e conflitto di interessi

Il Tribunale, facendo applicazione analogica dell'art. 2373 c.c., dettato per le società per azioni, in materia di conflitto di interessi dei soci, annulla la delibera

In realtà, sentiamo di dover rilevare che, mentre nella materia societaria il socio e l'Amministratore della società possono non coincidere, quando parliamo di comunione l'attenzione dovrebbe spostarsi alla gestione della cosa comune, che spesso, per comodità ed economicità, viene affidata ad uno dei comunisti, cioè comproprietario della medesima.

A modesto avviso di chi scrive, il focus in materia di conflitto di interessi dovrebbe spostarsi sull'interesse, appunto, perseguito dalla delibera che, laddove non sia quello della comunione, ma quello del singolo comunista o di terzi, qualifica il voto come adottato in conflitto di interessi e ne determina la sua espunzione dal conteggio della maggioranza necessaria.

Ecco allora che correttamente, come sottolineato dalla Corte, l'interesse della comunione tra Tizia, Caio e Sempronia sarebbe stato quello di trarre il massimo utilizzo e godimento dal bene a favore di tutti e tre i comunisti, mentre la delibera impugnata andava a favorire in maniera esclusiva Caio, perché costui avrebbe singolarmente ed univocamente tratto godimento dall'immobile, sostanzialmente spossessandone le altre due comuniste.

Comunione incidentale atipica: circostanze e spese

Delibera su beni non oggetto della comunione

Ultimo punto esaminato, l'inventario di beni mobili approvato dall'assemblea della comunione, ove detti beni mobili non erano afferenti né presenti sull'immobile.

Il Tribunale, confermato dalla Corte, ha ritenuto che la delibera non fosse illegittima, ma che le doglianze relative a detti beni andassero avanzate in altra sede - i tre comunisti erano in dissidio rispetto alla proprietà sugli stessi.

Sentenza
Scarica App. Reggio Calabria 3 gennaio 2022 n.8
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