Ai sensi dell’art. 646 del codice penale:
“ Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, e’ punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni.
Se il fatto e’ commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena e’ aumentata.
Si procede d’ufficio se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell’articolo 61”.
Si tratta d’un reato (d’un delitto per essere più precisi) comune, ossia che può essere commesso da chiunque. E’ la stessa norma, d’altronde utilizzando tale pronome a evidenziarlo., senza il consenso dell’interessato, del denaro o dei beni mobili di cui a qualsiasi titolo si sia in possesso. E’ questo l’elemento che caratterizza tale reato rispetto a quello di furto (art. 624 c.p.): in quest’ultimo, infatti, il reo (ossia chi ha commesso il reato) sottrae alla persona offesa dal reato una cosa di cui prima non aveva la materiale disponibilità.
Si tratta d’un reato doloso: ciò vuol dire che l’azione deve essere cosciente e volontaria. Per dirla più semplicemente: non è punibile chi s’appropria di una cosa altrui nell’erronea convinzione, magari dovuta alla somiglianza dei beni, che fosse di sua proprietà.
Più nello specifico, dottrina e giurisprudenza, inoltre, sono concordi nel ritenere che si tratti d’un delitto punibile quando il dolo è specifico, ossia “ occorre la coscienza e la volontà dell’appropriarsi di cosa mobile altrui accompagnata allo scopo di procurare a se o ad altri ingiusto profitto” (Delpino, Diritto penale Parte speciale, 2004, Ed. Simone).
Il delitto, in linea generale è punibile a querela della persona offesa. Ciò vuol dire che il danneggiato, per vedere sanzionato penalmente il reo, dovrà presentare all’Autorità Giudiziaria una querela entro 3 mesi dal momento in cui ha avuto notizia del reato.
Si procede d’ufficio, quindi senza la necessaria istanza da parte dell’interessato, nei casi indicati dal n. 11 dell’art. 61 c.p. ossia per “ avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione di opera, di coabitazione, o di ospitalità”.
Quanto detto a livello generale trova applicazione anche in relazione al rapporto amministratore – condominio. Detta più banalmente: l’amministratore, nell’esercizio delle proprie funzioni, può rendersi colpevole del delitto di appropriazione indebita.
In tale senso, la mente, quasi automaticamente, va a quei casi, purtroppo, non rari in cui l’amministratore “ scappa con la cassa”.
Un vizio, evidentemente, che nulla ha a che fare con la credibilità della categoria ma che, invece, riguarda solamente l’onesta dell’individuo.
Che cosa fare in questi casi. La querela non è necessaria (si tratta d’un reato commesso con abuso di relazioni d’ufficio o, comunque, di prestazione di opera) tuttavia, affinché l’Autorità Giudiziaria si attivi è pur sempre consigliabile, sia pure sotto forma di un semplice esposto, portare alla sua conoscenza il fatto reato.