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Non è lecito impugnare una delibera condominiale per ottenere un vantaggio oggettivamente irrisorio

L'impugnazione della delibera di riparto delle spese condominiali pretestuosa può contravvenire alle regole di correttezza e buona fede.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

Secondo i giudici di legittimità, l'obbligo di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede oggettiva (1375 c.c.) costituiscono un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica.

Si deve tenere conto che ogni rapporto nel quale esiste un diritto e può essere esercitato impone un comportamento orientato al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza per non incorrere in condotte abusive. In quest'ottica si può parlare di abuso del diritto anche in materia condominiale. Un esempio concreto è riscontrabile nella recente decisione del Tribunale di Roma (sentenza n. 15981 del 7 novembre 2023).

Impossibilità di impugnare una delibera per vantaggi irrisori

Un condomino, proprietario di un locale cantina e comproprietario di locali commerciali facenti parte di un condominio, impugnava davanti al Tribunale la delibera assembleare adottata dall'assemblea con riferimento al punto 1 dell'ordine del giorno.

In particolare l'attore sosteneva che nel riparto approvato gli era stata illegittimamente addebitata pro quota una spesa per "montaggio allarme ponteggi" da cui era stato invece espressamente esonerato con precedente delibera, in quanto proprietario solo di una cantina e di negozi.

Di conseguenza, chiedeva l'annullamento della delibera impugnata e la condanna del condominio convenuto al risarcimento dei danni, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c., in considerazione del suo mancato intervento alla procedura obbligatoria di mediazione.

Il condominio - nel costituirsi - eccepiva l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento effettivo della mediazione e - nel merito - chiedeva il rigetto dell'impugnativa.

Dopo aver disatteso l'eccezione preliminare d'improcedibilità della domanda, il Tribunale ha dato pienamente ragione al condominio. Queste le ragioni.

Come ha osservato lo stesso giudice, il condominio, nel costituirsi, ha riconosciuto l'erroneità di tale addebito in base a quanto deliberato in una precedente riunione (esonero da tale spesa per "i negozi, le cantine e gli appartamenti ubicati al piano seminterrato") ed ha proceduto ad un'approvazione del nuovo riparto rettificato solo in pendenza del giudizio.

Lo stesso giudice, però, ha rilevato che tale rettifica - nel senso preteso dall'attore - ha pacificamente comportato a suo carico un minor addebito complessivo di appena euro 0,69 per i lavori in oggetto.

Secondo il Tribunale tale importo oggettivamente irrisorio ha fatto emergere con chiarezza la mancanza di un effettivo interesse concreto dell'attore alla caducazione della delibera impugnata. Il Tribunale ha dichiarato l'inammissibilità della domanda per carenza d'interesse ad agire.

Delibera sopravvenuta e soccombenza virtuale

Del resto, la mancanza di buona fede nell'attore è stata confermata anche dalla presenza nell'atto introduttivo di una contestuale domanda risarcitoria del tutto pretestuosa e priva di alcun fondamento (tanto è vero che poi l'attore ha deciso di non coltivarla).

La soccombenza dell'attore - con riguardo ad una condizione dell'azione - ne ha comportato la conseguente condanna al rimborso delle spese processuali sostenute dal condominio convenuto.

Riflessioni finali sull'impugnazione delle delibere condominiali

Secondo una parte della giurisprudenza il condomino che intende proporre l'impugnativa di una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale (Cass. civ., sez. VI - 2, 09/03/2017, n. 6128).

La decisione in commento sembra aderire a quella diversa tesi che ravvisa nell'impugnazione della deliberazione condominiale di ripartizione delle spese, per un errore trascurabile, una violazione delle regole di correttezza e di buona fede, e, dunque, un abuso dello strumento processuale, ovvero il superamento di un limite esterno al ricorso alla tutela giurisdizionale.

In particolare è stato affermato che quando l'eventuale credito derivante al condomino dall'annullamento della delibera risulti di entità economica oggettivamente minima (1 €), difetta, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., l'interesse ad impugnare la decisione assembleare, in quanto la tutela del diritto di azione deve essere contemperata con le regole di correttezza e di buona fede (App. Roma 5 maggio 2021, n. 3363).

Proprio in relazione al condominio è stato considerato abuso del diritto l'impugnazione della delibera condominiale per avere ricevuto l'avviso di convocazione quattro giorni prima e non cinque, come stabilito dall'art. 66 disp. att. c.c. (App. Firenze, sez. I, 19 luglio 2012, n. 1186: nel caso di specie un condomino, avvisato con ritardo di un giorno, della convocazione dell'assemblea, invece di partecipare alla stessa, esprimendo eventualmente in quella sede il suo voto contrario - che non avrebbe assolutamente influito sul risultato finale della votazione, stante l'esito pressoché plebiscitario - si è preoccupato, piuttosto di diffidare via fax gli amministratori, quello uscente e quello in carica, circa l'invalidità della assemblea proprio in ragione della sua tardiva convocazione).

In ogni caso merita di essere ricordato che non è neppure lecito impugnare la delibera senza motivi fondati, pena la condanna al pagamento una somma commisurata al danno recato alla controparte (Trib. 26 agosto 2022, n. 12654: nel caso di specie le motivazioni poste a fondamento dell'impugnazione della delibera non sono risultate infondate in quanto basate su errori macroscopici nell'interpretazione di norme sostanziali e/o processuali ed in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale su alcune questioni pacificamente chiarite dalla stessa Corte di legittimità. Il convenuto perciò è stato condannato al pagamento delle spese legali, nonché al pagamento a favore dall'attore dell'importo di 1.500,00 € ex art. 96, ultimo comma c.p.c., oltre interessi legali dalla data di deposito della sentenza al soddisfo).

Sentenza
Scarica Trib. Roma 7 novembre 2023 n. 15981
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