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Non basta la servitù per accertare la sussistenza di un rapporto di condominialità tra i beni

Il giudizio di accertamento deve comunque essere svolto nei confronti di tutti i condomini e non dell'amministratore condominiale.
Avv. Gianfranco Di Rago 

Il riconoscimento in favore di un'immobile di un diritto di servitù costituito per contratto e posto a carico di parti comuni di un condominio non vale a conferire né a negare al titolare di tale servitù la qualità di condomino, agli effetti della contitolarità delle parti comuni dell'edificio stabilita dall'art. 1117 c.c., dell'attribuzione dei diritti sulle stesse in proporzione al valore della rispettiva unità immobiliare (art. 1118 c.c.) e dell'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione e il godimento a norma dell'art. 1123 c.c.. Lo ha chiarito la seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 28336, pubblicata lo scorso 4 novembre 2024.

Accertamento della condominialità e servitù di passaggio: il caso esaminato

Nella specie un condominio, in persona dell'amministratore pro tempore, aveva convenuto in giudizio le proprietarie di alcuni immobili confinanti con l'edificio condominiale, chiedendo di accertare che le stesse erano comprese nel condominio medesimo, in quanto collegate strutturalmente e funzionalmente con il corpo centrale dello stabile.

Le convenute avevano contestato la domanda, trattandosi di immobili autonomi e separati, ed esseno l'androne dell'edificio condominiale piuttosto gravato da servitù di passaggio in favore delle loro proprietà.

La richiesta del condominio era stata respinta in primo grado, ma la Corte di Appello la aveva viceversa accolta, valorizzando a tal fine proprio la sussistenza di una servitù di passaggio tra i predetti immobili.

La Suprema Corte, nel prendere a sua volta in esame la vicenda, ha quindi evidenziato che i giudici del merito avrebbero dovuto ricostruire l'assetto dei rapporti oggetto di causa considerando i principi di seguito enunciati:

a) ai sensi dell'art 1117 c.c. l'androne e il portone d'ingresso che siano strutturalmente e funzionalmente destinati al servizio di più corpi di fabbrica che si sviluppano orizzontalmente, appartenenti a proprietari diversi, ma costituenti un'unica entità immobiliare, devono presumersi oggetto di comunione dei predetti proprietari, se il contrario non risulta dal titolo (cfr. Cass. civ., n. 4986/77; Cass. civ., n. 1737/68);

b) il titolo contrario ex art. 1117 c.c. alla presunzione di condominialità dell'androne, avente tale destinazione oggettiva all'uso comune, richiede una espressa e inequivoca dichiarazione di volontà, contenuta nel primo atto di frazionamento costitutivo del condominio, che, in contrasto con l'esercizio del diritto comune, faccia ritenere che tale bene sia stato riservato dall'alienante o attribuito a un singolo condomino in proprietà esclusiva;

c) non configura ex se titolo contrario agli effetti dell'art. 1117 c.c. la costituzione di una servitù a carico di parti comuni e a vantaggio di una o più proprietà esclusive, in quanto l'esistenza di una siffatta servitù in favore della singola unità immobiliare non esclude la condominialità del fondo servente, del quale resta contitolare anche il proprietario della porzione individuale dominante.

Alla ammissibilità di una servitù gravante su un bene condominiale e a favore di una proprietà individuale compresa nell'edificio non ostano, invero, né il principio "nemini res sua servit", sussistendo sia la diversità dei fondi (dominante e servente), sia la (parziale) non coincidenza soggettiva dei titolari di tali fondi, né l'assunto difetto di utilità, sul presupposto che il vantaggio attribuito dalla servitù rientrerebbe già nel contenuto del diritto di condominio.

Piuttosto, se nell'ambito della relazione di accessorietà supposta dall'art. 1117 c.c., ciascun condomino si avvale delle parti comuni in virtù del diritto di condominio, nondimeno il godimento delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, a vantaggio delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, può attuarsi mediante l'ampliamento delle relative facoltà, altrimenti commisurate al valore della rispettiva proprietà, mediante un titolo attributivo di maggiori diritti ex art. 1118, primo comma, c.c.. Diversamente, se a beneficio di una o più unità immobiliari si impone sulle cose comuni un peso, che la destinazione delle cose in sé, o la misura dell'uso, non consentirebbero, vale a dire quando si assoggetta la parte comune, in favore di una o alcuna proprietà esclusiva, a fornire una utilità ulteriore e diversa, si dà luogo al sorgere di una servitù ex art. 1027 c.c., da costituire col consenso di tutti i partecipanti (cfr. Cass. civ. n. 11207 del 1993; n. 3749 del 1999; n. 6994 del 1998; n. 22408 del 2004).

In definitiva, allorché al partecipante è attribuito convenzionalmente il diritto di utilizzare le cose, i servizi e gli impianti comuni in modo ulteriore e diverso, tale diritto non può che qualificarsi come servitù, costituita sulla cosa comune in favore della porzione di proprietà individuale.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha però rilevato d'ufficio la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, dichiarando la nullità del giudizio e rinviando quindi il procedimento dinanzi al giudice di primo grado.

È stato infatti ricordato che la domanda di accertamento della qualità di condomino, in quanto inerente all'esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non vede quale legittimato alla causa l'amministratore di condominio, imponendo, piuttosto, la partecipazione di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario, postulando la definizione della vertenza una decisione implicante una statuizione in ordine a titoli di proprietà configgenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, e in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso unico condominio in discussione (cfr. Cass. n. 4697 del 2020; n. 35794 del 2021; n. 16679 del 2018; n. 24431 del 2017; n. 15550 del 2017; n. 6328 del 2003; n. 3119 del 1999).

Parimenti la domanda diretta a ottenere l'accertamento di una servitù su un fondo di proprietà condominiale va proposta nei confronti di ciascuno dei condomini, che soli possono disporre del diritto in questione, e non nei confronti dell'amministratore del condominio (cfr. Cass. n. 19566 del 2020).

Il riconoscimento servitù di passaggio è affare dei singoli condomini

Implicazioni legali del rapporto di condominio e servitù prediale

A proposito di quanto osservato dalla Suprema Corte nella decisione in questione, occorre ricordare come i medesimi giudici di legittimità abbiano più volte affermato che la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. ss., è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni a porzioni, o unità immobiliari, di proprietà singola, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso.

Detta disciplina è costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati e posti uno al servizio dell'altro (cfr. Cass. civ., n. 884 del 2018).

Di conseguenza, se si ravvisa una servitù prediale su un bene condominiale in favore di una proprietà esclusiva esterna al complesso immobiliare, tale proprietà non viene per ciò solo a partecipare al condominio.

L'esercizio della servitù viene regolato, piuttosto, a norma degli artt. 1063 e ss. c.c. e le spese inerenti alle opere necessarie vanno sostenute secondo quanto prescrive l'art. 1069, comma 3, c.c. (cfr. Cass. civ., n. 6653 del 2017).

Sentenza
Scarica Cass. 4 novembre 2024 n. 28336
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